Voci scomparse.
1. — I fanciulli perduti.
«Si udiva talora per le vie una lugubre cantilena di voci
argentine, interrotta frequentemente dal suono di un campanello. Era — è sempre
il Moroni che parla — la grida dei fanciulli perduti.
Una turba di ragazzi preceduti da una croce percorrevano le
vie annunziando che un bimbo o una bimba non erano tornati alle loro case;
invitavano i buoni a darne notizie se ne avessero, e a ricondurli presso i
genitori desolati, indicandone ad alta voce l’indirizzo».
2. — Le zitelle sperse. — I Fate-bene-Fratelli.
«Le zitelle sperse di Sant’Eufemia andavano per le strade
cantando specialmente di notte: tantochè il cardinale Ascanio Colonna (nota
l’Amayden) impose a loro il nome di cicale notturne».
L’origine del nome dei Bonfratelli, ossia Fate-bene-fratelli,
rimonta al trionfale ingresso di Marc’Antonio Colonna in Roma, reduce dalla
battaglia di Lepanto.
Francesco Albertonio nella Relatione dell’entrata fatta
dall’Ecc.mo M. Ant. Colonna, dice: «Dopo questo, quasi capo e conduttore
loro, era un Romito, vomo spirituale, vestito alla Turchesca, portando alla
spalla manca un crocifisso, e nella sinistra una scimitarra; e di quando in
quando gridava: Viva la Santa Lega!; questo vomo perchè soleva gridare per
Roma: Fate-ben-per-voi era anche dal popolo chiamato: Fate-ben-per-voi
e tenuto per vomo santo».
E il Volena, nelle sue Cose memorabili, scrive:
«V’era un Romito chiamato dalle parole che spesso soleva ripetere:
Fate-ben-per-voi. Era tenuto per santo, e in tal credito presso il papa
e principi, che tutto quello che domandava non gli si negava niente e si
serviva dei denari in maritare zitelle pericolanti. Ne trovò una che gli
piacque, e se la prese per moglie e perse tutto il credito. Andava poi per Roma
con un paro di bilancie, attaccate ad un bastone, in cima del quale era una
testa di morto, dicendo che havea mal pesato. Gli fu creata una canzone,
che diceva:
«State attenti, che riderete poi,
Quando saprete che ha preso moglie
Fate-ben-per-voi ».
«Andò alla guerra d’Ungaria con Gio. Fr. Aldombrandino, con
un crocifisso in mano facendo animo a’ soldati, e vi fu ferito da’ Turchi. In
detto tempo principiò in Roma la Religione di Fate-ben-Fratelli.
Gregorio XIII gli diede la Chiesa di San Giovanni Colabita nell’Isola di Ponte
Quattro Capi; vi fecero l’Ospedale per gl’infermi; e andavano la sera per Roma
con un campanello, dicendo: Fate-bene-Fratelli!».
3. — I “Trionfi„ alle puerpere.
«S’ode di lontano il suono di una tromba... Si avanzano
alcuni trombettieri vestiti teatralmente... A breve distanza procedono a passo
lento i mazzieri pettoruti con le loro divise nere, intenti a mostrare la loro
bravura di giocolare con le mazze sormontate da grossi pomi d’argento. Seguono
in doppia fila, come frati in processione, parecchie dozzine di servitori
insaccati nelle goffe livree del settecento, con brache corte, calze di seta,
cappello a lucerna, e falde enormi che distaccandosi dal giubbone si protendono
insino alle calcagna. Poi viene un altro tubicino il quale preannunzia con una
breve e squillante modulazione di cornetta le sacramentali parole gridate con
solennità dai banditori, ad ogni fermata, nelle piazze e nelle traverse delle
vie. Le parole di rito erano, a mo’ d’esempio, le seguenti: «Sua Eminenza
Reverendissima il Cardinale De Bernis a S. E. la Signora Principessa Santacroce».
E subito dopo, portato da numerosi facchini, si vedeva torreggiare il padiglione
delle puerpere, cioè una grandiosa macchina dai bizzarri disegni
interamente rivestita di lunghe file di tagliolini, di savoiardi, di tortelle,
di paste all’uovo, il tutto intramezzato da uno sciame di capponi e di galline
per uso della illustre puerpera. La pompa trionfale si chiudeva con la nobile
anticamera del munifico donatore che faceva ala di buon grado ai capponi e alle
galline per conseguire le regalie e le bibalia solite a darsi in tali
occasioni. L’onore di questi trionfi dell’uovo non era riserbato alle sole
dame. La differenza era soltanto nelle dimensioni delle macchine; ma
all’infuori di ciò, non vi era, si può dire, puerpera la quale non rimediasse
il suo padiglioncino».
