Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Matteo Bandello Canti XI... Le III parche IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
CANTO X
1. Mentre che il padre mio tacendo stette, in me senti' destarsi un gran pensiero, ch'iva scorrendo per le cose dette, per trarne il suco e pervenir al vero. E da poi ch'ebbe molte cose elette del parlar saggio, candido e sincero, parea che mi dicesse: «Amico mio, tempo è ch'omai ritorni in tutto a Dio. 2. Saper che simplicissimo egli sia, e ch'abiti una luce inaccessibile, ch'eterno e incircoscritto se ne stia, immenso, illimitato ed invisibile, ch'a l'infinito suo poter si dia far ciò ch'ad altri far non è possibile, dotto faratti ma non giá piú buono, se de la grazia Iddio non ti fa dono. 3. Saper che 'l Padre ingenerato il Figlio generi sol da sé fecondamente, ch'ogni perfetto, senz'alcun periglio, li doni di restar giá mai perdente, ch'Egli e 'l Figliuolo di commun consiglio spirin lo Spirto Santo ardentemente, communicando a quel quanto ben hanno, né lor diminuisce ciò che dánno: 4. saper che le divine tre persone tra lor d'essenzia son tutte un medemo, di persone distinte con ragione de le proprïetá, del ben supremo, ch'identitá tra queste ogni or si pone, e simili ed eguali le credemo, ch'ab eterno previder quanto mai è, fu, sará: che fia se questo sai? 5. Questo non può saper l'agricoltore, né quella pura e buona vecchiarella. Speculative cose e da dottore son, che mai sempre dentro vi martella; e soglion retirar dal santo Amore quei che tutto il pensier in ciò puntella, ché l'alma immersa ogn'or in questi studi par che sol per saper agghiacci e sudi. 6. Conobber molti tra' filosofanti in parte Dio, ma quello non amâro, perché le cose frali sempre avanti a l'eterne e divine quei mandaro: mostrando ne' lor detti e lor sembianti sol il saper aver a core e caro, e chiamando sé stessi saggi e dotti, a l'estrema pazzia furon condotti. 7. Or vedi adunque il sol saper che giova, se ciò rammenti che t'è stato detto: altro sforzo ci vuole ed altra prova, ed altro in l'alma aver miglior concetto. Convien che verso Iddio il cor si mova, a quel volgendo l'alma ed ogni affetto, usando queste cose basse e frali per guida e scala a l'alte ed immortali». 8. Tal era il mio pensier allor ch'i' vidi a me voltarsi il mastro per seguire i detti suoi purgati, veri e fidi, e cominciommi in questo modo a dire: – Qualche pensier mi par che 'n capo annidi, né ti sia grave quell'a me scoprire, se brami ch'io ti guidi su la strada u' con la donna tua al ciel tu vada. – 9. A questo sospirando, i' dissi allora tutto 'l pensier al caro mastro mio. Soggiunsi poi che mi levasse fòra d'affanno, al ciel volgendo il mio disio. Un anno mi parea quella breve ora, ch'egli mettesse in me del senso oblio, e, qual dicea, potesse amar costei, e su nel ciel salir seguendo lei. 10. Egli poi ch'ebbe il mio parlar inteso, molto lo commendò di parte in parte, e disse: – Assai mi piace poich'acceso ti veggio di voler al vero darte, e se fin ora stato se' sospeso, tu voglia adesso in tutto rivoltarte a quel cieleste Amor sacro ed ardente, ch'empie di vera gioia ogni or la mente. 11. E se pria quanto il mio sermon t'espose hai ben notato, giá t'ho messo in via. I' ti dissi che queste umane cose s'aman per scala a chi da sé le cria, pur che l'affetto quivi non ripose, come nel fin di ciò che si disia: salir bisogna tanto che tu trovi quel ben ch'ogni or t'acqueti e sempre giovi. 12. I' ti dicea che queste crïature s'aman perch'assembran il Crïatore, ché quante noi veggiamo qui nature soglion rammentar il lor Fattore. Saper elucidar questioni oscure, e disputando farsi sempre onore, s'Amor il cor non arde, nulla fanno, anzi sovente apportan pena e danno. 13. Gonfia 'l saper e l'uom fa superbire, e spesso il fa cader in gravi errori: piú che non deve ha di saper disire, ed entra in alto mar, n'uscir sa fòri. Ciò che non cape l'intelletto udire sdegna, né vuol che fede in lui dimori, e senza caritá con sillogismi al vero oppone i vani suoi sofismi. 14. La prattica noticia in l'arti è quella che piú che specular profitta e vale. Medico indarno quel dottor s'appella, se prattico non è curar il male. Egli sa dir che buona è questa, e fella l'altra radice, e a quanti gradi sale; ma se le vuol usar si scopre inetto, ché prattico non è fatto perfetto. 15. Quell'altro saperá a pien contare ciò che bisogna tòr per far la casa; come si mette poi tal opra a fare, indarno s'affatica e si travasa. Cosí san molti ben di Dio parlare, ma d'amarlo han la mente nuda e rasa, perché stan sempre a specular, né mai refletteno al Fattor d'Amor i rai. 16. Non può ciascun saper la Trinitate, com'è distinta ne le tre persone, e c'han l'essenzia sempre in unitate, e sono eguali, giuste, sante e buone: ch'una in lor tre è sol divinitate, ove il supremo ben e ver si pone: ben può ciascun amar e riverire il Re del ciel, e quell'ogni or seguire. 17. Se penserai che Dio è sommo bene, e quanto ci ama e prende di noi cura, e come il mondo fece, e lo mantiene, sol per salvar l'umana crïatura, ciò che 'l Figliuol patí con tante pene per te, ch'indegno sei di lui fattura, ben se' crudel e ingrato se non l'ami, onori, riverisci, adori e chiami. 