Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Matteo Bandello Canti XI... Le III parche IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
CANTO IX
1. Poi ch'ebbe cosí detto il Vecchio santo, d'un arbuscel su 'l tronco il braccio pose, e su la destra mano il capo a canto per posar meglio allor egli ripose. I' che 'l vidi cosí sospeso, alquanto mi posi a ruminar le dette cose, e mi parea sentir in mezzo 'l core starsi la donna mia con novo ardore. 2. Piú bella de l'usato mi parea, e piú ver me cortese, umana e pia. E tant'in questo il mio pensier s'ergea, che meco ragionar quella sentia. Ella con voce chiara lui dicea: «Amico, ora mi par che mio tu sia, mercé del mastro tuo che ben t'insegna, come mio resti ed io la tua divegna, 3. Attendi a quant'in cor egli ti scrive, che 'l ver gli scrive pur a tuo profitto. Questo facendo a le tue dure e vive pene che soffri il fin sará prescritto. Fa che mai sempre basse voglie schive, ed abbi, com'in asse un chiodo fitto, fitto nel cor il fin di tutte l'opre, prima che man vi metti e che tu l'opre». 4. Cosí diceva, e parvemi ch'allora ella partisse e pur restasse meco. Del bel boschetto uscir la vidi fòra, ed io nel bosco stando andava seco. Confuso in me, come divien talora chi senza guida si ritrova cieco, mi diedi a ripensar ciò ch'ella detto m'aveva, e posto dolcemente in petto. 5. E ben conobbi ch'ella disse il vero, che de le cose il fin pensar si deve. Non fôra al mondo mai piú bell'impero, che 'n cor aver descritto questo breve. Sarebbe veramente l'uomo intiero, non mobil, non soperbo, iniquo o lieve, e fôran l'opre nostre buone e tali che 'n vita ci farebbeno immortali. 6. Se de l'oprar il fin pensasse l'uomo, e con bilancia giusta il ponderasse, sarebbe il vizio discacciato e domo, che la ragion sí spesso serva fasse. E 'l gusto de l'acerbo primo pomo, che fòr de l'orto i primi padri trasse, si temprarebbe con quel modo e norma che la ragion c'insegna e sempre informa. 7. Ma tant'avezzo è 'l gusto al mal sapore che cosa buona non li piace o aggrada, e tanto puote in noi sí fatt'errore, ch'oprar pensando ce ne stiamo a bada. E spesso del camino essendo fòre, credemo caminar per dritta strada, e tanto può l'usanza mal prescritta che resta l'alma ogni or nel mal traffitta. 8. Tutto ciò ch'al ben far la strada addita, faticoso ne par e sopra umano, e 'l camin ch'a la morte l'uom invita, facile appare, spazïoso e piano. A questo porge tutto 'l mondo aíta con piacer folle, transitorio e vano, e quest'avien che 'l gusto nostro infetto scerner non sa dal buono il tristo obbietto. 9. Ma chi la mente purga col liquore che la ragione a' suoi seguaci instilla, il gusto innova e sí ripurga il core, che chiaro scerne l'una e l'altra stilla. Ratto l'amaro sente e 'l rio sapore, che 'l tosco sotto 'l mèl spesso distilla; onde gustar nol vuol né pur sentire, e mostra altrui come si de' fuggire. 10. Ch'ogni opra che si fa, quantunque trista, ritien del ben talor qualche sembianza: per questo il vizio assai seguaci acquista, col mal mischiando gioia e dilettanza; ma chi purgata e sottil ha la vista, vede de l'uno a l'altro la distanza. Onde si volge ogni or al camin destro, fuggendo quanto può sempr 'l sinestro. 11. Or se ne l'opre de la vita nostra s'erra sí spesso in tanti varii modi, d'Amor la strada assai piú chiaro mostra quanti vi stanno lacci e quanti frodi, ch'ivi col senso ogni diletto giostra, ove convien che l'uom spesso s'annodi: parlo d'Amor volgar, di quel crudele, ch'amaro tosco mischia in poco mèle. 12. E perché senz'Amor un uom mortale è com'un prato che senz'erba sia, quando si sente l'amoroso strale, che l'alma dal buon corso ne desvia, temprar si vuol Amor in modo tale che la ragione al suo governo stia, sí che non possa il senso soprastare perché deve ubedir, non commandare. 13. In quella casa ove 'l padron soggietto a l'altrui voglie si governa e vive, e chi servir devrebbe con effetto le leggi a' suoi maggior mette e prescrive, saravvi cosa mai di ben perfetto, sí ch'a mal fine al fine non s'arrive? Se contra il dritto di ragion s'adopra, come può buona farsi né degna opra? 14. Però lasciate la patente strada che va di mal in peggio senza fine: col passo di ragion ciascun sen vada e schiverá gli sterpi, sassi e spine. Giovani incauti, non istate a bada ma seguite d'Amor l'opre divine, ché chi d'opre leggiadre brama ornarsi, deve servo d'Amor ardendo farsi. 15. Ma perché molti fallano il sentiero, e, come fòr di strada sono usciti, san di rado tornar al calle vero, per strani errando e perigliosi liti u' s'intrican cosí che spesso un nero, torbido tempo ce li tien storditi, e tanto gli stordisse d'ora in ora, che forza è, che talor alcun vi mora, 16. i' che v'errai gran tempo e le pedate segui' del senso con mio gran periglio, se non prendeva al fin di me pietate chi mi soccorse col suo buon consiglio, come giá mai avrei da me trovate l'orme d'uscir da cosí grav'esiglio? Onde mi sforzo altrui mostrar la via che fòr di tant'intrichi l'uomo invia. 