4. — I Carciofolari.
«I carciofolari erano cantori e suonatori d’arpa; specie di
bardi girovaghi, nativi per lo più degli Abruzzi, così chiamati dalla stessa
parola: carciofolà che un tempo terminava quasi intercalare, le loro
strofe d’amore».
5. — I Pifferari.
«O bbiferari, erano anch’essi abruzzesi. Vestivano —
scrive il Belli — un pittoresco costume e venivano nello Stato pontificio sul
cadere del novembre, a tre a tre. Uno suonava il piffero o cennamella, l’altro
la cornamusa, e il terzo cantava canzoni inintelligibili, per la novena di
Natale, ai piedi di tutte le Madonne che sono sui cantoni delle strade di
Roma».
6. — L’Acconcia-panni.
Quasi tutti i poveri ebrei di Roma, molti anni fa, vivevano
racconciando panni vecchi; e quindi andavano gridando per la città
— Chi accóncia pânnii?!
7. — I Mandatari.
Erano (e lo sono ancora) una specie di servi ecclesiastici delle
fraternite di Roma, poichè ogni arte, mestiere e condizione di uomini ha in
Roma la sua Confraternita.
Vestiti — scrive il Belli — di una goffa livrea, o dicasi
pure divisa, coi colori della compagnia alla quale appartenevano, i Mandatari
precedevano i convogli funebri, intimavano le associazioni dei cadaveri...
avevano cura della proprietà interna dei loro instituti; e una volta alla
settimana andavano in abito di costume e con una bussoletta fra le mani a
cantare sotto i balconi de’ devoti certa nenia monotona che chiede sempre
danaro e termina con un Deo gratias.
Ve ne erano in giro della compagnia della Morte, del Suffragio,
di Gesù Nazzareno, di Maria SS. del Soccorso, di S. Gregorio
Taumaturgo, protettore dei casi disperati, ecc. ecc.
Il Deo gratias di quest’ultimo era il più solenne e
stirato che si potesse desiderare. Il tempo musicale di esso aveva il valore di
due buone massime:
«Devoti de San Gregorio ’ettaumaturgo protettore de li
casi disperati. Deo ghéérazia!».
8. — La Calamisvà.
«Quando il mandataro della Compagnia Israelitica
della Morte, per le strade del Ghetto, con in mano un bussolotto di ferro per
raccogliervi le elemosine, precedeva i convogli funebri, a brevi intervalli in
tono lento e patetico, andava gridando:
— Zedacà! la mizvà!
La prima di queste parole ebraiche — dice il chiaro prof.
Morandi — significa elemosina; la seconda (mizvà), a cui è stato
appiccicato il nostro articolo la, significa precetto religioso,
ma per estensione, almeno tra gli ebrei di Roma, convoglio funebre.
Sicchè il grido del Mandataro era un’esortazione a far l’elemosina pel
morto ed insieme ad accompagnarlo. E infatti a quel grido le donne si
affacciavano alle finestre e gettavano giù il loro obolo, mentre gli uomini,
uscendo dalle botteghe, lo deponevano da sè nel bussolotto, e poi si accodavano
al convoglio, seguendolo ordinariamente fino alle porte del Ghetto».
9. — Le Prèfiche.
«Riusciti inefficaci i soccorsi della medicina, e
principiandosi a curare un infermo con le divozioni, mandavansi di notte delle
donne scalze recitando il rosario della Vergine.
S’intende già che questa modificazione di prefiche vendeva
l’orazione e il pianto» (Belli).
10. — Canti religiosi e preghiere per le strade.
S’incontravano spesso, nel Trastevere in ispecie, gruppi di
uomini o di ragazzi, fermi dinnanzi a qualche Madonna, delle quali non è
penuria sui canti delle vie di Roma, i quali cantavano devotamente o le
letanie, o recitavano qualche preghiera, o cantavan dei versi di questo genere:
«Evviva Maria,
Maria evviva;
Evviva Maria
E cchi la creò!
Affetti e pensieri
De ll’anima mia,
Lodate Maria
E cchi la creò!».
S’intende che quando erano avvinazzati, alle preghiere,
alternavano qualche bestemmia all’indirizzo magari di tutti i santi del
paradiso.