18. Tant'alto specular e sí sottile, e tanti corollari e sillogismi, han guasto il dolce, umano e vago stile con lor echeitati e solecismi. Scintilla solamente il lor focile fantastiche chimere e barbarismi, e verso Iddio gielato han sempre il core, di vana pompa pien, privo d'amore. 19. Lascia da canto adunque queste altezze a chi s'invecchia in le rissose scole. De le crïate cose le vaghezze contempla con le stelle, luna e sole: e pensa quante vedi qui bellezze esser del Re del ciel sembianza e prole, ché 'n quelle come in specchio ogni or riluce del nostro Crïator la viva luce. 20. La divina sapienza e la bontate, il gran poter e la bellezza immensa contemplerai con quella caritate che tanti doni ogni ora ci dispensa. Non ti fermar in questo, ma spiegate l'ali rivolgi a la cieleste mensa, e vola a poco a poco al sacro monte, u' d'ogni grazia sorge il vivo fonte. 21. Se 'n questi ruscelletti non ben chiari, e di molta amarezza aspersi e pieni, trovi dolcezze in terra senza pari, e paion sí tranquilli chiari e ameni, che sará se gustar un tratto impari del mar cieleste i saporosi seni? Se qui t'appaga un cenno, un atto, un canto, che fia 'l piacer del ciel se questo è tanto? 22. Puon saper questo le persone abiette, il semplice pastor e l'idïota. Filosofia a questo non si mette, né logica argomenti qui mai rota. Son l'arti liberali a questo inette, per c'han d'Amor del ciel la mensa vota. Bisogna contemplar i santi doni, che induce Amor, che 'l Re del ciel ci doni. 23. Chi vieta contemplar la vecchiarella la sapienza di Dio ch'è tale e tanta, che saperebbe governar con quella mondi infiniti, sempre in pace santa? Si volga a la potenza e dica ch'ella, che fe' di nulla quanto il ciel ammanta, può far mondi infiniti, quando vuole, con infinita d'ogni cosa prole. 24. E come il tutto fe' di nulla, puote il tutto annichilar ad ogni voglia, ma pietosa è cosí che non si scuote ad ogni colpa dar gastigo e doglia. Del sol le vaghe ed infiammate rote guarda ch'a' tristi, quando peccan, toglia: ella n'aspetta con le braccia stese, e brama perdonar tutte le offese. 25. È la sua sofferenza senza fine, ché tante volte Iddio avemo offeso, e se talor ne manda discipline, il fa per nostro ben, d'amor acceso. Non vuol che l'uom si perda o si roine, né che salir al ciel li sia conteso, pur che s'ammendi e volga a quello il core, con caritate ardendo e con amore. 26. Tant'altri benefici che ci ha dato, e d'ora in ora dá, (mercé sua grazia), ch'aver talor si trova contemplato ama il dator, l'onora e lo ringrazia, e si sente d'amor cosí infiammato, che quanto piú s'infiamma men si sazia; anzi piú sete ogni or si sente avere lá su quel sommo ben, com'è, vedere. 27. Se poi si volge a contemplar la morte, e tante pene del figliuol di Dio, e com'aprí del ciel le chiuse porte col sangue che per sferze e ferri uscío, di pietá piange e si compunge forte, e dice: «Se per me nacque e morio, perché non debbio amarlo, e sofferire per lui la morte ed ogni fier martíre? 28. S'egli è somma bontá, somma clemenza, di pietá, di misericordia pieno, s'egli tutti salvar poteva senza lasciar del padre l'increato seno, s'egli n'attende e chiama a penitenza, né lascia contra noi de l'ira il freno, tant'ingrato sarò e sconoscente ch'a lui non sacri il cor, l'alma e la mente? 29. Non può colui peregrinar, e i santi luoghi lustrar con lagrime e digiuni, non ha ricchezze, n'oro, né bisanti per dar altrui e rivestir alcuni; non vuol, per questo, di dolor si schianti, pur che nel petto caritate aduni, non vuol il salvator ciò che non puoi: e come dunque amarlo tu non vuoi 30. Mal sano e debolissimo sarai, allegro vivi e fa che non desperi, e quanto puoi di bene adoprerai, con speme di salir a i beni intieri; ma s'inetto a l'oprar ti troverai, per questo non temer giá mai che pèri: c'ha fatto quanto può, costui la legge serva, che diede in terra il sommo Regge. 31. Or quando diverrai sí infermo e lasso e del ben di fortuna cosí privo, quando d'ogni fortezza in tutto casso e da le Grazie sí tenuto a schivo, quando sí d'ogni umana cosa al basso, pur che lo spirto ti mantenga vivo, che tu non possa amar il tuo Fattore ch'altro da te non vuol che 'l puro core? 32. Di gramigna si pasce e d'altre erbette la pecorella ovunque avien che vada: cantando la cicala al sol si mette, n'altro mai gusta cibo che rugiada: corre la tigre e par che si dilette le bestie manicar per la contrada: si pasce Iddio del cor, il cor ricerca, e col sangue del figlio quello merca. 33. Pur che sincero il cor e dritto sia, di quel il gran Motor s'acqueta e appaga. Ei giá non guarda quanto 'l ricco dia, in la cui piena casa l'oro allaga: mira la mente ben purgata e pia ch'al poverello, quanto dar può, paga, e per amor di Cristo a quel soccorre, lo nutre, l'accareccia e non l'aborre. 34. Per iscontro de l'arca del tesoro che s'offriva, sedeva il Redentore, e mirava l'offerte di coloro che davan largamente i doni fòre: ed ecco comparire fra costoro la povvra vedovella che di core duo quattrin nel gazofilaccio offerse, ch'avanzaro il tesor di Creso e Xerse. 35. «Questa ha piú dato,» disse Cristo allora, «di tutti quei ch'offrir si sono mossi: de la bocca si leva il viver fòra, per far ch'i poverelli sian riscossi: di ciò che lor avanza dánno ogni ora quegli altri ricchi, e mercatanti grossi: piú questa dá non sol di buono affetto, ma piú pensando al liberal effetto». 