17. Per questo ho scritto quanto il mastro mio degnò sí saggiamente dimostrarmi, e ch'altrui giove ancor cosí disío, come ho sentito e sento ogni or giovarmi; ché qual prim'era, adesso non son io, e sento tutta via un altro farmi, ch'a dir il vero i' veggio in quant'errore er' io, dicendo che seguiva Amore. 18. I' me n'andava dietro al volgo ogni ora, mal conoscendo la beltá de l'alma. Or sí gran peso il cor piú non m'accora, ché piú non c'è sí ponderosa salma. E piú che prima la mia mente onora questa vergine saggia, bella ed alma, e la contempla ardita, pura e snella, vaga e leggiadra e d'onestate cella. 19. Dentro 'l mio cor, com'in sua propria sede, la bella donna assisa stassi sempre, e de l'eterno ben qui mi fa fede, volendo il mio desir che 'n lui contempre. Poi s'un punto mancar dal ver mi vede, il cor mi punge con sí dolci tempre, che ratto de l'error m'aveggio e accorgo, onde col suo favor il vero scorgo. 20. E sono i miei piacer con quella gioia che sdegno non disturba o gielosia: strada non c'è dov'entri affanno o noia, che 'n parte guasti tanta pace mia: sará mai sempre questo, fin che moia e vada al ciel ov'ella ogni or m'invia, a goder e fruir quel viver sacro di ch'ella in terra è vero simulacro. 21. M'insegnò questo il mastro che m'aperse, (o rara grazia), la mia chiusa mente, e tante belle cose e sí diverse dentro vi pose col parlar ardente, che 'l vero e santo Amor mi discoperse, mai conosciuto da la cieca gente: e cominciò drizzarmi su la strada, u', ch'al' ciel va, convien che dritto vada. 22. Stava pensoso il venerabil Veglio, come chi pensa a cose altiere e nove, e credo in me vedesse come in speglio ciò che v'ha posto a far che mi rinove. Onde mi disse allor: – Figliuol mio, meglio sará ch'i' segua e col parlar ti giove, fermando nel tuo cor quel buon disire, c'hai di voler il ver Amor seguire. 23. I' t'ho detto d'Amor vertuti assai, e molti effetti che produr ei suole: narrar la sua grandezza udito m'hai, e qual è 'l ver Amor, ch'amar si vuole; ma tanto non ne dico o dissi mai, de le sue doti generose e sole, che molto piú non resti ancor a dire, infinite sí sono, eccelse e mire. 24. T'ho messo innanzi gli occhi i duo Cupídi, e gli effetti che l'uno e l'altro fanno, t'ho mostro i tristi e quali sono i fidi sensi ch'Amor servendo casti vanno; ché velen, sangue e dolorosi stridi, u' regna il santo Amor, luoco non hanno. E parer varii ancor dett'ho d'alcuni, ravolti in veli oscuri, folti e bruni. 25. Farai come si dice che fa l'ape, che va fiutando tutte l'erbe e i fiori, ma non disfiora, né riceve in dape se non ch'a far il mèl sono i migliori. Non tutto quel ch'al gusto piace o sape, ma sol gli eletti e vividi sapori che puon purgar il cor tu prenderai: il resto intatto sempre lascierai. 26. E ben ch'i' creda che senz'altra guida tu possa caminar per questo regno, e scieglier quella strada ch'è piú fida senz'aspettar d'altrui la voce o 'l segno: ché senza ch'io ti parta o ti divida il ver cieleste Amor dal falso e indegno, tu per te stesso ben saprai qual sia quel che la mente nostra al ciel invia; 27. pur sará ben ch'i' scopra ciò che resta d'Amor e dica quanto mi soviene, ché tempo è ben ch'omai tua mente presta si levi a contemplar il primo bene. Apri ben gli occhi ed alza omai la testa, ché 'l vaneggiar a te piú non conviene, e mira chi ti va scoprendo i passi, ov' al bel monte con fatica vassi. 28. Or non lasciando il nostr'usato tema, ti dico Amor nel tutto ritrovarsi, cui senza, certo bassa né suprema parte potrebbe né mezzana darsi, ché 'l tutto unisse e di concordia estrema fa l'un con l'altro insieme collegarsi; ché se non fosse tra le cose Amore, caos sarebbe il tutto e cieco errore. 29. sí variamente pigne e ne dimostra, egli è 'l Fattore e quei che lo ricrea e lo conserva, imperla, indora e inostra. E senz' Amor qual arte mai potea cosa far bella in la mondana chiostra? Ei sol il mastro e donno esser si prova di ciò che l'arte e la natura trova. 30. Si può considerar di questo mondo esser tre gradi in quante vi son cose. V'è le superne, v'è le poste in fondo, e ciò ch'uguale la natura pose. Di quest'inferïori a tondo a tondo son le cagion ne le soprane ascose, ed elle per gli effetti lor ed opre dipendon pur da' corpi lá di sopre. 