Spesso la sera dall’oratorio del Caravita, ove eravi eretto
un sodalizio di compagni e collaboratori de’ missionari, detto dei Mantelloni,
dal lungo mantello nero che indossavano, dopo la disciplina che si davano al
bujo, alcuni de’ più zelanti, uscivano dall’oratorio e seguìti da altri
bizzochi si sparpagliavano per la città, recitando il rosario intercalato da
divoti versetti come quelli surriferiti, e giunti chi a tale chi a tal’altra
immagine, ivi intonavano le litanie.
Al fine di queste e di altre orazioncelle, ciascuno al saluto
di Sia laudato Gesucristo rispondeva con un Sempre sia laudato, e
se ne andava pe’ fatti suoi.
11. — La Dottrina Cristiana.
Nelle ore pomeridiane della domenica, un’ora prima di cominciare
nelle chiese la spiegazione del catechismo, solevano i parrochi mandare in giro
per la parrocchia un chierico con la croce accompagnato da alcuni ragazzi che
sonavano uno o due campanelli e gridavano in coro: «Padri e mmadre, mandate
li vostri figlioli a la dottrina cristiana; chè si nun ce li manderete, ne
renderete conto a Ddio!». La quale cantilena era succeduta e seguìta da
grandi scampanellate; dopo di che la si ricominciava daccapo.
12. — Li svegliatori notturni.
Li svejatori eran coloro che esercitavano l’ufficio
di correre a svegliare i viaggiatori, nei beati tempi in cui si viaggiava in
diligenza.
13. — Il Figurinaio.
I figurinai, dalle scarne sembianze, dalle vesti
sdruscite, sotto alle quali intisichivano talvolta anime elette di artisti,
ridotti a far pupazzi e a portarli in giro per le vie, cantando per vivere:
— Figurinâio, figurinâio!
14. — Lo Scarfarottaio.
«Gli scarfarottari, accasciati sotto il peso di un
grosso canestro ricolmo di scarpe e di pianelle andavan gridando:
— Scarfarotti e stival’ a la modaa!».
15. — L’Anticagliaro.
Anche questa figura scomparsa totalmente, andava in giro,
offrendo la sua merce al grido di:
— Anticaje e ppietrèlle!
16. — I Nummerattari e riffaroli.
— Pijalevelo, donne, er 28!
— Ce n’è arimasto uno! Chi sse lo pija? Chi sse la gode
’sta gallinaccetta?
Ciò dicendo, mostrava il premio che si sarebbe guadagnato la
persona la quale vinceva alla Riffa o al Nummeretto.
11. — Lo Sticcalegna.
Il tagliatore di legna da fuoco, che andava per Roma,
cercando lavoro con la scure in collo.
18. — L’appiccia-fuoco.
Proibendo la legge mosaica agli israeliti di accendere il
fuoco nei giorni di festa, alcuni sfaccendati cristiani, il venerdì sera,
dall’ora in cui suole entrare la festa a tutto il sabato successivo, percorrevano
le strade del Ghetto, offrendosi a quell’ufficio, gridando:
— Chi appìccia, chi appìccia?
19. — I venditori di Crescioni.
Usando farsi la cura dei crescióni nella primavera,
in quell’epoca, si udivano alcuni venditori gridare:
— Crescióni: chi vvô’ ffa’ la piscia frescaa?
20. — Il rivenditore dei rimasugli delle cucine.
L’antico rivenditore degli avanzi delle cucine signorili e
delle trattorie, andava con un grande schifo sulla spalla, pieno di ogni sorta
di cibarie, gridando:
— Oh cche cciccia, oh cche ónti!
21. — I Trippaioli.
Gli antichi Tripparoli, con il loro schifo in
testa ripieno di trippe, zampi, pezzi di testa di vitello e di vaccina, e
d’altro:
— Trippa, pieducci e tutto er grugnaccio!
22. — Il Lanternonaio.
Tutte le vigilie delle feste dei Santi e delle Madonne, in
cui si era soliti illuminare le finestre delle case, questo venditore andava in
giro per le strade di Roma, spingendo un carrettino, ricolmo di lanterne di
carta a varii colori (con suvvi stampato il Santo o la Madonna festeggiati),
chiamate Lanternoni.
Egli per invitare la gente a comperare la sua merce, gridava
con voce stentorea:
— A ccinque una grossata16, dieci una
pavolata17, venti una papettata18, trenta ’na
testonata19, li lanternóooni!...