36. Ciò ch'offrivan color, ancor che molto fosse, era poco a tanta lor grandezza. Questa dá quanto trova in sé raccolto, e per altrui la roba in tutto sprezza. Ch'avesse un sol denaio a questa tolto, rubava piú che tutta la ricchezza che davan gli altri, per ciò ch'ella dava il viver proprio, e quei ciò ch'avanzava. 37. Ma ch'ella sí donasse largamente, causava in lei l'ardente caritate. Aveva fitto in mezzo de la mente di quant'è merto amar la povertate. Grida il profeta a chi peccar si sente, ch'elemosina faccia con bontate: dice poi Cristo: «Cento tu n'avrai per un ch'a povvri con amor darai». 38. E se come i' t'ho detto non possedi roba per dar altrui e far del bene, non resterá per questo, se tu credi, che su salir non possa al sommo bene. Ti dolga quando mendicar tu vedi il poverello in tante angoscie e pene, ed ama chi per te provede a tutti, e goderai d'amor i dolci frutti. 39. Che fatica sará dunque ad amare chi tanto ci ama e 'l nostro ben procura? Qual potrá scusa in modo alcun trovare, ch'odia, lussuria, invidia, ancide e fura? S'ama una volta Iddio, il vedrai fare altro abito nel bene, altra natura; ch'amor trasformerallo ne l'amato, cangiando in tutto nuova forma e stato. 40. Si cangia ch'ama Iddio, perciò che 'n quello alberga il Re del ciel e lo riforma. Cosí diviene d'ogni grazia ostello, tal in sé bene porta questa forma. Del tutto si rinova e fassi bello, né col peccato poi piú si conforma; ma l'abito del ben di modo prende, che sol al ben oprar poi sempre attende. 41. Chi ama Iddio il riverisce e onora, e non l'offende in fatto né in parole e per amor di quell'egli ama ancora il suo nemico, e farli bene suole. Di bene in meglio fa profitto ogni ora, e quanto deve i suoi maggiori cole, perché l'incende Amor, il regge e piega acciò di caritate il camin sega. 42. Pensar su queste cose giova assai, e giova ancor d'i santi udir la vita. Prattica con li buoni, e troverai la strada del ben far sempre ispedita. Ma sovvra il tutto guarda che giá mai non ti trovi superbia al cor unita: il tutto riconosci da Colui, che nacque di Maria, morí per nui. 43. Con gran mistero i nostri Padri vecchi han fatto por ne i tempii il crucifisso: questo fanno egli acciò che tu ti specchi de la sua croce nel profondo abisso: e quando al predicar porgi gli orecchi, abbi ne gli occhi ancor chiavato e fisso che per noi prende carne il Redentore, s'affatica per noi, per noi sen more. 44. Cosí di tanti santi i simulacri veggiendo in chiesa, ne la casa e in foro, per rimembrar ogni or i gesti sacri, le vite, l'aspre pene e morti loro, ben sarai rio, s'avien che non consacri a Dio di tuoi pensier il bel tesoro: ben sarai crudo non amar chi n'ama, e su la croce ogni or a sé ci chiama. 45. Non nego che 'l principio non ritrovi difficil da pigliar, ma come il pigli, e senti il ben amar quanto ti giovi, e come ogni or ti guide e ti consigli, i' vuo' che tal dolcezza gusti e provi, e ch'a tanta fermezza allor t'appigli, che quasi non potrai lasciar il dritto camino, avendo al torto giá prescritto. 46. E come impossibil pria giudicavi lasciar il mal sentier, pigliar il buono, or facil ti parranno e sí soavi le fatiche d'Amor di cui ragiono, e sí noiose, sí nocive e gravi l'opre del mal, che queste in abbandono ratto porrai, seguendo ogni ora quelle ch'Amor c'insegna, sí perfette e belle. 47. Vedrai quell'omiciuol che s'affatica al ben amar, la notte e tutto 'l giorno, né si distorna per ch'alcun li dica ingiuria, o faccia apertamente scorno. La veritá sol tien per vera amica, che sempre con Amor fa il suo soggiorno. Questo saratti al cor un aspro sprone, acciò la via d'Amor non abbandone. 48. Cosí del ben del ciel spesso parlando, a poco a poco scaldi e accendi l'alma, e poi co i piú perfetti conversando, senti che 'l cor al ben amar s'inalma; tal che quel ben del ciel seguendo e amando, sprezzi del corpo la gravosa salma, e mal grado di quell'al ciel ti levi, che prima al basso languido giacevi. 49. Ecco che senza le Academie e scole, e senza impallidir tra studi e libri, amar può Dio ciascun ch'amar lo vuole, pur che d'amarlo in tutto si delibri: e chi sinceramente quello cole, uopo non ha che questïoni cribri. S'ergon gl'indotti e fan del ciel rapina, e la scïenza spesso al basso inclina. 50. Quanto qui vedi a Dio rivolgi sempre, che 'l tutto ha fatto pel servigio nostro. Il tuo desir, figliuol, qui non s'insempre, ma 'l suo fin metta ne l'empirio chiostro. Del ciel le gioie il senso non distempre, ma s'erga con ragion ov'io ti mostro. Se qui t'aggioia sí 'l terrestre canto, che fia 'l cieleste udir nel coro santo? 51. La vergine gientil e bella ch'ami, e tanto ne i tuoi detti esalti e onori, se sempre segui, riverisci e brami, fa che ragion contempre questi ardori. Fa che quel sant'Amor a lei ti chiami, ch'arde e non bruscia i ben purgati cori. Fa ch'ella qui ti sia un vivo esempio di quel lá su cieleste e sacro tempio. 52. Ella a salirvi t'impennerá l'ale, se con sano occhio tante doti miri: se di grazia e vertú piú ch'altra vale, chi tal l'ha fatta, fa che lodi e ammiri: se di bellezza sovvra tutte sale, chi l'abbellisce fa ch'a lui ti tiri: se tanto lodi quel svegliato ingegno, chi l'ha crïato è ben lodar piú degno. 