CAPITOLO XXXIV
L’ASSALTO
Avendo il Principe riconosciuto per relazione di spie più fidate
di Gasparo che i liberali trovavansi nel castello preparossi a dargli l’assalto
dopo avere disposto la sua gente in modo da circondare il castello ed impedire
da ogni parte l’uscita ai rinchiusi.
Ma simile a molti generali che sprecando e disseminando la loro
gente per eccesso di precauzioni su troppi punti, con sentinelle, picchetti,
distaccamenti, osservazioni, ecc. finiscono a rimanere con poche forze sotto
mano e sono bene sovente sconfitti, il Principe più che al vincere, parve
provvedere ad assicurarsi la vittoria.
Da’ suoi esploratori egli avea avuto un’idea della situazione del
castello, ma inesatta. Avea mandato anche Gasparo in esplorazione, ma questi
non compariva onde impaziente egli dispose la sua gente, che ammontava a circa
un migliaio d’uomini, in vari distaccamenti. Li inviò in diverse direzioni a
fine di chiudere ermeticamente il nemico e quindi avanzare restringendo il
cerchio per finalmente assaltare la posizione.
Successe per l’appunto ciò che doveva succedere con tante
precauzioni e movimenti combinati. La parte verso Roma, da tramontana, ove il
Principe stesso comandava, seguì veramente la sua marcia diretta verso il
castello; ma gli altri distaccamenti un po’ per incuria, naturale ai soldati
del Papa, un po’ per colpa dei pratici, anche loro poco vogliosi di venire a
combattimenti, invece di seguire vie praticabili, s’intricavano nel folto del
bosco ove, chiama di qua rispondi di là, vi volevano delle ore per intendersi,
e si finiva qualche volta, dopo d’aver faticato molto, col tornare al punto di
partenza.
Il Principe avendo tenuto seco circa dugento uomini dei più fidi,
giunse verso le 4 pomeridiane alla vista del castello, ove s’accorse che
v’erano già preparativi di difesa. Contando sulla bravura de’ suoi e sulla
cooperazione degli altri distaccamenti, egli da prode com’era veramente, la
sciabola alla mano, fece spiegare la metà della sua gente a modo di tiratori,
l’altra metà tenne in colonna ed ordinò alle trombe la carica.
Orazio co’ suoi giovani Romani, avrebbe potuto scansare il
combattimento scendendo colla sua gente giù pe’ sotterranei. Ma sdegnando una
ritirata prima di misurarsi coi mercenari della Corte papale fu deciso di tener
fermo. Perciò si costrussero prontamente della barricate a tutte le porte del
Castello si aprirono feritoie, ed infine si tenne pronta ogni cosa per la
difesa.
L’ordine dato da Orazio alla sua gente era di non tirare da
lontano, aspettare il nemico a bruciapelo ed allora dovesse ciascuno col suo
tiro abbattere il suo uomo. E così si fece. Gli assalitori avanzavano con passo
ardito verso il castello, e già la catena di tiratori era giunta a toccare
quasi il peristilio dell’edilizio, quando una scarica generale di quei di
dentro distese sul terreno tanti papalini quanti furono i tiri.
Quell’improvvisa scarica scosse alquanto i primi arrivati. Vi furono alcuni che
vedendo i compagni caduti volgevano indietro per fuggire ma il Principe, alla
testa della sua colonna, veniva sui talloni dei tiratori e giunse infatti al
castello poco dopo loro.
Orazio, da capitano avveduto, avea fatto preparare cariche quante
armi si trovavano nel castello ed alle donne, aveva lasciata la cura di
ricaricarle insieme ad alcuni domestici, a misura che si sparavano. John avea
sdegnato rimanere colle donne come volea lasciarlo il suo protettore, impugnò
la sua brava carabina, si pose a fianco d’Orazio e lo seguì durante il
combattimento come fosse la sua ombra.
Giunto il Principe al coperto della barricata del peristilio e
vedendo la strage che s’era fatta della sua gente in poco tempo capì con che
nemici avea da fare, vide dipinto sulla fisionomia dei suoi il timore. Ma
poiché la ritirata era morte sicura, dovendo percorrere di nuovo lo spazio
avanzato sotto il fuoco micidiale di tali tiratori com’eran quei di dentro e
pungendolo di più la vergogna di una ritirata che avrebbe somigliato a una fuga
risolvette di tentare l’assalto della barricata.
Passò l’ordine ai migliori ufficiali che gli stavano vicini diede
comando alle trombe di suonar la carica, saltò per il primo sull’orlo della
barricata, superolla e si lanciò fra i pochi difensori di quella, menando
sciabolate da disperato.
Uno dei difensori all’aspetto del Principe rimase immobile e come
di sasso. Era Orazio! Egli aveva ravvisato sulla maschia fisionomia del nemico
le care sembianze della sua Irene.
Orazio aveva una canna della sua carabina carica e poteva
ammazzarlo ma non si mosse. John all’incontro senz’altre cerimonie spianò la
sua arma al petto del nemico e lasciò andare il colpo ma il braccio robusto di
Orazio deviò l’arma, che andò a ferire uno degli assalitori che varcava allora
la barricata.
Pochi furono i seguaci del Principe che gli tenner dietro e quei
pochi o sulla barricata o già dentro furono spacciati dai valorosi campioni
della libertà di Roma.
Finalmente, una circostanza inaspettata liberò del tutto il
castello dai suoi assalitori, che sparvero in tutte le direzioni come la nebbia
al vento.
Dalla parte orientale del bosco mentre la truppa era tutta
raccolta sotto le barricate e gli officiali la incoraggiavano a seguire il
Principe s’udì un grido spaventoso d’una decina d’armati e si videro questi
dieci leoni (che potevano esser cento, pensarono i soldati) precipitarsi sul
fianco destro della truppa e sbaragliarla e disperderla come fosse stato un
branco di pecore.
Da prima i soldati li avevan creduti dei loro e rimanevano in
osservazione, quando però alla foggia del vestire ed alle busse che menavano
riconobbero essere i liberali, colla paura che già avevan nelle ossa pel numero
degli uccisi a gambe se la diedero e lasciarono il campo di battaglia
interamente in potere dei coraggiosi che gli avevano assaliti.
Il Principe, rimasto solo, avendo notato l’atto generoso del suo
nemico, pensò esser oramai inutile il combattere e rimise la sua spada ad
Orazio. Questi la ricevè e vedendo che ormai non v’eran più nemici, condusse il
suo prigioniero ad Irene.
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