23. — Il Cialdonaio.
Il cialdonaro, il venditore notturno di cialdoni
dalla voce stentorea che gridava:
— Cialdonâroo, cialdonii: quattro per un bajocco!
24. — Il venditore di supplì.
Andava attorno la sera, portando la sua merce in una specie
di scalda vivande appeso a un braccio, vestiva all’uso dei cuochi, e diceva:
— Caldi bollentii! Supplì di riso!
25. — Il venditore d’inchiostro.
Figura sinistra e sudicia, dalla voce sepolcrale; egli
grugniva:
— ’Nchióstroo ’a scrivee!
26. — Il Materassaio.
Al matarazzaro, figura grave e maestosa, per farsi
udire bastava battere le bacchette.
27. — Pan di ramerino
Così gridava, ancora pochi anni or sono, il venditore di
focaccine all’essenza di rosmarino.
28. — I Ciambellari.
Andavano attorno con la loro merce infilata in un bastone o
in un canestro, e gridavano:
— Di Lucca le ciambelle! El ciambellaro!
29. — Il pescivende.
Per il passato era israelita e per offrire la sua merce si
esprimeva così:
— Lo sciabbichèllo vivo!
— Li sardi da fa aròsto!
— Merluzzi e trije!
— Er cèfoloo!
30. — Lo scacciaragnaio.
Andava in giro nella settimana che precede quella Santa e
gridava:
— Lo scacciaraagnoo! Ripuliteve la caasa, donnee!
31. — Il Cenciaiuolo.
— Strâcci: chi ha ferrâccii!
— Strâcci, ferrâcci; chi ha scarpaccee!
32. — Il Caciaio.
S’udiva la mattina gridare a perdifiato:
— La marzolinaa, la marzolinaa!
31. — Gli spazzacamini.
I piccoli e macilenti spazzacamini lombardi o tirolesi che
sembravano rivestiti di fuliggine, con i piedi nudi, il viso nero:
— Spazzacamii’, spazzacamii’!
34. — In Carnevale.
Il venditore di confettacci ossia il confettacciaro:
— Confetti, conféee! Chi vvô’ li confèttii?
Gli affittuari di sedie o luoghi adatti a godere lo
spettacolo:
— Chi vô llòchi?
L’ultimo giorno di Carnevale, i venditori di
móccoli:
— È acceso er moccolo!
— Móccoli móccoli!
— Chi vô’ móccoli?
Altri rivenditori:
— Razzi d’amore, per un sòrdo!
— Bocché, bocché!20. Ecco fiori! ecc.
35. — La sera della Girandola.
Si affittavano palchi, logge, finestre e sedie:
— Parchi logge, finestre!
— Ecco piazze, ecco posti, ecco lendiere!
36. — I Santari.
I Santari o Pupazzari sui gradini delle chiese
offrivano il Santo di cui si solennizzava la festa:
— Un ber San Luviggi!
— Un ber San Filippo!
— Un sòrdo la vera e mmiracolosa immaggina de la Madonna
der Càrmine! ecc., ecc.
Sulla scalinata della Chiesa dell’Aracoeli, in tempo di
Natale:
— Un sòrdo la vera immagina miracolosa der santo Bambino!
— Un sòrdo un bambinello!
37. — L’arruotino.
Andava con la sua ruota, si soffermava ogni breve tratto, e
con voce squillante gridava:
— Arrotinoo, signori!
38. — Il venditore di cerase-marine.
Ora del tutto scomparso. Ecco il suo grido:
— Le cerase marinee!
39. — Le processioni.
Otto giorni prima, per le strade che dovevano essere
percorse dalla processione, passavano i Mannatari delle varie
confraternite, a due a due con grandi bordoni, e preceduti da uno o più
tamburi.
Gli ebrei davano in fitto i damaschi verdi, azzurri, rossi o
gialli per adornare i davanzali delle finestre.
Essi gridavano:
— Apparati per li finestri per la processione!
La strada che doveva percorrere la processione era
accuratamente spazzata, poi cosparsa di arena gialla sulla quale si gettavano
ramoscelli di mortella; poi si disponevano sedie, ed anche qualche volta
banchi e palchi che si affittavano al grido:
— Chi vô ssedie? Chi vô llochi pe’ vvede’ la pricissione?
40. — L’Ottavario de’ Morti.
