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Giuseppe Garibaldi
Clelia ovvero Il governo dei preti

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    • CAPITOLO XXXV   UN ACQUISTO PREZIOSO
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CAPITOLO XXXV

 

UN ACQUISTO PREZIOSO

 

Dobbiamo confessare essersi fatti degli immensi progressi in questo ultimo secolo. Non parlerò di quelli delle scienze fisiche e meccaniche, veramente portentosi, ma dei progressi morali specialmente.

L’emancipazione del popolo dal prete è un gran fatto non interamente avverato, ma che cammina a passi di gigante al suo compimento.

Quando si pensa che la distruzione del pretismo è proprio opera degli stessi preti!

Chi può calcolare quale consolidamento avrebbe ottenuto il Papato se Pio IX continuava nel sistema di riforme iniziato e se identificava la causa sua con quella della Nazione italiana disposta di darsi al diavolo purché il diavolo la costituisse? Eppure la Provvidenza accecò quel vecchio tentenna per il bene di questo povero popolo, e lo lasciò sulla perversa e miserabile via de’ suoi antecessori a patteggiare cioè collo straniero, vendendogli vilmente il sangue de’ suoi concittadini.

La Nazione italiana vide alla luce del sole il ceffo deforme degli impostori, marciare col crocefisso in mano alla testa delle masnade straniere47 suscitando dovunque quel brigantaggio che devasta ancora le nostre province meridionali con ogni specie di orribili delitti per tentare la dissoluzione dell’unità nazionalefelicemente costituita.

Un altro fatto che attesta grandemente il progresso umano della nostretà è l’avvicinamento dell’aristocrazia al popolo.

Vi sono bensì ancora dei baroni, più o meno duri, più o meno forti e coperti di ferro, che affettano ancora l’alterigia e le prepotenze de’ bei tempi del diritto della coscia48. Ma questi sono pochi e la maggior parte dei nobili e i veramente nobili d’animo si avvicinano a noi, ed accomunano le loro alle aspirazioni nostre.

Di tal tempra era il fratello d’Irene. Egli avea bensì fatto l’ultimo tentativo da noi riferito per liberare la sorella che credeva in mano d’assassini, ma quando conobbe che erano tutt’altro gli uomini coi quali aveva combattuto, e Romani, egli sentì orgoglio di tanta bravura de’ suoi concittadini. Poi egli doveva la vita a quel magnifico e valoroso soldato della libertà ch’era Orazio e venne a conoscer esser lui lo sposo legittimo di sua sorella, ch’egli teneramente amava.

Allora cambiò concetto. E tutte le suddette considerazioni militarono in favore della nostra Irene quando, riconosciuto il fratello, essa diede un grido di sorpresa e si precipitò ai suoi ginocchi stringendoli fortemente e dirottamente piangendo commossa nel rivederlo, anche perché la presenza di lui richiamavale il genitore perduto che il fratello maggiore rappresentava per l’aspetto e per l’autorità.

Il Principe sollevò Irene gentilmente ed ambi rimasero per più minuti abbracciati, spargendo lacrime di commozione. Orazio, commosso lui pure sino al fondo dell’anima, prese la spada del Principe, per la punta e presentandogli l’elsa gli disse: «Un valoroso non deve essere privo dell’arma». Il Principe l’accettò con gratitudine, e strinse affettuosamente la mano abbronzata del duce della foresta.

E Clelia non l’aveva essa riconosciuto il suo Attilio nel ruggito che avevan mandato agli assalitori? Oh sì! quando il grido di quei dieci fece risuonar le volte del castello e tanto spavento suscitò nell’anima dei papalini, Clelia abbandonò un’arma che aveva allora terminato di caricare e volò a un balcone da dove potè osservare la scena. Essa vide per un istante il volto che portava scolpito nel cuore ma bastò quell’istante per farla felice.

Ed era veramente il nostro Attilio con Muzio, Silvio e sette altri compagni che avevan così bravamente caricate e fugate le masnade del papa.

Silvio conosceva perfettamente il castello di Lucullo e spesso era stato ospite d’Orazio non solo, ma compagno, ed era lui il veicolo di comunicazione tra i liberali di dentro e quelli della campagna. Egli dunque, quando in Roma per parte dei capi liberali si prese la determinazione di pigliare il campo e riunirsi alla banda d’Orazio si pose alla lor testa per guidarli e come s’è veduto, giunse felicemente in tempo per dar l’ultimo colpo alle truppe papaline.

Lascio pensare qual fu la gioia nel castello all’arrivo dei nuovi amici che sì potentemente avean contribuito alla liberazione dei fratelli.

Quante interrogazioni! quanti abbracciamenti, quante richieste di parenti, di fatti, di speranze, di delusioni!

«Mio! mio!» ripeteva Clelia a sé stessa, mentre Attilio, per la prima volta, coglieva un bacio sulla fronte dell’adorata vergine. «Mio! a dispetto della trista caterva dei chercuti e del mondo!».

«Eh! signorina! l’odore della polvere ed il fragore della battaglia vi hanno esaltato alquanto la testolina. Ma ve la passiamo». L’amore vero, sublime, eroico, l’amore che si portavano quelle due angeliche creature, non è egli la vita dell’anima, il fomite di quanto s’opera di grande, l’incivilitore dell’umana razza?

Un bell’acquisto l’avean fatto davvero i liberali nella persona del principe E. Trasformato dalle scene che noi abbiamo descritte, si trovò un altr’uomo intieramente, perché egli, generoso e prode per natura, sentiva nell’anima l’umiliazione della patria ed ardeva di vederla liberata da’ suoi oppressori stranieri e chercuti. Educato fuori di Roma ed in condizioni diverse da quelle dei giovani che tenevan nelle mani la trama della rivoluzione Romana ad onta del suo carattere e de’ suoi sentimenti v’era rimasto estraneo. Poi per condiscendere al desiderio del padre egli aveva accettato un posto nell’esercito pontificio e si comprende di leggeri che un tale impegno lo allontanava ancora più dai nostri amici.

Ora dai suoi occhi era caduta la benda e senza quell’impaccio egli potè arditamente contemplare tutta la grandezza dell’avvenire italiano. Una nazione sminuzzata in tante parti, e perciò esposta al disprezzo e al ludibrio del mondo vide costituita in un corpo solo, potente, rispettata, come lo fu nei bei tempi di Roma, come la sognarono i grandi italiani di tutte le età.

Appena intravveduta la vita nuova il principe si sentì attratto verso di lei, innamorato de’ suoi nuovi compagni e così deciso a rifarsi del tempo perduto, che fece sacramento a sé stesso di vivere e morire per la causa santa del suo paese.

Ricco e potente come egli era e generoso, diventò nel futuro il più forte sostegno dei proscritti, i quali dal canto loro non ebbero che a rallegrarsi d’aver collocata la loro fiducia in quel nobile carattere.

 

 

 




47 Li ho veduti io, marciare alla testa degli Austriaci contro di noi.



48 Antico diritto feudale sui matrimoni, un po’ osceno a narrare.






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