31. Le cose che tra lor eguali vanno, con certo ordine Amor regge e ristora. Le cagion sempre i nati effetti amranno, qual parte che da lor si cava fòra, e lor gli effetti lieti osserveranno, come da quelle conservate ogni ora: e di ciò tutto Amor è sol cagione, che quest'instinto ne le parti pone. 32. Or quelle cose che sí fatte sono, che s'ordinan quai membri a i corpi loro, vanno di par con ordine sí buono, che per Amor si dàn tra lor ristoro. E questo è quel cortese e caro dono, ch'assai piú val che ricco e gran tesoro, perché s'Amor è quel che dá la vita, egli anco a conservarla ogni or ci aíta. 33. Con quest'ordine vedi com'Iddio le gierarchie infiamma e quelle regge, e ch'elle poi d'Amor vivace e pio dànno a l'anime nostre certa legge. L'alma con lor, ch'Amor al corpo unio, l'informa, lo governa e lo corregge; onde vedi l'Amor ch'a le mondane cose portan le sacre e le soprane. 34. A l'alma il corpo con desir immenso, quando gli è infusa, subito s'aggiunge, e con dolor atroce e troppo intenso dal caro e amato spirto si disgiunge. L'alma a salir lá sovvra nel condenso globo del ciel Amor tenace punge, e se sviata non sará da i sensi, come fará ch'al ciel sempre non pensi? 35. Ti dico l'alma aver desir mai sempre lá su tornar, che fu crïata in cielo; ma le tenaci qui terrestri tempre spesso la cargan sotto il fragil velo, che, non ben monda, è forza che si stempre e purghi il suo fallir al caldo e al gielo, o troppo carca caschi giú ne l'atro de l'infernal Pluton crudo baratro. 36. L'ordine detto mostra il grand'affetto c'han verso l'alte queste basse cose, e perché de l'uguali i' pur t'ho detto, ch'Amor tra quelle ancor suo regno pose, vedrai come le parti d'un soggietto bramano unirsi con voglie amorose. Se quinci e quindi spargi acceso fuoco, com'egli può s'aggiunge tutt'a un luoco. 37. De la terra e de l'aria le cosparte divise parti insieme Amor aduna, l'acqua divisa in questa e 'n quella parte non cessa fin che fatta non è una. D'una spece animali in ogni parte quasi mai sempre Amor in un raguna; onde si vede che tra pari sempre, 38. Vedesti massa mai d'argento vivo, che pur in vasi assai veduto n'hai, se 'n terra il versi, ratto com'un rivo correr e un globo farsi 'l vederai. Smembralo pur e spartilo, ché schivo d'unirsi in uno non sará giá mai; Amor è che l'unisse ed il conserva, e quest'in lui desir mantiene e serva. 39. Chi dubbio dunque avrá ch'Amor non sia ingenito ed unito sempre al tutto, e ch'a tutte le cose egli non dia vertú che fa produr quanto v'è frutto? Ché se questo non fosse, mancheria ciò che natura al mondo ha giá produtto; però si può ben dir ciò che giá disse con Gieroteo quel santo che ne scrisse, 40. ch'Amor, o sia divino, o sia di quelle alate menti, o vero spiritale, o d'uomo, o di natura si favelle, vertute in sé contien che tanto vale ch'a proveder a noi move le stelle, e star insieme l'un con l'altro uguale, perché da lor il ciel s'ami ed onori. 41. Che 'l tutto faccia ed il conservi Amore, come t'ho detto, se m'ascolti, chiara– mente comprenderai, perché il fervore ch'a generar ci spigne Amor n'impara. E l'alto Re del ciel, quel gran Fattore d'Amor se stesso mosse a questa rara mole del mondo far u' mostra a pieno l'alta bontá d'Amor c'ha sempr'in seno. 42. Onde ben disse il greco sacerdote che 'l suo troncato capo in mano prese, che tanto in Dio l'Amor divino puote che quell'indusse e santamente accese a non restar in sé con le man vote, ma dimostrarsi nel produr cortese: e poi l'Amor di generar infuse in tutto ciò ch'al mondo egli diffuse. 43. Tocchi da quest'Amor moveno il cielo gli angeli santi, con li lumi gai, e gli elementi ogni or al caldo e al gielo dal lor officio non si parton mai. L'erbe, le bestie e gli uomini tal zelo accende che produr sembianze assai attendon per che par che si rinove la vita lor e si propaghi altrove. 44. E s'Amor, come vedi, il tutto face, conserva il tutt'ancor, per ch'appertiene a chi fa l'opra, forte e ben vivace conservarla al suo grado ed a piú bene. Onde d'Amor la calda e vital face le simili in sé cose unite tiene; perché con mantener le parti insieme si dá la vita, e morte non si teme. 45. Ch'Amor governator e mastro sia di tutte l'arti che nel mondo sono, se bene attendi a quant'i' ti ragiono. Arte o mestier un uomo non saria a ritrovar e porre 'n opra buono, se non l'accende Amor con quel disire, che spera l'opra, che fará, fruire. 46. Né governar alcun cosa potrebbe, s'Amor non fosse quei che la reggesse: come mancasse Amor il tutto andrebbe a precipizio ed a roine espresse. In tutte l'arti chiaro si saprebbe e scïenze mostrar se si volesse; ma piú tempo bisogno a dirlo fôra, e pur qualcuna ne diremo or ora. 47. Dirò di quella pria che ci conserva, e s'infermi cademo ci rissana. Tutti i pensier la medicina accerva, acciò che l'opra non riesca vana, quand'ella purga e quando ancor preserva da tristi umori la natura umana; ché sol in questo par che s'affatichi, per far che sian tra lor gli umori amichi. 