Nelle rappresentazioni sacre che si facevano con statue di
cera di grandezza naturale, nei varii cemeteri delle confraternite, come a
Santa Maria in Trastevere, a Sant’Onofrio, alla Bona Morte, ecc. ecc. un gran
numero di poverelli si collocavano lungo la strada e chiedevano l’obolo:
— Per quelle povere anime che pregheno Ddio per nnoi!
La Compagnia della Morte1 aveva, come è noto, per
istituto di andare a raccogliere i poveri morti abbandonati per le campagne che
poi seppelliva nel suo Oratorio.
I due confratelli incaricati di ricevere all’ingresso
dell’Oratorio le elemosine dei visitatori della rappresentazione che vi si
faceva nell’Ottavario de’ morti, agitando il bossolo, dicevano con voce
profonda e cadenzata:
— Poveretti che moreno per le campagne e seppelliti per
l’amor di Dio in questo santo loco.
41. — Il venditore di capretti e di abacchi.
Il venditore di abacchi, nella stagione autunnale, e
di capretti, in primavera, percorreva la città con la sua cavalcatura
munita di due grandi ceste, nelle quali eranvi o agnelli o capretti di latte,
vivi, che offeriva per quaranta, cinquanta o al massimo sessanta bajocchi
l’uno.
42. — Il capraio.
Nella stagione primaverile, ancora fino a pochi anni fa, il
capraio, con il suo gregge, si partiva, nella notte, da parecchie miglia
lontano, per trovarsi alle porte di Roma allo spuntar dell’alba.
Quivi giunto, prendeva stanza in un crocevia o in una
piazzetta, ove il posto eragli stato precedentemente assegnato dalle autorità
municipali.
Al suo acutissimo fischio, con cui si segnalava, le donne di
casa scendevano in istrada, quali con una cuccoma, quali con bicchieri a
comperare il latte per la loro colezione.
Compiuta la vendita (non più tardi delle ore 9 ant.), il
capraio, raccolte le sue capre, doveva subito ritornarsene al lontano abituro
da cui nella notte erasi partito.
43. — Il carnacciaro.
Vendeva nelle prime ore della mattina, e vende tuttora,
carne di carogna per i gatti. Egli non ha bisogno di gridare.
Ad un suo sibilo (che in Roma chiamiamo comunemente sordino),
i gatti, già in vedetta o sulle porte delle botteghe o sugli usci delle case,
gli si fanno attorno e si precipitano con voracità sul bajocco di carne che il
venditore getta loro in pasto.
44. — Granarole, lavandaie, ecc.
Oltre poi ai molti venditori cantaiuoli, erano parecchi
mestieri che si esercitavano in mezzo alle strade di Roma.
Ciabattini, manescalchi, ferrai, funari e granarole. Queste,
stando sedute fuori dei granai o presso l’anfiteatro Flavio, o in via di santa
Prassede o altrove, mentre sceglievano il grano in ampi schifi, posti
sulle loro ginocchia, non facevano che vociare e stornellare da mane a sera.
Altrove rivenduglioli che, coi loro banchi, occupavano vie e
piazze, come i pollaroli e trippaioli, intorno al Pantheon e lungo la via dei
Crescenzi; ferravecchi, rigattieri, in piazza Navona, Campo de’ Fiori, ecc. E
fuori delle chiese e nelle pubbliche passeggiate, mendicanti, uomini e donne, i
quali, per meglio commuovere i passanti, mostravano le più orrende mutilazioni
e le piaghe le più schifose, ovvero si tiravano dietro quattro o cinque
fanciulli scalzi e laceri, avuti magari a prestito, per quattro o cinque soldi
l’uno al giorno, da qualche loro commare che cercava di mettere a profitto la
sua fecondità.
Aggiungete a tutto questo ben di Dio un numero considerevole
di lavatoi pubblici, unico rimasto del genere quello sulla piazzetta de’
Miracoli, e fino a pochi anni dopo il 1870, quell’altro, nel cuore della città,
che era addossato al giardino pontificio del Quirinale e che aveva dato il nome
alla via del Lavatore del Papa, ora via del Lavatore.
Potete immaginare, da simili congreghe, le continue liti, le
grida, le contumelie e gli esempi di bel parlare che ne venivan fuori!
Voci odierne.
«Arrestandoci soltanto alla vecchia Roma anteriore di poco
al 1870, quante altre figure singolari impresse nella memoria, quante altre
voci rimaste nell’orecchio come malinconico ricordo di altri tempi!... I fratelloni
di San Giovanni Decollato, figure sinistre che andavano per le botteghe a
chiedere l’elemosina per suffragare l’anima del condannato a morte; le tavolozze
sui canti delle vie; gli smoccolatori col cartoccio nei trasporti
funebri i cui cadaveri si portavano scoperti; talvolta un bel parlatore che si
divertiva a raccontare una storia: si faceva cerchio intorno a lui; e a misura
che l’uditorio ingrossava egli alzava la voce... I barbereschi in
Carnevale, presti ad afferrarsi alle criniere dei cavalli, emettendo grida
selvagge; gli spacciatori di moccoletti nel martedì
grasso... I servitori di piazza affittati ad ore; il burattinaio
col casotto, gli improvvisatori di stornelli, e gli sminfaroli
autentici, le processioni, i frati cercatori, i maghi,
i giuocatori del numeretto, i piccoli e macilenti sonatori d’arpa,
i ragazzi cantori di canzonette al suono dell’organino, il sigaraio
notturno, il cenciaiuolo con la lanterna, il barbero
vincitore portato in trionfo; i missionari predicatori in piazza
della Rotonda, ecc. Sembrano ricordi di tempi arcadici, tanto quei giorni
paiono lontani».
45. — Il mosciarellaro.
Ultimo attore superstite delle feste popolari della vecchia
Roma.
Il Belli in una nota de’ suoi sonetti, così ne scrive
«Alcuni uomini tutti del Friuli, vanno per Roma gridando:
— Moscia, moscia: oh fusaglia dolce: Mosconi, ragazzi!
Sono i così detti mosciarellari o fusagliari
che vendono castagne infornate (mosciarèlle) e poi bollite, lupini (fusaglie)
e mosconi verdi… Scarafaggi
questi più grossi delle cantaridi, i quali si trovano ordinariamente sui fiori
di sambuco.
«I ragazzi li legano con un filo a uno zampino, e si
divertono a farli volare. Perciò i fusagliari fino a quaranta o cinquant’anni
fa, li andavano vendendo. Ma oggi questa piccola industria è affatto cessata e
sono anche rari quelli che la ricordano».
Attualmente il Fusajaro grida:
— Mosciarellaro, fusagliaro!
E più comunemente
— Fusaja dorce!
46. — Li venditore di noci.
— Bianca la nocee!
47. — Il brusculinaro.
Anche questo è un ultimo attore superstite delle feste
popolari della vecchia Roma, grida vendendo semi di zucca secchi:
— Bruscolini: chi vvô er brusculinaro?
— Spassâteve er tempo: er brusculinaroo!
48. — L’acquacetosaro.
Va in giro per la città, appena è l’alba, e guidando un
somarello o un magro ronzino che si trascina dietro un carretto con alcune
ceste piene di piccoli fiaschi, canta:
— Friescaa, friescaaa, l’acquaa acetósa!
49. — Il venditore di utensili di legno.
È abruzzese. Va curvo per il peso di una canestra nella
quale porta una quantità di utensili da cucina, e grida:
— Peparóle e cucchiaaà!
— Schifiètte, schifiétte!
50. — I venditori di lunari.
Sono contadini marchigiani. Nel passato vendevano quei
lunari chiamati li buciardèlli, e andavano gridando:
— Lunari in foglio, e lunari a libbretto!
Mentre ora dicono:
— El Barbanera, lunario nôvo!
51. — La sera di Pasqua Epifania.
Un tempo in piazza Sant’Eustachio:
— Un sordo un traccagnino!
— Un bajocco un turullullù!
— Un maecco un gobbo cor
fischietto ar culo! ecc.
Attualmente la stessa sera in piazza Navona:
— Un sòrdo un muntuvare guasi d’oro!
— Un ber purcinèlla, un arlecchino, una trombetta!
ecc., ecc.
52. — La sera di san Giovanni.
Durante la baldoria che si usa fare in piazza di San
Giovanni in Laterano, e strade adiacenti:
— La spighetta!
— Er garofoletto!
— Li capi-d’ajo!
— Lo scopijo! ecc., ecc.
53. — Il melacottaro.
Gira la notte, nell’inverno, con una marmitta di rame
stagnato, sostenuta da una tracolla:
— Pettorali! - Bollenti - Mela cotte!
54. — Il peracottaio.
Il venditore di pere cotte, va attorno nelle ore
afose del caldo, cantando con voce stentorea una lunga filastrocca di parole
per attirare i compratori. Ma comunemente grida:
— So’ ccanniti le péra côtte bbônee!
A’ miei tempi eranvene alcuni che alla voce stupenda
accoppiavano la virtù d’improvvisare versi, lodanti la loro merce, e,
appropriandoli al primo che s’imbatteva sulla loro strada, un frate, una
monaca, un paìno, ecc.
— Cé l’avémoo visto méttee ér zucchero, le peracottee
bbònnee calle calle; per un sòrdo, callee!
Ovvero:
— Le peracotte calle, a quer paìno,
Che ccià ’na panza com’un
violino,
Je farebbeno mejo de la manna,
Ma pperò ccià una fame che sse
scanna;
E, poveraccio, ha vvoja a
rimirallee
Le peracotte bbône, calle
callee!
55. — La lumacaia.
Con uno o due canestri appesi alle braccia, grida a
squarciagola:
— Ce ll’ho dde
vigna le lumaachee !
56. — Il venditore di mòre.
Nelle ore afose dell’estate, sotto alla sferza del sollione,
s’udiva e s’ode ancora, sebbene più raramente, il lamentevole ritornello del
venditore di mòre:
— Le mòoree faattee: chi le magnaa le móoree!
57. — Il giuncataio.
Dal giorno dell’Ascensione in poi questo venditore, quasi
sempre un contadino marchigiano, va la mattina, vendendo la gioncata che tiene
in un secchio di latta:
— Giungatina frescaa!
58. — L’acquavitaio.
Va in giro nelle ore della notte fino ai primi albori. Egli
con voce sommessa, dice:
— Acquavitaa, acquavitaroo!
59. — Il caffettiere notturno.
Va attorno nelle ore stesse del suo collega l’acquavitaio, e
su per giù, con lo stesso tono di voce, dice:
— Caffè, per un soldo!
60. — li venditore di uova sode.
Lo si vedeva in giro, e ci va tutt’ora, sebbene raramente,
in primavera, e nelle prime ore della notte:
— Ova toste, ova, ohé!
61. — L’olivaro.
Si mostra per lo più d’inverno, nelle ore pomeridiane. Come
il suo collega l’ovaro, entra in tutte le bettole ed offre la sua merce al
grido di:
— Oliva dorcee, olivaa!
62. — Il cenciaiuolo isdraelita.
Lacero, con il sacco sulle spalle, si fermava ad ogni tratto
di strada, poneva la mano all’orecchio, e con voce gutturale, gridava:
— Aèoo!
Grida che ora ha cambiato con l’altro:
— Ròbbi-véecchii!
63. — Il venditore d’agli e scope.
È comunemente un contadino marchigiano. Porta sulle spalle
un fascio di scope e di spazzole, ed in mano delle serte d’agli:
— Lo scoparoo, ajaroo!
64. — Il Pappinaro.
Si mostra nell’estate, sospinge un carrettino dipinto a
vivaci colori contenente la sorbettiera, e grida:
— Che rosso d’ovoo, che gelàa’!
65. — I venditori di legna da ardere.
Vendono fasci d’arbusti da ardere, razzolati nelle siepi a
traverso a mille disagi, nelle brume del dicembre.
Sono poveri contadini che vanno curvi sotto il peso
del loro fardello e a voce sommessa gridano:
— Fascii, fascii!
66. — Il cocomeraio.
Espone la sua merce sopra alcune scalette di legno, nei
quartieri più popolari, e grida a squarciagola:
— Curete pompieri che vva a ffocoo!
E sulle stesse scalette anni sono eravi scritto, p.
e.:
«Venite da Riccétto1
Che vi rinfresca il petto:
Cocommeri sotto il ghiaccio
Una fétta un bajoccaccio!».
«Venite tutti dal Moretto1
Che guarisce il mal di petto
Cor un soldo che voi stendete
D’ogni mal salvi sarete, ecc.».
67. — L’ombrellaio.
Vende ombrelli vecchi raccomodati ed anche nuovi; e si offre
di accomodare i guasti a chi ne ha:
— Ombrellaio: chi ha ombrelli rótti d’accommodaree!
68. — Il venditore di castagne lesse.
Gira con la sua caldaia colma di castagne e grida:
— So’ ccalle che bbùlleno!
69. — I venditori di ciliegie.
— So’ ttoste come le pietre ’ste cerase!
— Senza l’amico!
— Le Ravénnee!
— De Ravénna, le cerase! ecc.
70. — Il lumaio.
— Lumaio! Belli lumi a petrolio, signori!
71. — Il cicoriaro.
— Cicurietta da côce: la cicurietta!
72. — Lo stagnaro.
Reca la sua merce in un canestro o sopra un carrettino a
mano, e grida:
— Un ber cùcchimo, donnee!
73. — Lo stovigliaio.
Va anch’esso per le strade, con la sua merce affastellata
sopra un carrettino, e l’offre al grido:
— Er pilaro donnee!
74. — L’acconcia-stoviglie.
Si trascina dietro un piccolo carrozzino sul quale sono
riposti gli utensili del suo mestiere, e grida con voce lamentosa:
— Chi ccià ttigami, tinozze e cunculine rottee
d’accommidanee!
75. — I fiammiferai.
— Prosperi: lo volete er prosperaroo!
— Ceerinii:
du’ scatole pe’ ttre ssórdi!
76. — L’acquafrescaio.
Va attorno nei mesi caldi con un cappello di paglia a larghe
tese, una secchia d’acqua, una canestra con l’occorrente per bere, e grida:
— Acqua fresca, zucchero e llimó’! Rifrescateve la
bbocca!
77. — I venditori di sòrbe e di nèspole.
— So’ mmatuuree le sóorbee!
— So’ mmatuuree le nèspole!
78. — L’erbaiuola.
Con la sua vocetta acuta è penetrante, grida:
— Com’è bbianca ’sta lattuca!
— La riccetta, l’indivioletta, la rughettaa!
— Come ce ll’ho riccia!
79. — Lo strengaio.
— Lacci pe’ le scarpee!
80. — Il coltellinaio.
È per lo più abruzzese. Egli canticchia nel suo dialetto e con
voce monotona:
— Campobasse, cortelle, signorine!
81. — Il venditore e la venditrice di fichi.
— Ce ll’ho bbôni davero!
— Dieci un sòrdo li fichi!
— Quant’è bbôna la fica mia!
— E cchi li vô’ mmósci?
82. — Il venditore di dolci.
— Er mustacciolaroo!
— Er ciammellaroo!
83. — Lo spazzino o mercantino.
È generalmente israelita:
— La fittuccia, donnee!
— Il cottone per le calze, donnee!
84. — Il venditore di mandorle fresche.
Da noi si chiamano anche caterinóne e mmandoline.
Ed ecco perchè nel venderle il venditore grida:
— Caterinonee grossee e tteneree: so’ der giardino
teneree!
— Ha ingrossato le chiappe, caterinonaa!
85. — Quello di mandorle sécche.
— Le mmàndole capate, un sórdo trenta!
86. — L’erbivende.
Va attorno con un gran canestro appeso al braccio, o con un
carrettino a mano, e urla come un dannato:
— Le pataaate! Le cucuzzee!
— A 20 a ppavolo li carciofoli e scialate.
— Pe’ cchi vô ffa’ er sugo d’oro, a ddu’ baòcchi li
pummidoro!
— Auffa li pommidoro, auffa le patatee, ecc.
87. — Il venditore di nocciuole.
Va spingendo un carrettino tutto adorno di specchi, di carta
fiorata, di immagini di sovrani, ecc. Egli grida con voce nasale:
— Nocciuoline americane calde caldee!
88. — Il venditore di orarii delle ferrovie.
— È ccambiato l’orario!
89. — Il venditore di frutta candite.
— Canditi fini, signori!
90. — Il venditore di fiori di Pasqua.
Adesso se ne vede qualcuno raramente; ma prima il Sabato
santo, nella mattina, questo venditore andava con un carrettino colmo di fiori
e di erbe odorose come viole ciocche, viole pansè, salvia, rosmarino, menta,
persa, ecc., coi quali si cospargono i piatti delle uova, del salame, e il
tavolo sul quale si pranza.
Egli gridava: La Persa, la menta, le viòle e ttutte sorta
d’erbe fine e odorose.
Un tale di questi venditori ci ricamava anche dei versi di
questa fatta:
«Pe’ vvojantre, bbelle spose,
Ffiori e erbe, ció odorose.
Pe’ vvojantri, giuvenotti
V’ho pportato li decotti,
D’ortica, marva e ppalatana
Tutta robba che risana, ecc.
ecc.».
91. — I giornalai.
È inutile parlarne. Sono tante le grida dei giornalai e così
diverse, che per enumerarle tutte non mi basterebbe un’altra metà del presente
volume. E poi a qual pro, se ad ogni passo, delle loro grida, ne abbiamo
intronate le orecchie?
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