53. Non vi lasciate, voi che detti amanti esser volete, gli occhi ombrar errore: guardate che 'l talento non vi ammanti, sforzando la ragione a starsi fòre. Sciegliete il buon camino, e sempre avanti la stella lucerá del sant'Amore, acciò non s'erri in l'intricata via, ove il piacer caduco il mondo svia. 54. E se vi par che la ragione al basso cada e sormonti l'appetito e 'l senso, volgete destramente indietro il passo, per dar a la ragione il suo compenso. Violenza non si faccia, né fracasso, ma si disgroppi il laccio sí condenso, con tal destrezza ch'egli a poco a poco, si scioglia e intiepidisca insieme il fuoco. 55. Chi vuol da luoco a luoco andar, bisogna che con debiti mezzi se ne vada, e chi nol fa, sovente in gran vergogna e danno casca ancor a mezza strada; però colui che libertate agogna, acciò che 'n servitú maggior non cada, usi destrezza e saggiamente faccia, ché mal si taglia il laccio che si slaccia. 56. Se nove e diece volte tutto 'l giorno lá te n'andavi ov'ella fa dimora, comincia a far altrove il tuo soggiorno, e fuggi quella vista che t'accora. Poi se talor per forza fai ritorno, fa che sia breve, seco stando, l'ora: e tant'a questo i' vuo' che tu t'avezzi, che di vederla al fin poi nulla prezzi. 57. E s'a caso l'incontri, la tua vista ne gli occhi suoi non affisar giá mai: con l'iscontro de gli occhi Amor acquista, Amor lascivo dico, servi assai. Sovente un guardo tanto un cor attrista che resta pien d'affanni e duri guai, spesso da gli occhi stilla tal veneno che fa chi li rimira venir meno. 58. Quando la luna i corni suoi rinova, s'in un specchio la donna avien che miri, par che da gli occhi suoi rugiada piova, che 'l vetro macchia con sanguigni giri. Cosí per gli occhi tuoi quel raggio trova la via che t'empie il cor di fier sospiri, perché con gli occhi sempre suol Amore ammorbar d'un amante il petto e 'l core. 59. E se per gli occhi al core il velen passa sí che cominci ombrare l'intelletto, chi vuol guarir, radice far nol lassa, ma subito lo sputa fòr del petto: e la beltá di quella contrapassa, per ritrovar se v'è qualche diffetto. In questo la ragion si leva, e mira che quella sua beltá non è sí mira. 60. Non è la fronte spazïosa e bella, come da prima il cieco la mirava: non li par l'occhio questa o quella stella, che dïanzi affisar si spaventava: armonia piú non suona la loquella, ch'angelico concento rissuonava: perle non sono i denti, né a rubini par ch'assimigli il labro o s'avicini. 61. Sovengavi d'Ulisse che fuggire amanti, le sirene e 'l canto volle. Non si voglion menzogne piú sentire, né dar l'orecchie a le parole folle. Si pensi e ben si limi ogni disire col cor virile e non piegato e molle, e l'ozio sovvra 'l tutto fuggirete, se di vostra salute avidi sète. 62. D'alti pensier il cor si pasca sempre, e macerin le membra le fatiche: la palla, il salto ed il luttar contempre, si varchin valli e poggi, colli e biche: or il cacciar le fere cangi tempre, o si verghin le carte nove e antiche, esercitando il corpo ed or l'ingegno: cosí del falso Amor si sgombra il regno. 63. Le fatiche del corpo ogni pensiero umile e basso in tutto scaccieranno, e rittorrá ragione allor l'impero, mettendo il senso sotto a i piè del scanno. Cosí s'acquisterá l'Amor sincero, ammendando il passato avuto danno. E chi desidra al fin venir d'un'opra, in strazii ed in fatiche ogni or s'adopra. 64. Si può purgar il cor e 'l corpo ancora con scemarli quel sangue guasto e infetto, e tutto ciò che 'l Mastro coce e irrora a salute del cor, del capo e 'l petto, sovente giova e la mente avalora, e piú lucido rende l'intelletto, che scerne il danno de l'Amor lascivo, e di quel fassi poi nemico e schivo. 65. Non voglio dir adesso qual natura piú tosto accenda Amor col suo focile, e che sará, s'a un colerico fura il cor, chi pieno vive d'atra bile, e chi s'aggiela prima e chi piú dura acceso, e qual si serva in questo stile: ché troppo lungo tema si farebbe, e prima il giorno che 'l parlar mancrebbe. 66. Ch'è gran varïetá, dal lieto core ch'un lieto abbruscia in l'amorosa face, dal colerico adusto che l'ardore d'un altro adusto accende, rode e sface. Tra quei si vede ogni or con dolce Amore sempre regnar una tranquilla pace: questi mai sempre stanno in lite e guerra, sí fiero ardor tra quegli umor s'afferra. 67. E quando le nature dapoi sono tra lor di sangue e d'appetito varie, quell'appetisce il canto, il ballo e 'l suono, e questi par che 'n tutto da quel svarie. Ché s'uno è queto, onesto, saggio e buono, l'altro averá le qualitá contrarie, e quell'amor sará gioioso sempre u' sono cori di conformi tempre, 68. Ma lasciamo il parlar di quest'amori, poi che non son di quel ch'andiam cercando. Fuggir cercamo tutti i falli e errori, che soglion molti far ardendo e amando. E giá mi credo averti tratto fòri del camin falso ov'eri posto in bando, e veggio che cominci a quella strada pensar ove convien che tu ten vada. 69. Omai, figliuol, per te chiaro comprendi l'error, u' fusti, e 'l ben ov'era sei: dunque il destro camino ardito prendi, avendo sempr'a cor i detti miei. E quanto piú d'amor l'alma t'accendi del bell'ingegno e modi di costei, tanto piú loda Amor, ché questa via è la dritta ch'al ciel t'indrizza e invia. 