48. Altro ch'Amor non cerca in quelli porre, ch'Amor uniti e 'n pace li mantiene: va speculando se natura aborre quest'e quel cibo o dove piú s'attiene. A gli amati e conformi presta corre, e discorde unïon sparge in le vene; ma tal discordia accorda Amor che suole diverse cose unir quand'egli vuole. 49. Qui gemini si veggion quegli Amori, che, se rammenti, sopra i' t'ho mostrato: se 'l corpo temperanza ha ne gli umori, ogn'effetto sará sempre temprato; ma se diversi son li freddi e ardori, discordia vi mettrá discorde stato. Fugga questo ciascun, l'altro si prezzi, a quel s'attenda e questo si disprezzi; 50. e perché chiar'è pur che l'ozio ammorba le membra che ricusan travagliarsi, convien che questa ogni or dal corpo forba ciò che di sovvra piú suol cumularsi. Ignorante non sia, né pigra, n'orba, ma faccia l'uom con modo esercitarsi: a quell'il salto, a quest'il correr giova, questi la lutta e quei la palla mova. 51. Si guardi quel dal freddo e schivi il vento, e luoghi temperati cerchi ogni ora: a quell'il caldo ogni vigor ha spento, che co l'umido e freddo si ristora: atra bile costui tiene in tormento, che purgando l'umor sen cava fòra, e quest'Amor rimedi a l'uomo insegna, acciò l'aíti e sano lo mantegna. 52. Mira l'agricoltor che versa e preme il suo terren con tal industria ed arte, di' lui se sparge sovvra il marmo il seme, se frutto nascerá su quella parte? S'Amor tra quei non è, com'avrá speme mai frutto ritrovar in tutto o in parte? L'aurato cedro sovvra l'olmo inesti, ma per trovarsi frutto non si desti. 53. Vist'ho piú volte un saggio agricoltore nel far d'i fossi per piantar la vite, far prova del terreno con l'odore, e, «Quest'acerbo è,» dir, «e quest'è mite. Qui 'l pomo, lá l'oliva piglia umore, qui vuo' la noce, lá che 'l prun s'addite. Questa il buon grano fa con grossa spica, e questa a la segala è terra amica». 54. Convien l'agricoltor che ben conosca qual terra brami il seme ed in che sito, u' quella pianta cresce, ove s'imbosca, e la stagion conforme a l'appetito. Una talor il sol, l'altra la fosca aria appetisce e 'l tronco fa polito, ché se 'l desir di tutti non conosce, avrá di sue fatiche danno e angosce. 55. Quei che cercando vanno l'armonia, la cui dolcezza l'uomo sí diletta, con grandi prove van sciegliendo pria i numeri di quai l'un l'altro alletta: con l'uno il duo ed uno e sette via gettan, ch'Amor indarno ivi s'aspetta, perché di questi i differenti suoni a far concento non si trovan buoni. 56. Ma se con l'uno e il tre, il quarto ancora col cinque insieme e col sei accombini, di questo accordo uscir si senton fòra dolci concenti, angelici e divini. Perch'ivi sède Amor e gli avalora, e fa che l'un con l'altro ben confini, come tra l'uno e l'otto fa sentire quanto soave il suon si puote udire. 57. Le voci acute e gravi di natura esser diverse vedi chiaramente: Amor tra queste mette tal misura con pause e con sospir sí saggiamente, e con tai modi le governa e cura, che 'n un le unisce e lega dolcemente; onde resulta quel soave suono, che 'l musico poi fa con dolce tuono. 58. Tra gli elementi e stelle ancor impera, governa e regge Amor, e li compone. L'astronomo di ciò con ragion vera il tutto avanti gli occhi spiega e pone, mostrando come questa e quella sfera con gli elementi Amor concia e dispone: e spesso fa toccar ad ambe mani, ch'ivi son veri Amor, vi son gl'insani. 59. Allor cieleste Amor rivolge il freno, e con le basse l'alte cose aguaglia, quando che fuor del Gange il sol sereno vuol che con l'aria ben temprata saglia, e col seno di rose e minio pieno fa che l'aurora il suo sparir intaglia, scopre tranquillo il mar, e nostra madre spiega le sue ricchezze a belle squadre. 60. Ma se 'l volgar Amor ha 'l freno in mano, l'aria si turba e Giove il folgor croscia, Eolo soffia impetüoso e insano, le navi affonda e a' boschi porta angoscia: da' campi il frutto si ricerca in vano, se troppa acqua o gragniuola cade poscia, ed apra il vaso come suol Pandora, che d'affanni e di morbi il mondo accora. 61. Or per passar ad altre parti, i' dico, che per universal consenso il mondo a farsi piú che puote Iddio amico, acciò che viva l'uom lieto e giocondo, ch'avesser di placarlo ogni or il pondo: e fosse la lor vita un vivo esempio a noi mortali in questo mondan tempio: 62. ché se peccava il popol, com'aviene, per lui pregasse il sacerdote allora: ordinò questo Iddio per nostro bene, bramoso trarne del peccato fòra. Il sacerdote deveria la spene, che di lui s'have, conservar ogni ora, e viver giusto, liberale e casto; ma, lasso! il mondo come adesso è guasto! 63. Fur dunque ritrovati i sacerdoti a far ch'Amor tra Dio e l'uom si serbe. Se saggi noi saremo e al ciel divoti sí che la mente ogni or si disacerbe, saran lá su portati i nostri voti e da noi lunge l'aspre pene e acerbe: e se si pecca com'avien sovente, al sacerdote corri incontinente. 