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Luigi Zanazzo Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma IntraText CT - Lettura del testo |
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74. — Mio bel castello. Una diecina di ragazzi si prendono per mano; due altri di essi, che fanno da capi-giuoco, si pongono a una certa distanza parallelamente, e poi facendosi loro incontro, cantano:
«O mio bbel castello, Marcondìrondirondà».
E gli altri fanciulli, in coro:
«È ppiù bbello el nostro, Marcondìrondirondà».
E nel rispondere così, rincalzano i due primi fino al loro posto. I quali primi, alla lor volta, respingono indietro i compagni, dicendo:
«E noi l’abbruceremo, Marcondìrondirondà».
E gli altri, come sopra:
«E noi l’arifaremo, Marcondìrondirondà».
E i due primi:
«E noi ce leveremo una pietra, Marcondìrondirondà».
E gli avversari:
«E noi ce l’arimetteremo, Marcondìrondirondà».
Cantilena che seguita a piacere fra i contendenti, finchè non si viene a patti fra loro. Allora i due primi cedono il castello, ma ad un patto:
«E noi ve lo cederemo, Ma la ppiù bbella venga qua».
Gli avversari accettano, e in cambio mandan loro una compagna. E il giuoco seguita fino a che essi son tutti passati, o meglio si sono ceduti ai due primi, meno due di loro, i quali prendono il posto dei due capi-giuoco, per ricominciare da capo, qualora ne avessero la volontà.
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