70. Il genio d'ora in ora al cor t'inspira come regger ti déi e governarti, e la tua mente al ciel si volge e tira, che suo seguace sol ricerca farti: con la cieleste forma vaga e mira di lei ti vuol a l'alto sollevarti, u' pace sol avrai, gioia e diletto, pur che purgato e puro sia l'affetto. 71. E credo ben per te che tu t'avedi qual esser ti bisogni con costei, e senz'impedimento aperto vedi ch'al mondo par non vive donna a lei. Poi per le cose dette fermo credi che questa senza dubbio è pur colei ch'oggi si trova sí perfetta in terra, che pace apporta, e fugga l'odio e guerra. 72. Onde di me bisogno piú non hai, seguendo il santo genio che ti mena: con questo a lunghi passi te n'andrai, che ti dará consiglio, mente e lena; ma guarda nol lasciar un passo mai, ché caderesti piú di prima in pena, e fatica averesti a levar suso se ritornassi al tuo primier abuso. 73. Ringrazia Iddio che t'ha levato fòre de le vane speranze e van desiri, e poi che vedi il manifesto errore ove giá fusti in doglie ed in martíri, fa che basso pensier non t'entri in core, né fòr del buon camino piú ti tiri; c'hai vaneggiato pur troppo gran tempo, e quasi il ripentir non è per tempo. 74. Porta pur sempre in cor quanto i' t'ho detto, ché tempo è ch'io ritorni donde venni. – Indi abbracciommi e mi si strinse al petto, ed io di par legame cinto il tenni. Piagnendo i' dissi poi: – Padre diletto, quanto d'affanno al mondo mai sostenni, è nulla a par del fier martír ch'io sento, sí fatto il tuo partir mi dá tormento. 75. Senza te che farò, che m'hai levato del grav'error commun dov'io vivea? Novizio i' sono in questo novo stato, ove l'errar è cosa troppo rea. S'i' caderò, da chi sarò levato, se 'l sostegno non ho che mi tenea? Padre, non mi lasciar senza consiglio in tanto di mia vita fier periglio. 76. Ché quanto deve un uom ad uom debb'io a te, e piú se piú dever si puote: e se non pago come debbo il fio del ben che fatto m'hai, fa che si note al debole poter e valor mio, non a le voglie a te chine e divote; ché s'al voler la possa fosse uguale, de l'opra fin al ciel stenderei l'ale. 77. Or quanto piú si può i' ti ringrazio, con obligo che resti sempre eterno; né mai mi troverò lassato o sazio seguir il ben che 'n me per te discerno. Né sará giorno mai, né d'ora spazio, né di tempo stagion, l'estate e 'l verno, ch'i' non divolghi che, s'in me è bene, qual acqua dal suo fonte, da te viene. – 78. – Non dubitar, – rispose, – che tu resti senza guida, figliuol, ché sempre teco sará chi 'l buon sentier ti manifesti, pur che tu voglia andar ogn'ora seco. Fa che mai sempre al suo spirar ti desti, e non ti calerá se non sei meco: segui il buon genio, segui, ed egli fia la guida a superar ogni aspra via. 79. Le grazie ch'a me rendi, rendi a quella che 'n te crïò di basse cose oblio, e com'è saggia, onesta, vaga e bella, in cor ti pose il ver d'Amor disio. E giá dicesti chiaramente ch'ella t'alzava a contemplar il somm'Iddio, ben che tal or il senso risorgea, ch'altrove i tuoi pensieri rivolgea. 80. Or credi certo ch'ella è stata il mezzo di sollevarti fin a questo grado, che con que' modi suoi t'ha sempre avezzo gir al sicuro di tant'acque guado, ove si fugge il senso con disprezzo, e la ragion si prende ogni or a grado; sí che lodando, come fai, costei, in tutto fa che ti conformi a lei. – 81. Cosí lasciommi, e prese il suo camino verso levante, ed io rimasi solo: e non essendo alcun nel bel giardino né tra le piante del famoso brolo, presso al fonte restai a capo chino, avendo di pensier un grande stuolo, ch'or uno or altro il cor mi combatteva: chi m'animava e chi mi riprendeva. 82. Allor di tema e di desir ardendo, con pensier di cangiar vita e costumi, non so se vigilando o pur dormendo, mi ritrovai in mezzo d'aspri dumi; onde dov'io mi fossi non sapendo, girai de gli occhi i rugiadosi lumi, e scorsi il luoco alpestro e solitaro privo di speme aver alcun riparo. 83. Era di sassi e sterpi il luoco pieno, u' non scerneva né sentier né via: sol di sopra splendeva il ciel sereno, e l'alba in orïente si scopria, che discoprendo il bell'e aurato seno, la strada a poco a poco al sol apria; ed io guardava pur attorno attorno s'uomo apparir vedea col novo giorno. 84. E pien d'un certo orror fra me dicea: «Lasso! qui come giunto sono o quando? Parmi che poco innanzi i' pur sedea vicino al fonte al mastro mio parlando. Da me partir adesso lo vedea, ond'io dolente e quasi lagrimando in piede mi levai ed or qui sono, né so s'io veglio o dormo o s'io ragiono. 85. Qui li mirti non sono, né rimiro fontana, né genebri, n'erba verde, non casa o villa, né di parco giro: né vite, n'arboscello qui rinverde. Frutti di qua giá mai non si rapiro, ove ogni seme in tutto si disperde: sol una selva scorge non lontana, ma la strada mi par scoscesa e strana. 86. Altro veder non posso che 'l gran bosco, che mi par ch'alzi al ciel e rami e frondi, e mi sembra sí folto e tanto fosco che l'occhio non penetra a i persi fondi. Come v'andrebbe un cieco e ancor un losco, che non precipitasse in que' profondi buron ch'i' scerno in mezzo la campagna, fatti quai per carpir suol far la ragna?» 