64. Cosí pentuto si ritorna a Dio, e ciò che far si de' dritto s'adopra: cosí si purga l'uomo e fassi pio, e s'ama e riverisce il Re di sopra: cosí si ferma al bene il buon disio, che falsa poi non nasce né vil l'opra: e 'l sacerdote casto tutti inalma con fatti e con parole a salvar l'alma. 65. Ecci cagion di questo Amor ch'insegna prima come si renda a Dio l'onore, com'un fratel con l'altro si mantegna, e s'abbia netto e senza frode il core, come si segua la spiegata insegna in la patria servando a tutte l'ore, com'a li morti aver si de' pietate, benivolenza a tutti e caritate. 66. Qual mai cittá, qual regno o monarchia lungamente tener potrá l'impero, ove tra cittadini Amor non sia, e cerchi l'un de l'altro il vitupèro? S'Amor non ci è, ch'adunque cosa fia che tenga in pace un stato sempre intiero? Se 'l regno in sé diviso piange e manca, l'unito Amor aggioia, serba e affranca. 67. E se discorri quante al mondo sono arti, scïenze ed opre, troverai ch'Amor il tutto regge e rende buono, conserva, aviva e accresce sempre mai. E se grato di sé non ci fa dono, sará la vita nostra in pianti e 'n guai, anzi la vita mancherebbe in tutto, né fôra al mondo cosa di costrutto. 68. Però ben disse il tracio gran poeta, ch'Amor le chiavi d'ogni cosa avea, e che, principio mezzo e ferma mèta e servator del mondo, le volgea. Ché se non foss'Amor che 'l tutto acqueta, e del produr la voglia in esso crea, la discordia accordando sí diversa, ogni natura si vedria dispersa. 69. E se quest'è, ch'esser si vede certo, regnar odio non de' tra le cosparte parti del mondo, e ciò si vede aperto, ancor che sian diverse in ogni parte. Tal è d'Amor il gran valor esperto, l'alma vertú, l'ingegno, forza ed arte, e forse ti parrá fòr di ragione, ma cosí vuol chi segue il gran Platone. – 70. – I' non volea troncar il vostro dire, – dissi, – car mastro, tanto ogni or mi piace; ma perch'a voi traspar il mio disire, qual chiuso in vetro fior veder si face, non so né trovo via di consentire, ch'esser tra l'acqua e 'l fuoco possa pace. – Cosí mi parve dirli brevemente, la risposta aspettando attentamente. 71 Ond'egli verso me dolce ridendo, il parlar ripigliò, e sí mi disse: – Tu vuoi, figliuol, se 'l tuo pensier comprendo, ch'abbia col fuoco l'acqua guerra e risse. Ma porgi il core a quanto dire intendo, ch'un Platonico giá di ciò ne scrisse, e vederai tra lor che non si serra odio né rissa, nemistá né guerra. 72. Il fuoco l'acqua non aborre o fugge, perch'odio a quella porte o a sua natura; ma d'appressarsi a quella egli riffugge, come a colei che 'l caldo suo li fura. Né l'acqua quell'ardor ammorza e strugge per far al fuoco nocumento o ingiura: fa questo a propagar la propria spece ogni or che propagarla a quella lece. 73. l'appetito drizzar mai sempre al bene: quanto può schiva il danno ed ogni male; ch'a la natura oprar mal non conviene. Non cerca l'acqua al fuoco troncar l'ale per levargli il poter che quello tiene; ma cerca generar con questo stile un altro freddo corpo a sé simile. 74. Ché se potesse senza sfar il fuoco la sua sembianza generar, giá mai a quel non nocerebbe pur un poco, né scemarebbe il caldo poco o assai. E questo in tutte l'altre cose ha luoco, volgi le prime e volgi le sezzai: basti ch'odio non è che l'acqua spinga per far ch'al fuoco il suo vigor estinga. 75. Cosí non brama il fuoco di scemare de l'acqua la vertú che venga meno, né pensa col calor a lei cavare quel freddo natural che porta in seno. Egli ogni corpo cui s'accoste, fare vorrebbe tal qual ei di caldo pieno, e trar il tutto pur a questo segno, per aumentar ed inricchir il regno. 76. Né ti vuo' dir adesso come misti son gli elementi insieme, come fòra cavan da l'altro l'un molti alchimisti, e questo 'l sol ancor adopra ogni ora. So che giá l'apparasti allor ch'udisti il dotto Gaietan che sí s'onora, quando sovvra il Tesino il libro espose del generar e sfarsi de le cose. 77. Or pensi forse che 'l semplice agnello si celi al lupo perché quel disami? Del lupo la figura aborre quello, perché di lui la morte par che brami. Tal instinto natura ha messo in ello, com'ella par che 'l lupo a questo chiami, ch'egli l'agnel per conservarsi ancide, non per odio che contra quello annide. 78. Cosí l'un uomo l'altro non aborre, ma ben di quel gli sconci vizii schiva, né per odio li vuol la fama tòrre, onde quell'altro sí s'onora e aviva. A questo l'appetito nostro corre, ch'anco ei vorrebbe aver la fama viva. Di natura ciascun brama famoso esser tenuto, chiaro e glorïoso. 