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Matteo Bandello
Canti XI... Le III parche

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  • Paolo Battista Fregoso a la molto illustre e vertuosa eroina, madama Gostanza Rangona e Fregosa
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Paolo Battista Fregoso a la molto

illustre e vertuosa eroina, madama

Gostanza Rangona e Fregosa

 

 

Sono giá molti giorni, valorosa e illustrissima Madama mia sempre onoranda, che avendo io piú e piú volte letto quelle rime o siano stanze, come volgarmente si chiamano, che giá, qualche tempo è, compose il nostro vertuoso messer Matteo Bandello in lode di quella gientilissima signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo, e parendomi che secondo il mio giudicio, quale egli si sia, che fossero degne andare per le mani de li dotti, quello molte fiate con oneste persuasioni m'ingegnai indurre a volerle dare fòra, e lasciare oggi mai, non ne devendo essere se non commendato, che il mondo vedesse ciò che egli veritevolmente ha cantato de le rare doti di quella vertuosa e cosí eccellente eroina, e altresí di tanti effetti d'Amore in ricercando come si deve amare. Ma egli, che che se ne fosse cagione, a le mie oneste persuasioni e piú che preghiere, non volle le orecchie prestare giá mai. E nondimeno chiunque lo prattica lo conosce per uomo nasciuto piú tosto a compiacere a gli amici suoi che a se stesso. E io pure per infiniti esperimenti ho sempre potuto persuadermi essere tra li suoi piú cari uno de li primi. Ora non potendo scemare il desiderio che io avea di vedere questo bellissimo poema stampato, poi che a piú di uno segno conobbe le mie parole spargersi al vento, perciò ch'egli era pure disposto tenerle in oscura prigione, e non le dare a modo alcuno la desiata luce, feci tanto che a le dette stanze, non so come, m'avenni, ed ebbi via, senza che egli punto se ne avedesse, di potermene impatronire. Il che mi successe bene ch'elle vennero a salva mano in mio potere. Onde trovatele di mano propria di esso Bandello iscritte deliberai, avenissene ciò che volesse, fárle stampare, persuadendomi che quando questo fosse fatto, che egli il tutto si prenderebbe in pazienza, perciò che pazzia nel vero troppo espressa sarebbe, ove rimedio alcuno porre non si può, volervisi affaticare, e raccogliere, come si dice, e' venti con le reti. Egli non potrá giá essere che ciò che sará fatto sia non fatto. Né a questo mi sarei io da me stesso mosso, se prima non avesse sentito sovra queste stanze il parere di molti uomini dotti, e massimamente quello del giudicioso giudicio de l'oculatissimo, e in ogni sorte di dottrina eminentissimo, il signor Giulio Cesare Scaligero, uomo nel vero tra li dottissimi nobilissimo e tra li nobilissimi dottissimo, il quale ha giudicato che sono degne de la luce e vista del publico, e che meritevolemente ponno volare per le bocche de li dotti, come nel suo cultissimo epigramma, in fronte de le stanze collocato, si puote chiaramente comprendere. Ebbi anco insiememente le Tre Parche, dal Bandello cantate nel tempo del parto di Vostra Signoria, quando Quella in Verona partorí il suo primogenito, il signor Giano Fregoso, le quali allora esso Bandello donò a la felice e onorata memoria del valoroso e lodato cavaliere il signor conte Guido Rangone, fratello di Quella, come per una sua Epistola che gli scrisse si vede. E perché queste Parche ho io sentito da giudiciosi ingegni, come cosa bella e poetica commendare, mi parve anco non lasciarle piú lungamente dormire. Mosso adunque da la openione e saggio giudicio di chi piú sa, e dal mio desiderio spinto, ho voluto che il piacere che io leggendo belle rime gustai, fosse anco ad altri communicato, portando ferma openione che non potesse se non dilettare e giovare pure assai la loro lezione. Cosí avessi io le sue Rime, le Novelle, gli amenissimi suoi Giardini, e altre sue composizioni cosí latine come volgari, che altro tanto farei quanto ora faccio di queste. Deliberando adunque di fare imprimere le sue stanze e le Parche, parvemi senza dubbio convenirsi che io le divolgassi sotto il nome di qualche onorato personaggio, non mi scostando del commune uso di quasi tutti quelli che qualche opera, o loro o d'altrui, mandano fòra. Onde tra me stesso or uno, or altro ramemorando, mi sovenne non ci essere persona, cui piú ragionevolemente elle si convenissero, che al chiaro e famoso nome di Vostra Signoria. E primieramente perciò che io so che quella ha piú fiate con oneste ragioni esortato esso Bandello che volesse le dette stanze, giá tanto tempo fatte, levare di bocca a' tarli, e non lasciarle, oggi mai piú ne la polve consumarsi. Rammentomi poi alcuna volta averlo udito dire, che egli era di animo, se mai le faceva istampare, che ad altri non le dedicarebbe che a l'onorato e valoroso nome di quella cui egli per infiniti rispetti di continovo riverisce, ammira, loda e onora. Per tanto, come egli le veggia esser publicate col nome in fronte di Quella, io mi rendo certo che