87. Quivi in tal modo, né so come, stando, esser non mi parea quel che prima era, perciò ch'a' casi miei fiso pensando, in me novi pensier trovai a schiera: ed ecco sento allor un che gridando mi disse: – Amico mio, questa è la vera strada di pervenir ove tu brami, se la vergine bella di cor ami. 88. Entra animoso ne la selva oscura, che lá dinanzi vedi nera e folta: orrendi mostri ti faran paura, ma tu va contra, e indietro non ti volta. Quai si sia che riscontri ivi figura, ardito sprezza, e voce non ascolta: spaventar ti potran ma non sforzare che tu non possa il tuo vïaggio fare. 89. A sinistra non piega n'a la destra, il mezzo tieni andando sempre dritto. La strada troverai dirrotta e alpestra, u' segno di camin non fu mai fitto: selvaggia è tutta, incolta e sí silvestra, perché di rado vi si fa tragitto: di rota o di caval non scerni l'orma, né v'è di piede uman vestigio o forma. 90. Intoppi troverai de gl'intricati rami e di vepri, di virgulti e sassi, e spesso cerri e faggi attraversati, come sovente in mezzo a i boschi fassi. Non ti voltar a quai ci sian di lati, ma 'l tutto saldamente fa che passi. Le mani adopra e 'l ferro e insieme il fuoco, né dimorar in qual si voglia luoco. 91. S'amene piagge e bei giardin tu vedi dentro la selva, e prati pien di fiori, ivi non ferma in modo alcuno i piedi, e chiudi il naso a quei mortali odori: s'udirai canti e suoni, certo credi che son per trarti de la strada fuori: non ti fermar a fonti, n'a ruscelli, ancor che paian chiari, freschi e belli. 92. Difficile parratti questo viaggio, ma non temer, ché 'l tutto vincerai. Se l'aspro vinci, il duro e sí selvaggio, il molle com'ancor non passerai? E forse arai dal primo piú d'oltraggio, perché parrá che non apporti guai; ma chi tien seco di ragion la lampa, d'ogni periglio saggiamente scampa. 93. Poi se guazzosa pioggia e ria tempesta cadrá dal ciel con strepito e fragore, non cercar tetto e mai non volger testa, poggiando innanzi con sicuro core. In simil viaggio père chi s'arresta, e chi camina al fin n'uscisse fòre. Non temer dunque di contrasto alcuno, né che di chiaro venga l'aër bruno, 94. E perché spesso veste trova forma Satan, che pare l'angel santo e buono, e va cercando le vestigia e l'orma di que' che posti a caminar si sono: poi sotto finte larve quelli informa, con sí vago parlar e dolce suono che spesso ne rivolge molti a dietro, che van di mal in peggio con tal metro, 95. guarda, figliuol, che le lusinghe false talor non ti cangiasser di pensiero, per che 'l nemico molti, che non valse levar apertamente fòr del vero, sotto spece di ben sovente assalse, e trasse con inganno al suo sentiero: non dar orecchia a cosa che tu oda, ma ciò che vedi o senti stima froda. 96. E ben che tu non veggia alcuno intorno ch'errando vada per queste contrade, pensa che piene sono d'ognintorno di gente, ov'è chi va, chi vien, chi cade: altro qui non si fa la notte e 'l giorno, cosí son carche tutte queste strade. Or gli occhi ancor ti copre un folto velo, che ti lascia mirar a pena il cielo. 97. La nebbia si sfará in poco d'ora, che giá comincia quasi dileguarsi: non caccierá del tutto il sol l'aurora, che 'l velo sentirai da te levarsi. Non ti par giá che 'n te non so che mora, e novo in te pensier piú fermo farsi Ecco che cade il velo, ecco che vedi ciò che veggiendo a pena a te lo credi. 98. A Roma non fu mai la calca tale allor che 'l Giubileo si celebrava, perciò che lá correva ogni mortale a la croce ch'a l'uom le colpe lava: e s'or piú tanta turba non vi sale, è che Lutero i cor col falso aggrava, l'inconsutile veste lacerando, e la sposa di Cristo vïolando. 99. Non era tal la calca, qual vedrai di tutti questi luoghi in le pendici: e come spieghi il sol alquant'i rai, chi annoverar potrá gli orbi e mendici? Chi udir tanti lamenti e fieri lai, e scerner l'opre lor e i varii offici? Non potrebbe Argo la metá vedere de le varie opre e de le varie schiere. 100. Fusti a Benaco mai da primavera, quando l'anguille va scaldando amore, che glomerate in un verso Peschera van disfogando il lor cocente ardore? Vedesti mai formiche a schiera a schiera turbarsi se li rompi il lor tenore, che tu non puoi con l'occhio sofferire il diverso sgombrar, il vario gire? 101. O se vedesti mai quando il fagiolo o ver il cece è posto in l'acqua a fuoco, ch'errando qua e lá con vario volo salta, facendo un intricato gioco, né puoi veder in quel commoto stuolo qual sia di questo o qual di quell'il luoco, perché confusi innanzi e indietro vanno, né mai fermati in un tenor sen stanno? 102. Tal vederai la turba errante e cieca, com'ebri vacillar e andar sossopra. Erra qui la Romana, erra la Greca, e tutto 'l mondo quasi in van s'adopra. Felice è ben chi sano al fin si reca: ei lodi il gran Dator d'ogni buon'opra, ché senza il suo favor alcun non puote aver del bene oprar la vera dote. 103. E tu fatica soffrirai immensa, prima che giunga il desïato fine: e guarda che talor colui che pensa in tutto aver pigliato la confine, indarno le fatiche sue dispensa, s'orecchia porge a le feroci Erine; convien di lungo gir, né mai far posa: in tutto si distorna chi si posa. 104. Fur d'Ercol le fatiche celebrate, quando l'idra abbrusciò con sette teste, e l'altre tante a questa annoverate, che tra poeti vedi manifeste; ma se fian drittamente ponderate, non saran d'aguagliarsi punto a queste, ché fatica piú grande non si trova, che se stesso domar con vera prova. 