79. Credi che quei che ruba e che la vita leva a quell'altro a ciò per mal si mova? Dolce vendetta a l'arme l'uomo invita, il vendicarsi tanto a quelli giova. La roba altrui quest'altri s'ha ghermita, che poverello e nudo si ritrova, e per comodo fa ciò ch'egli face, non per turbar altrui o tòrli pace. 80. E ciò non vieta che non regni Amore in quante son crïate al mondo cose, né sará mai cagion d'alcuno errore, né di far opre enormi e vizïose. O sacro Dio, o gloria, o vero onore, fa che 'l tuo nume in noi mai sempre pose, ch'ove il tuo caldo spira i raggi suoi, null'imperfetto vi si trova poi. 81. Per lo mezzo d'Amor giá si trovaro tutte l'arti ch'adopra umana vita. Giove il regnar, il divinar preclaro col medicar e l'arco Febo addita: l'esser fabro ferrar solenne e raro Vulcan per mastro la fucina invita: Minerva il lanificio e la testura: de le Muse il cantar è invento e cura. 82. A che cercar nomar tant'inventori di tutte l'arti che nel mondo sono, se tutti, mossi d'amorosi ardori, ne fêr di quelle sí cortese dono? Ch'Amor accese a que' piú saggi il core, perché trovasser tutto 'l bell'e 'l buono. E se non fosse stato Amor, che cosa fôra nel mondo degna o glorïosa? 83. Chi mosse de la patria uscir Platone, e l'Europa lustrar e l'Asia insieme, quella cercar e questa regïone, con perigli, prigion e pene estreme? Amor, non altro, in cor desir li pone saper le basse cose e le supreme, e farsi di scïenze un ricco vaso, che di morte non tema mai l'occaso. 84. Chi sforza l'altro primo fra i lodati, e di natura il gran stupor si chiama, poi ch'ebbe quattro lustri seguitati di Platone i vestigi e chiara fama, la notte e 'l giorno, quanti mai trattati fur in filosofia di qualche trama, legger, pensar, cribrar, lodar, biasmare, e l'opre dotte ed immortali fare? 85. Amor il mastro fu, Amor il duce, che dolce lui rendeva le fatiche: Amor tant'altri infiamma, piglia e duce a farsi le scïenze ogni or amiche: e le moderne cose e dir le antiche: ché, se non fosse Amor il mastro stato, qual tra' poeti avrebbe mai cantato? 86. Quel giovanetto leva innanzi il giorno, e tra gli studi il viso impallidisse, a pena un po' si ciba che ritorno a' libri fa, dov'ha le voglie fisse. Vedi quel vecchio che giá mai dattorno da' libri non si parte u' sempre visse; ch'Amor in ogni etate il cor accende a saper quanto un altro ingegno intende. 87. E ciò ch'io parlo de gli studi, i' dico di tutte l'arti ed opre che si fanno, e spesso i' te l'accenno e tel replíco, che l'opre senz'Amor al fin non vanno. Quest'or si vede e fu nel tempo antico, e sará poi tra quelli che verranno, ch'Amor è quel che l'opra fa perfetta, e senz'Amor oprar nessun si metta. 88. Adunque questo tanto e tale Iddio, che per tutto si vede, regna e impera, come signor potente, altiero e pio, che di fuggir indarno l'uomo spera, e qual conoscitor d'ogni disio, che scerne nostra mente o falsa o vera, tema ciascun, ed ami il suo potere che come vuol e quando vuol ne fere. 89. Ma per ciò ch'egli quanto ci è di buono, di bello e di perfetto al mondo pone, con riverenza come padre il suono del dolce nome onorin le persone, e come mastro ver che ne fa dono di tutte l'arti e quell'ancor ci espone, amar e riverir, cantar, lodare. 90. Ci dá e ci conserva Amor la vita, ci regge, ci governa e al ben inspira. Del perfetto fruir la via ci addita, e fòr del volgo a chiara fama tira. A ricchi premii ogni or ci chiama e invita, e piú di noi il nostro ben sospira. Qual sará dunque sí ritroso e fiero, che d'Amor sprezzi il dolce e sant'impero? 91. A ch'Amor scalda, a ch'egli ingombra il petto, saggio diventa ed a l'oprar prudente: sottil e acuto fassi in ogni detto, affabile, facondo ed eloquente. A' fatti eccelsi mai non fa disdetto, ma magnanimo e prode ogni or si sente: al motteggiar faceto, al gioco allegro, gentil, temprato, costumato e integro. 92. De l'amato ed amante cura prende, fugga i perigli e ponvi sicurezza, pace e concordia con piacer accende, ed a la gioia tutti i cori avezza. Ove suoi raggi Amor vibra e distende, stato tranquillo vi s'onora e apprezza; ch'altro che ben non s'ha lá dond'Amore scaccia l'invidia e leva l'odio fòre. 93. Benefico piú ch'altri Aristofane al seme umano santamente il chiama: perciò devemo con le menti sane amar e riverir chi tanto n'ama. Questi ci prome quel cieleste pane che leva a l'appetito ogn'altra brama, e nettar ed ambrosia porge sempre, u' par ch'ogni dolcezza si contempre. 94. Ecco che dal terrestre Amor al vero, dal vero al ver cieleste siam passati. Da questo sant'Amor puro e sincero son gli altri, non so come, Amor chiamati. Qualche sembianza tengon del primero, e, sendo buoni, a quel saran sembrati com'al ver oro quello de l'alchimia, o come a l'uomo s'assimiglia simia. 95. Quest'è l'Amor che fe' dal cielo in terra scender, per noi salvar, l'Eterno Amore. Quest'è l'Amor ch'ogni imperfetto atterra, e purga dove alberga sempre il core. Chi questo segue mai non falla, n'erra, ch'egli è 'l chiar lume ed unico splendore: egli è ch'al ben oprar saldi ci face, per darci su nel ciel l'eterna pace: 96. ch'a' preparati seggi ci conduce, ove fará gioirne eternamente. Ci van que' soli ch'egli manoduce, né mena chi non ama ardentemente. Mentre qui siamo, l'increata luce conoscer non potemo intieramente; ma quanto si conosce, amar si puote con le purgate menti a lei divote; 97. ancor che si conosca Iddio in parte da nostre menti immerse in questo velo, perché il conosci, il premo non vuol darte, ove si gode senza tema in cielo. Quel ti bisogna amar con studio ed arte, e consacrargli il cor con puro zelo; chi l'ama e lo conosce Iddio riama, non perché noto ma per ciò che s'ama. 98. Ché ciò ch'al cielo ci ritorna, dove fu l'alma nostra pria da Dio crïata, non è saper com'egli il tutto move, e sussiste in essenzia mai non nata. Molti con varie e con sottili prove han conosciuta la bontá beata; ma perché quella i pazzi non amâro, arden con Pluto ne l'inferno a paro. 99. Misura quegli il ciel, noma le stelle, e lor potenze scrive ad una ad una. Queste son buone, son maligne quelle, cotal effetto il sol, fa tal la luna: quel segno inalza l'uom, quel lo divelle da le ricchezze e dálli ria fortuna: ti mostra e fa provar qual forza serbe una minera ed ogni sorte d'erbe. 100. Sa quel che può saper umano ingegno, e d'assai cose la cagion ti rende: sovvra mortali ha 'l piú sullime regno, e largamente le ricchezze spende. S'egli del sant'Amor non giunge al segno, e per versaglio Iddio del cor non prende, non sará degno mai seder a mensa, dov'il fruir eterno Amor dispensa. 101. Ché nel giardin de le delizie, quale ci scopre la stagione a primavera, anzi piú bel fiorito ed immortale, ov'è la gioia sol perfetta e vera, attorno al trono sacro e imperïale, infiniti son seggi in varia schiera, ch'ab eterno ordinò l'Eterno Amore a chi piú l'amerá con saldo core. 102. Non bellezza o saper, non copia d'oro, non perle o gemme ch'oggi ogni uom apprezza, non d'un pugno atterrar un forte toro, e innanzi al cervo andar di liggierezza, ti daran seggio dentro al concistoro, ove Iddio regna con sovvrana altezza: Amor è quel che sol lá su conduce, e chi l'ama averá Amor per duce. 103. Nostra guida sará perfetta e fida Amor, a darne tra li seggi luoco. Quivi sol sède, quivi sol s'annida chi d'Amor arde nel gioioso fuoco. E ch'arso piú si trova, piú si fida appresso Iddio seder in festa e in giuoco: Amor è sol che tal grandezza cerca, e con Amor si trova, acquista e merca. 104. Tra que' beati seggi Amor ne ciba, n'abbellisse, n'aggioia e ci contenta. Quant'è l'Amor d'ogni un, tanto deliba di quella gioia, e l'alma sta contenta. Ma chi sará giá mai ch'a pien describa qual gioia, qual piacer lá su si senta? Se l'intelletto tanto ben non scorge, qual ingegno, com'è, perfetto il porge? 105. Quanto si parla piú del santo Amore, Amor, cui senza, l'uom non viverebbe, piú ne resta da dir a tutte l'ore, né lode mai di quel si finirebbe. Porgete a lui, mortali, aperto il core, se far bramate quanto far si debbe, e s'Amor non amate, che farete se, senz'Amor, un'ombra e un fumo sète? 106. Non disse il vaso bel d'elezzïone, quand'i Corintii verso il ciel drizzava: ancor con lingue acute ch'io ragione qual ciembalo sarò, s'avien che suone, se caritá non m'arde e non mi grava? Ché, senz'Amor, vertú nessuna vale lá su ne l'alto ciel distender l'ale. 107. Esser potrai gran vate e gran profeta, e conoscer del ciel tutti i misteri; sará di fede l'alma tua repleta sí che di trasferirsi a i monti imperi: s'Amor e caritate non t'acqueta il cor di quella gioia che tu speri, i' t'annonzio, figliuol, che tu se' nulla, qual quando piove una gonfiata bulla. 108. E se quante ricchezze ebbe mai Crasso se sopra un rogo ardente il corpo lasso sí che tutt'arda volontier mettrai, s'Amor teco non viene ad ogni passo, indarno tutte l'altre cose fai; ché quest'Amor e santa caritate è quel che l'alme fa nel ciel beate. 109. Tra le piú care cose che lasciasse nel testamento Cristo a' suoi seguaci, questo precetto come primo dasse, che s'ami e che si viva in dolci paci. Volle ch'Amor nel petto a' suoi restasse, e ch'accendesse in gli altri ogni or le faci: ch'u' d'Amor bruscia quel divino fuoco, il vizio non ci trova stanza o luoco. 110. E tanto puote in Cristo quest'Amore, (o sant'ardor, o rara caritate), ch'egli del tutto donno e crïatore vestir elesse nostra umanitate. Piú di sei lustri con pena e dolore peregrinando andò con povertate: caldo sofferse, freddo, fame e sete, per trarne fòr de la macchiosa rete. 111. Sí come fe' di nulla tutto 'l mondo, cosí d'un verbo sol potea salvarne; ma tanto fu l'Amor, che 'l grave pondo volle soffrir di nostra mortal carne: purissimo era e d'ogni macchia mondo, e tante macchie non sdegnò purgarne: ei fe' del sangue suo lavacro tale ch'una sol stilla il mondo purgar vale. 112. Cosí, di tant'Amor ardendo, ascese de la tremenda croce l'arboscello e tutto quel martír per noi sol prese, per farne degni del cieleste ostello. Poi disse che sitiva quando rese l'alma quel sacro e immaculato agnello: e qual aveva sete il Redentore, se non di trarne del peccato fòre? 113. Di tal fermezza poi nel cor impresse a' discepoli suoi l'Amor del cielo, che Pietro in croce d'esser posto elesse, il morir non curando un picciol pelo. A simil pena fe' ch'Andrea corresse, nulla prezzando il vil terrestre velo: beve il velen Gioanni, e 'n l'oglio ardente come tra fiori, canta santamente. 114. Fiera e fulminea spada non aborre il dottor de le genti Paolo santo: quest'e quell'altro volontario corre a dar per Cristo il suo carnal ammanto. Sentí la pelle quei dal dosso tòrre, e grazie rende a Dio in festa e 'n canto. Lacci, fuochi, prigioni e le catene dolci lor rend'Amor e l'altre pene. 115. Di duri sassi il tempestar crudele, dal ver non smosse Stefano beato; anzi al suo mastro il fa simile ne le doglie pregando ch'ogni un sia salvato. Su la crate Lorenzo che querele disse, brusciando l'uno e l'altro lato? «Ardi, versa, manduca e se v'è peggio fa, ché parato il premio in ciel mi veggio». 116. Che di tant'altri si dirá, che morte e tante pene nulla mai stimaro? Era di lor ciascun assai piú forte di quei che sí crudeli i tormentaro. Questa fortezza Amor ha ne la corte, ove col sangue tanti trïonfaro: quell'amator gli strazii e morte sprezza, che 'l ben de l'alma piú che 'l corpo apprezza. 117. Quella amante di Cristo Maddalena, di nobil, generosa e antica schiatta, fu, prima, d'ogni pompa e vizio piena, poi le ricchezze in povertá baratta. Piú di trent'anni austera vita mena, e fra le grotte e rupi ogni or s'appiatta, u' lungo tempo Amor quella mantenne, acciò venisse dove al fin pervenne. 118. Ma che direm de l'alme verginelle, di fragil sesso e debole natura, s'avien ch'Amor il petto infiamme a quelle, qual d'uomo mente mai fu sí sicura? A questa gli occhi, a l'altra i denti svelle il tiranno crudel, né fa paura: le va smembrando tutte a brano a brano, e lodan quelle il lor Fattor sovvrano. 119. L'acute sí pungenti e orrende rote ride di Costo la figliuola altiera, le luci volge al ciel ed ivi immote le tien, dove salir gioiosa spera. Il manigoldo il collo le percuote, e sangue e latte spande la gorgera: gli angeli il corpo portan sovvra il monte, ove da l'ossa nasce d'oglio un fonte. 120. Luzia, d'Amor accesa e di vertute, morir vuol prima che mancar di fede: nulla del corpo cura o sua salute, pur che divenga su nel ciel erede. Amor dolci parer l'aspre ferute le fa, sí ch'al tiranno mai non cede. E quella che Catania esalta e onora, sprezza le pompe con la vita ancora. 121. Ma s'io ti voglio dir ad una ad una di tante verginelle l'aspra morte, e li tormenti a parte di ciascuna, come costante è questa e quella forte, potria piú volte rinovar la luna le tante sue fatiche e fredda sorte, ch'i' ne venissi a capo in questo luoco: meglio dunque è tacer che dirne poco. 122. Non dubitar, ma credi fermamente, che tanta turba d'uomini e di donne, stata giá mai non fôra pazïente a lasciarsi spolpar le carnee gonne, s'Amor non le accendeva sí la mente, che stavan salde come gran colonne, ogn'aspra pena insieme col morire. 123. Ecco ch'Amor è quel che ci governa, e di salir al ciel ci presta l'ale, ché s'in un cor alberga e vi s'interna, quel cor da ben oprar chi ritrar vale? Tutto si volge a la patria superna, e fugge, come serpe, il vizio e 'l male, poggiando sempre ad alto, e quanto vede tutt'esser scala al ciel piamente crede. 124. Se d'aversa fortuna soffia il vento, o 'l morde invidia o qual si voglia dente, stabile sta nel bene e sí contento che gli aspri morsi nulla stima o sente. È sempre d'un tenor, né mutamento vedi mai far a quella ferma mente; perché sí dolce amor Amor le instilla, che sempre è lieta, immobile e tranquilla. 125. Ammira il suo Fattor e lo ringrazia di tanto ben ch'ogni or da lui riceve, vede che quanto in terra e 'n l'aria spazia, e quanto in mezzo l'onde pasce e beve, gli ha posto sott'i piedi, né si sazia lodarlo e riverirlo quanto deve. Ama il Fattor, e 'n ordine di quello ciò che vede ama, s'egli è buono e bello. 126. Cosí convien che tu sia, se tu vuoi di questo sant'Amor farti capace. Tutti gli affetti, tutt'i pensier tuoi in questo troveran sol vera pace. Tanto sforzar ti de', quanto tu puoi, ché 'l nodo in questa parte chiaro giace: che s'ami la fattura, perch'assembra al suo Fattor e quello ne rimembra. 127. Gran cose in picciol fascio stringo e lego, e cose lascio assai che dir potrei; ma fin che 'n mente mia qualch'un dispiego per palesarti d'i concetti miei, i' mi riposo alquanto, e poi ti sego ciò che da me saper oggi tu déi. E tu mentre ch'io taccio poserai, indi a quanto dirò lieto attendrai. –
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |