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Luigi Zanazzo Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma IntraText CT - Lettura del testo |
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Piccolo saggio del gergo dei Merciai di Roma. Un cranfo e zemmo: Un franco e mezzo. Tiè chiodo loque: Tien d’occhi quello. Daba che bura, ecc: Bada che ruba, ecc. Alcuni invece intercalano ogni sillaba delle parole con un vi, con un ti, ecc. Per esempio, per dire: Bada che ruba, diranno: Vibavidavi che viruvibavi, ecc. Un suonatore di teatro, un musicante, ad esempio, per dire che sta in bolletta, dirà ai suoi colleghi: Sto ssénza chiave in do o anche: Nu’ stanzia pila in berta. Un vetturino o cocchiere, per dire a un suo collega che ha più debiti che crediti, dirà: So’ più lladri che sbirri. Un macellaio per non far capire a’ suoi avventori che il tal pezzo di carne va in malora o puzza dirà col suo garzone di bottega, per esempio: Quel lòmbo va da Meo, o anche: va da Mariòtti. E così di seguito. Un ebanista, un falegname romano, parlando di un mobile qualsiasi, poco solido, mal costruito, vi dirà: è un marangòne. Per la ragione, che molti anni or sono in Roma un certo Marangoni, ebanista, costruiva dei mobili da poco prezzo, i quali non essendo fatti secondo le regole dell’arte, erano dai conoscitori male giudicati. Quindi d’allora, per i falegnami, ogni mobile male costruito è un marangone.
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