per riverenza di lei non ardirá garrirmi giá mai. Ché forse, quando il chiaro nome di Quella non vedesse posto per iscudo a queste sue composizioni, io non so ciò che di lui sperare mi devesse. Ma, o egli si adiri meco, e pien di corrucci me ne faccia qualche gran romore in capo, o si prenda questo mio fatto in grado, io averò pure partecipato queste sue dotte e vaghe composizioni con il mondo, e non lascierò morire la fama di tanti e tali eroi, e tante e cosí gloriose eroine, quanti e quali egli ha in queste sue poesie celebrato. E chi sa che egli di queste non avesse altro tanto fatto, quanto giá fece di qualche altro suo parto, che non li satisfacendo cosí a pieno, come averebbe voluto, egli consacrò a Vulcano? Però, col mezzo e aiuto mio, le stanze e le sue Parche saranno fòra di periglio, e io spero non ne devere essere se non da elevati ingegni e spiriti gientili lodato, essendo quei che dilettevole e utile opera publicherò. Eccovi adunque, umanissima e cortese Madama mia, le stanze e Parche del nostro Bandello, le quali io prendendo sicurezza de le cose sue, come di uno mio piú caro amico, e cui io ho sempre in luoco di onorato padre riverito, vi dono, e al vostro nome consacro, acciò che con queste, non potendo per ora di piú, manifesti il desiderio che ho di sempre onorarvi, e con le opere de la vita eternamente servirvi, pagando con questo in qualche parte gli oblighi immortali per li beni da voi ricevuti. Ora non dirò io del candore e de la soavitá de lo stile, né de la varietá de le cose dotte, che per entro queste rime sono sparse, che sono come nel trasparente e sereno cielo le dorate e lucenti stelle, per non essere mia professione giudicare di questo, che da picciolo fanciullo fui nodrito, e sempre cresciuto ne l'armi sotto la militare disciplina de la eternamente con prefazione di onore da essere nominata, la felice e sempre acerba memoria di quello incolpato e valoroso cavaliere, il signor Cesare Fregoso, consorte di Vostra Signoria. Lascierò il giudicio a quelli che le vorranno leggere, giovandomi credere che a tutti in qualche parte recheranno profitto e diletto, perciò che e' mi pare che ciascuno, sia di che professione si voglia, ci possa trovare cibo a lo stomaco suo convenevole,. Degni adunque la Signoria Vostra accettarle e tenerle care per che sono belle, e anco per rispetto del padre loro, che tanto sempre le è stato ed è umile, obediente e fedele servitore. Quando dapoi talora, sostenendo Quella la persona del signor suo consorte, in vece del quale a tanti suoi criati e servitori è rimasa sostegno e guida, ella in li molti affari che ha, e ove tutto il in questa sua anzi pur nostra e di tutta la famiglia Fregosa contraria fortuna si trova involta, e che cosí vertuosamente sopporta, si sentirá in parte fastidita, ella potrá queste rime pigliare in mano, e in quelle diportandosi dare uno poco di alleggiamento e refrigerio a le sue mordaci cure, le quali, nel vero, sono noiose e gravissime. E chi ora mai per la Europa non sa le percosse che avversa fortuna le ha date? Chi non sa, oltra le molte fatiche, i continovi e pungenti fastidi, i perigliosi e lunghi viaggi che quella ha fatti, e le pene che ha sofferte e soffre tutto il per allevare li signori suoi figliuoli, e fare che riescano tali quali al sangue Fregoso e Rangone si conviene, non cessando mai di porgli innanti a gli occhi di quale e quanto padre sono figliuoli? Ma tornando a queste poesie, dico che la Signoria Vostra vederá quanto poeticamente il nostro Bandello abbia la beltate e le rare doti de la Signora Lucrezia di lei nipote descritto, cantando insiememente tanti altri eroi e eroine, e come con leggiadria in picciolo fascio restrigne li molti e immortali fatti del signor suo consorte, che, a mal grado di morte e del tempo, gireranno eternamente, e saranno uno acuto sperone a tutti e' Fregosi di sforzarsi d'imitarlo, e massimamente a li signori suoi figliuoli, che deveno farsene uno specchio, e averlo sempre innanzi a gli occhi. Vederá anco la Signoria Vostra come parlando de l'Amor terreno egli si levi a parlare de l'Amor divino, e come sotto varie e bellissime fizzioni egli descrive la conversione del peccatore, e il modo con cui si ritorna a Dio. Ritroverá poi il luoco che dentro il sacro tempio di pudicizia meritevolemente a quella ha preparato. Del che deve ella tenersene da molto piú, poi che la sua vertú e il donnesco valore le ha in vita acquistato ciò che poche donne di rado dopo la morte si acquistano. Potrá poi il signor Giano suo primogenito leggere tutto quello che di lui ha voluto esso Bandello cantare, bramando che tale divenga quale l'ha descritto. Ben si deve sforzare con ogni diligenzia non farlo parere bugiardo, come speriamo per la indole che dimostra che egli fará. Né per ora le sarò piú con questo mio rozzo e zottico dire molesto, pregando il datore di ogni bene, il nostro signore Iddio, che lungamente la conservi. E a la sua buona grazia umilemente mi raccomando.




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