105. Egli gli uomini vinse e l'aspre fere, apri, cervi, lioni, tori e serpi: l'Arpie cacciò cosí crudeli e fiere: a l'Esperide i pomi par che sterpi: Cerbero trasse a le cielesti sfere, ch'avelenò li sassi, l'erbe e sterpi: il tricipite re vinse in Ispagna ed a Caco rompí la cuticagna. 106. Questi sí forte e primo fra gli eroi, che la terra purgò di tanti mostri, e da Calpe la scorse a i liti Eoi, salendo con la fama a gli alti chiostri, vincer sé stesso, il gran baron, da poi non seppe, come cantan tant'inchiostri: vil feminella il prende, doma e lega, ed a far opre feminili il piega. 107. Vinse del mondo le piú grandi prove, e non seppe domare l'appetito. Il tutto ad un non dona il sommo Giove, né tutti i frutti apporta sempre un sito. Ma chi questo camin passar si move, vinca sé stesso e poggi innanzi ardito, non si fermando, né lentando il passo, ben che si senta afflitto, stanco e lasso. 108. Sí che, figliuol, occorra ciò che sia, di cosa non temer, ma sempre saldo camina questa discoscesa via, ogni or piú lieve, vigoroso e baldo. Chi pervenir ad alto fin disia, fame patisce e sete e freddo e caldo, e va spesso a periglio de la morte, sempre piú fresco, piú costante e forte. 109. Or per farti piú lieto ed animoso, un corollaro adesso ti vuo' dire, che nulla cosa ti fará doglioso, né ti potrá in modo alcun ferire, pur ch'a te stesso tu non sia ritroso, o di tua voglia cerchi di perire: se nol consenti, tu perir non puoi, guarda se morte o vita adunque vuoi. 110. Qui forza non si fa, n'alcun s'astringe a dietro ritornar o starsi fermo. Ben di sforzarti il tuo nemico finge, ma se tu vuoi, debol lo trovi e infermo. Cose infinite poi ti scopre e pinge, e 'l luoco fa parer or verde, or ermo, e cerca con inganni avilupparti, poi che prigion non può per forza farti. 111. Ti replico che tutti son figmenti, che l'avversaro per rubarti prova. Non sian li passi tuoi tremanti o lenti, e l'andar vederai quanto ti giova. Or se gagliardo al caminar ti senti, che tardi a far la glorïosa prova? Vinci te stesso e 'l tutto vincerai, ed al bramato fin tosto n'andrai. – 112. Udiva le parole vere e sagge, ma chi quelle dicesse, non vedea. E giá per le solinghe e sí selvagge contrade gente assai andar scernea, che, tra li sassi errando de le piagge, or giva, or ritornava ed or sedea: e fòr del Gange il sol allor uscito chiaro scopriva tutto quello sito. 113. A l'apparir del sol mi parve ch'io in me la forza radoppiasse assai, e sentiva levarsi il buon disio, sprezzando quanti il mondo può dar guai. In terra le ginocchia posi, e Dio ch'è trino ed uno di cor adorai, chiedendo poi di grazia che mi desse che gli appetiti e me stesso vincesse. 114. A la voce da poi ch'udiva, volto con riverenza, dissi: – O voce pia, che m'hai, la tua mercé, sí ben risolto di' passi e de gl'intrichi de la via, o nume sii del ciel a noi occolto, o forse il genio ch'a ben far m'invia, o spirto sacro in qual si voglia modo, quanto piú posso i' ti ringrazio e lodo. 115. I' ti ringrazio de gli avisi dati per mia salute, e prego che tu voglia meco venir acciò ch'a i desïati luoghi pervenga de la santa soglia. Reggimi, prego, ch'a nessun d'i lati mi pieghi o fermi il passo o mi distoglia, ché senza il tuo favor o ferma guida, come saprei tener la strada fida? – 116. Cosí diceva, ed ecco allor allora, ch'un gielato sudor tutto mi prese, ed un caldo senti' che l'istessa ora le fredde membra in un momento accese: ond'il gielo cacciò cosí di fòra, che tutto il corpo e l'alma ardente rese, e sí liggier mi parve ch'io restassi, come la bolla che sovvra acqua fassi. 117. Crebbe la voglia allor, crebbe il desire di pormi attraversar que' larghi campi, ed a la selva dritto pervenire, nulla temendo che piú il piede inciampi. Cominciava giá 'l sol in su salire, vibrando d'ognintorno i chiari lampi, ond'io dissi col cor: «Eterno Iddio, aguaglia la mia speme col disio. 118. Aprimi gli occhi sí ch'io veggia chiaro il sentier dritto ch'a la selva mena, reggi i miei passi, e sempr'a paro a paro camini la ragion su questa arena. Dammi ch'io vinca in tutto l'avversaro, e non m'intrichi vepre né catena, sí ch'a la selva con tua grazia arrivi, e poi di quella i gran perigli schivi. 119. E tu del ciel Reina, che portasti nel ventre virginal il vero Iddio, prega il tuo Figlio che 'n tanti contrasti mi doni forza e fermi il buon disio; so che mai sempre i peccatori amasti, e tra' peccati immerso mi trov'io; ma pentito mondarmi bramo e ploro, da te sperando, tua mercé, ristoro. 120. S'i peccator non fossero, Maria, tu non saressi a Cristo stata madre, ché 'l Re del ciel in terra quell'invia per la colpa purgar del primo padre. A me ti volgi adunque, umana e pia, e lava le mie macchie oscure ed adre nel sangue prezïoso di colui ch'elesse di morir per salvar nui». 121. Con questo, in fronte il segno de la croce lagrimando m'impressi, e i piedi mossi, ma non seppi giá mai cosí veloce gir, ch'interrotto ne l'andar non fossi. Era piena di gente quella foce ov'eran gran valloni ed alti fossi: chi mi spigneva indietro e mi sgridava, chi forme orrende e larve mi mostrava: 122. chi mi metteva a canto damiselle vaghe, lascive e mastramente ornate, cosí leggiadre, baldanzose e belle, ch'unita in lor vedeva ogni beltate: e rivolgendo gli occhi a mirar quelle, ebbe il mio genio allor di me pietate, che mi suggesse ch'eran fizzioni, per farmi dar del capo in que' buroni. 123. Ma come gli occhi volsi al mio camino, ratto ululando innanzi a me spariro: e cercando a la selva andar vicino, aspro dolor sentiva e fier martiro; ed ecco un spin mi prese qual uncino, che quasi a sé mi volse tutto in giro, e lacerommi parte del mio manto, ch'al fier acuto spin rimase a canto. 124. D'ogni banda i' sentiva lacerarmi, e ne la carne intrar acuti morsi; ma non sapeva mai da chi guardarmi, né mai chi mi mordesse pur m'accorsi. Giá non vedeva bestie approssimarmi, e denti sofferia di lupi e d'orsi: urli sentiva e gridi d'aspre fiere, di tigri, di lioni e di pantere. 125. I' mi credeva al bosco essere aggiunto, quand'i' mi vidi assai da quel lontano, e vidi a me davanti, anzi congiunto, un mostro orrendo, velenoso e strano. I' non saprei la forma dire a punto, tant'era contrafatto ed inumano, e di sí sozza faccia e fiera vista, che men bruttezza un cor sicuro attrista. 126. Per contro mi si volse il mostro fiero, armato di saette e di serpenti, e con tremendo ciglio ardente e fiero, e tutti gli atti ad inghiottirmi attenti, attraversommi il dritto mio sentiero: poi soperbo mi disse: – Qui convienti morir o ritornar a dietro, e fare ciò ch'io vorrò se tu vorrai campare. – 127. Questo dicendo mi ferí nel petto d'un fiero strale acuto e velenoso, e tutt'a un tratto diemmi su 'l ciuffetto d'un serpente soperbo ed orgoglioso, di cui la coda sí m'avinse stretto, che di restar in vita fui dubbioso: e con sanguigni denti ancor mi morse, onde il velen di vena in vena corse. 128. Lettor, se mai passasti l'Apennino, allor che tutto carco sta di neve, e d'ognintorno ghiaccio cristallino dentro a' suoi fonti va gielando e beve, quel freddo sí tremante, duro e alpino è quasi nulla a chi lá su il riceve, a par di quel ch'allor mi strinse il core, quasi estinguendo il natural calore. 129. Cascai tre volte, e a pena mi levai, afflitto e lasso e sí di mente uscito, che quasi quasi a dietro mi voltai, né sapeva che farmi in quello sito. In quest'andarmi innanzi i' rimirai chi mi chiamava a sé, levando il dito: donna vestita d'una cotta verde, che 'l vivace color giá mai non perde. 130. Disparve il mostro, come nebbia al vento, a l'apparir del sol de gli occhi santi, ond'io, ch'al caminar era sí lento che quasi non movea i passi innanti, ratto 'l vigor ripresi e l'ardimento, sí ch'i miei passi instabili ed erranti liggieri si movean di gir ben caldi, per quei mal conci piani andando saldi. 131. Chi potrá dir le pene e le fatiche, l'aspre percosse e fiere battiture che quelle crude genti a Dio nemiche mi dier cangiando ogni or visi e figure? So ben che non bisogna ch'io repliche ad una ad una tante mie sciagure, e tanti intoppi ch'ebbi e sí diversi strazii e martír com'ivi allor soffersi. 132. Ma quella che la strada lui facea, che dritta al bosco chi la segue mena, or una or altra sferza dirompea, la via agevolando per l'arena. Non so se ninfa fosse o sacra dèa, ma d'ogni grazia si mostrava piena, e di tanta speranza armommi l'alma che del camin stimai lieve la salma. 133. Ella talor a me si rivoltava, sí bella, sí leggiadra e tanto vaga, che da que' suoi begli occhi fòr spirava di speme il fior che 'n cor gientil s'allaga. E mi diceva poi: – So che t'aggrava questo camin che tutti fère e impiaga; ma spera e pensa ciò che giá ti disse la voce ch'i perigli ti predisse. 134. Non vedi se camini arditamente, che percossa non temi o senti danno? Non pensi com'avien che ti rallente, quai botte questi mostri allor ti dánno? Alza sperando al ciel la netta mente, e mira come questi errando vanno, ch'ad ogni intoppo, ad ogni sferza i passi volgono a dietro senza speme lassi. 135. Omai da te devresti senza guida saldo passar avanti ogni periglio: se di speranza germe in te s'annida, rasserena il turbato e oscuro ciglio. Ve' che 'l camin ti fo, te stesso guida per trarti fòra d'ogni adunco artiglio. Or su, camina, amico, ch'ora mai s'un po' t'affretti al porto giungerai. 136. Senza fatica andar colá non puoi, ove tanto disir d'andar dimostri: maggior travaglio avranno i passi tuoi lá ne la selva, tanti ci son mostri; ma certo il tutto vincerai, se vuoi, e che contra i nemici di cor giostri: ve' ch'a la selva giá tu se' vicino, e nulla o poco resta del camino. – 137. Col fin de le parole quella sparve, che sí ben m'animava gir avanti. Allor dinanzi gli occhi aver mi parve con draghi e con chimere fier giganti: poi d'ognintorno spaventose larve di volermi inghiottir facean sembianti; ma, gli occhi al ciel alzando, i' dissi: «O Dio, i' spero in te che sei l'aiuto mio». 138. In questo mi trovai nel fin del duro, aspro camin che presso al bosco arriva; ma tanto lasso e dubbio del futuro, che molto lento e debil me ne giva. Vedeva il bosco folto e tanto oscuro, che strada di passarlo no' scopriva: e quanto l'occhio intento piú volgeva, piú folto ed intricato mi pareva. 139. Or ciò che m'avenisse allor allora mi serbo a raccontar in l'altro canto, perché potrei col ragionar talora a chi m'ascolta esser noioso alquanto. Ben ne ringrazio Iddio e lodo ogni ora che in riso m'ha cangiato il lungo pianto, mercé la sua bontá, mercé l'amore che porta al peccator il Redentore.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |