CAPITOLO XXXV
UN ACQUISTO PREZIOSO
Dobbiamo confessare essersi fatti degli immensi progressi in
questo ultimo secolo. Non parlerò di quelli delle scienze fisiche e meccaniche,
veramente portentosi, ma dei progressi morali specialmente.
L’emancipazione del popolo dal prete è un gran fatto non
interamente avverato, ma che cammina a passi di gigante al suo compimento.
Quando si pensa che la distruzione del pretismo è proprio opera
degli stessi preti!
Chi può calcolare quale consolidamento avrebbe ottenuto il Papato
se Pio IX continuava nel sistema di riforme iniziato e se identificava la causa
sua con quella della Nazione italiana disposta di darsi al diavolo purché il
diavolo la costituisse? Eppure la Provvidenza accecò quel vecchio tentenna per
il bene di questo povero popolo, e lo lasciò sulla perversa e miserabile via
de’ suoi antecessori a patteggiare cioè collo straniero, vendendogli vilmente
il sangue de’ suoi concittadini.
La Nazione italiana vide alla luce del sole il ceffo deforme degli
impostori, marciare col crocefisso in mano alla testa delle masnade straniere47
suscitando dovunque quel brigantaggio che devasta ancora le nostre province
meridionali con ogni specie di orribili delitti per tentare la dissoluzione
dell’unità nazionale sì felicemente costituita.
Un altro fatto che attesta grandemente il progresso umano della
nostr’età è l’avvicinamento dell’aristocrazia al popolo.
Vi sono bensì ancora dei baroni, più o meno duri, più o meno forti
e coperti di ferro, che affettano ancora l’alterigia e le prepotenze de’ bei
tempi del diritto della coscia48. Ma questi sono pochi e la maggior
parte dei nobili e i veramente nobili d’animo si avvicinano a noi, ed
accomunano le loro alle aspirazioni nostre.
Di tal tempra era il fratello d’Irene. Egli avea bensì fatto
l’ultimo tentativo da noi riferito per liberare la sorella che credeva in mano
d’assassini, ma quando conobbe che erano tutt’altro gli uomini coi quali aveva
combattuto, e Romani, egli sentì orgoglio di tanta bravura de’ suoi
concittadini. Poi egli doveva la vita a quel magnifico e valoroso soldato della
libertà ch’era Orazio e venne a conoscer esser lui lo sposo legittimo di sua
sorella, ch’egli teneramente amava.
Allora cambiò concetto. E tutte le suddette considerazioni
militarono in favore della nostra Irene quando, riconosciuto il fratello, essa
diede un grido di sorpresa e si precipitò ai suoi ginocchi stringendoli
fortemente e dirottamente piangendo commossa nel rivederlo, anche perché la
presenza di lui richiamavale il genitore perduto che il fratello maggiore
rappresentava per l’aspetto e per l’autorità.
Il Principe sollevò Irene gentilmente ed ambi rimasero per più
minuti abbracciati, spargendo lacrime di commozione. Orazio, commosso lui pure
sino al fondo dell’anima, prese la spada del Principe, per la punta e presentandogli
l’elsa gli disse: «Un valoroso non deve essere privo dell’arma». Il Principe
l’accettò con gratitudine, e strinse affettuosamente la mano abbronzata del
duce della foresta.
E Clelia non l’aveva essa riconosciuto il suo Attilio nel ruggito
che avevan mandato agli assalitori? Oh sì! quando il grido di quei dieci fece
risuonar le volte del castello e tanto spavento suscitò nell’anima dei
papalini, Clelia abbandonò un’arma che aveva allora terminato di caricare e
volò a un balcone da dove potè osservare la scena. Essa vide per un istante il
volto che portava scolpito nel cuore ma bastò quell’istante per farla felice.
Ed era veramente il nostro Attilio con Muzio, Silvio e sette altri
compagni che avevan così bravamente caricate e fugate le masnade del papa.
Silvio conosceva perfettamente il castello di Lucullo e spesso era
stato ospite d’Orazio non solo, ma compagno, ed era lui il veicolo di
comunicazione tra i liberali di dentro e quelli della campagna. Egli dunque,
quando in Roma per parte dei capi liberali si prese la determinazione di
pigliare il campo e riunirsi alla banda d’Orazio si pose alla lor testa per
guidarli e come s’è veduto, giunse felicemente in tempo per dar l’ultimo colpo
alle truppe papaline.
Lascio pensare qual fu la gioia nel castello all’arrivo dei nuovi
amici che sì potentemente avean contribuito alla liberazione dei fratelli.
Quante interrogazioni! quanti abbracciamenti, quante richieste di
parenti, di fatti, di speranze, di delusioni!
«Mio! mio!» ripeteva Clelia a sé stessa, mentre Attilio, per la
prima volta, coglieva un bacio sulla fronte dell’adorata vergine. «Mio! a
dispetto della trista caterva dei chercuti e del mondo!».
«Eh! signorina! l’odore della polvere ed il fragore della
battaglia vi hanno esaltato alquanto la testolina. Ma ve la passiamo». L’amore
vero, sublime, eroico, l’amore che si portavano quelle due angeliche creature,
non è egli la vita dell’anima, il fomite di quanto s’opera di grande,
l’incivilitore dell’umana razza?
Un bell’acquisto l’avean fatto davvero i liberali nella persona
del principe E. Trasformato dalle scene che noi abbiamo descritte, si trovò un
altr’uomo intieramente, perché egli, generoso e prode per natura, sentiva
nell’anima l’umiliazione della patria ed ardeva di vederla liberata da’ suoi
oppressori stranieri e chercuti. Educato fuori di Roma ed in condizioni diverse
da quelle dei giovani che tenevan nelle mani la trama della rivoluzione Romana
ad onta del suo carattere e de’ suoi sentimenti v’era rimasto estraneo. Poi per
condiscendere al desiderio del padre egli aveva accettato un posto
nell’esercito pontificio e si comprende di leggeri che un tale impegno lo
allontanava ancora più dai nostri amici.
Ora dai suoi occhi era caduta la benda e senza quell’impaccio egli
potè arditamente contemplare tutta la grandezza dell’avvenire italiano. Una
nazione sminuzzata in tante parti, e perciò esposta al disprezzo e al ludibrio
del mondo vide costituita in un corpo solo, potente, rispettata, come lo fu nei
bei tempi di Roma, come la sognarono i grandi italiani di tutte le età.
Appena intravveduta la vita nuova il principe si sentì attratto
verso di lei, innamorato de’ suoi nuovi compagni e così deciso a rifarsi del
tempo perduto, che fece sacramento a sé stesso di vivere e morire per la causa
santa del suo paese.
Ricco e potente come egli era e generoso, diventò nel futuro il
più forte sostegno dei proscritti, i quali dal canto loro non ebbero che a
rallegrarsi d’aver collocata la loro fiducia in quel nobile carattere.
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