CAPITOLO XXXVI
IL MIGLIORAMENTO UMANO
Orazio dopo aver accolto e lodato i nuovi amici e fratelli pensò
di provvedere alla sicurezza generale. Chiamò a sé Attilio ed il Principe,
ormai consacrato corpo ed anima alla causa nazionale, e parlò loro così:
«Noi fummo felici nell’ultimo incontro, è vero; credo però esser
questo sito ormai troppo noto ai nemici, e quindi per noi pericoloso. Il
Governo farà di tutto, impiegherà ogni mezzo per snidarci e distruggerci: di
questo non c’è dubbio. Esso è capace di mandare qui tutto il suo esercito e con
la sua artiglieria rovesciare queste antiche mura. Io non consiglio una subita
ritirata perché anche il Governo abbisogna di tempo per fare i suoi
preparativi. Ma da qui innanzi, fa mestieri usare tutta la vigilanza possibile,
per conoscere le mosse del nemico e non essere sorpresi.
Voi, Principe, dovete tornare a Roma. La vostra presenza qui non è
necessaria per ora, mentre là, potete esserci utile, credetemi, di un’utilità
somma. Potete dire che vi abbiamo posto in libertà sotto il vincolo della
vostra parola d’onore, di non combattere contro di noi. Dimettendovi dal
servizio voi non potete temere di essere molestato».
Rispose il Principe. «Il vostro consiglio è savio ed io farò
quanto voi dite. Comprendo che più utile vi potrò essere in Roma e vi dò la mia
parola d’onore che sarò con voi per la vita e per la morte!».
Attilio fu della stessa opinione, quindi soggiunse che per le
relazioni sulle mosse del nemico bisognava far capo a Regolo, e Regolo darebbe
avviso di tutti i movimenti delle truppe papaline. Poi, avendo il Principe
desiderato un mezzo sicuro per restare in relazione con loro, Attilio, su d’un
pezzettino di carta tanto piccolo da potersi inghiottire al bisogno, scrisse a
Regolo una linea di riconoscimento pel Principe.
Il resto della giornata fu impiegato a seppellire i morti, che non
eran pochi, ed alla cura dei feriti, sì gli uni come gli altri quasi tutti
papalini. I liberali ebbero tre feriti soli, e questi non gravemente perché
nella pugna i valorosi pericolano meno e se si desse un colpo d’occhio alla
statistica di tutte le battaglie, si vedrebbe sempre che i fuggenti hanno
perduto un numero immensamente maggiore di uomini che i vittoriosi.
Nella notte il Principe partì per Roma e sapete con che guida? con
Gasparo, il Cesare dei banditi di tutte le età, divenuto anche lui uno
sviscerato liberale, siccome lo avea provato nell’ultimo combattimento facendo
prodigi coll’infallibile sua carabina.
Io sono di natura tutt’altro che pessimista e quindi credente nel
miglioramento umano sotto tutte le forme e se l’umanità non migliora con
sensibile progresso la maggior colpa l’hanno i governi. Coi buoni trattamenti e
le carezze si dominano, si addomesticano le belve e se ne migliora l’indole
feroce.
Cosa volete sperare da un popolo ridotto alla miseria dalle vostre
esazioni, dalle vostre imposte, dalle vostre tasse? Egli sa che queste tasse,
imposte ed esazioni non sono, come voi dite, per la difesa dello Stato e per
mantenere l’onore nazionale, ma per ingrassarvi ed ingrassare la sterminata
caterva di parassiti, qualunque sia la loro denominazione, parassiti che sono
pel popolo quel che gl’insetti per il corpo, i vermi pel cadavere, atti
soltanto ad immiserirlo e divorarlo.
Chi negherà che le popolazioni dell’Italia meridionale non fossero
migliori, perché meglio governate, nel 1860 che non lo sieno al giorno d’oggi?
Allora, appena si sospettava il brigantaggio e non v’eran
prefetti, non gendarmi non birri. Oggi all’incontro con quell’immensità di
satelliti, che minano le finanze dell’Italia esiste nella parte meridionale
della penisola, l’anarchia, il brigantaggio e la miseria. Povere popolazioni!
Dopo tanti secoli di tirannide e dopo la brillante rivoluzione del 60, esse
speravano un Governo riparatore, un’era di riposo, di progresso e di prosperità
e non l’ottennero!
Sì! Gasparo si era battezzato alla vita dei liberi col sangue
degli oppressori. Egli fu accolto dalla giovine brigata con indulgenza, con
entusiasmo ed ebbe l’importante missione di guidare il Principe I.... fuori della
foresta, fin sulla via di Roma.
Le previsioni d’Orazio sugli apparecchi del Governo papale si
avverarono. Dopo il rovescio del castello di Lucullo i mitrati decisero in
consiglio d’inviare a quella volta tutto il loro esercito con artiglieria e
giacché, pensarono con ragione, i liberali, non staranno molto tempo ad
aspettare la tempesta, bisogna mettere il disegno immediatamente in esecuzione.
E non soltanto i soldati papalini ma si divisò d’impiegare in
quell’ardua impresa tutta la truppa straniera, che si trovava al servizio del
Papa. Un generale straniero di gran fama fu chiamato a dirigere la grande
campagna e tutto si preparò con alacrità per giungere in tempo che il famoso
attacco cadesse nel santo giorno di Pasqua, generalmente propizio ai preti, poiché
in quel giorno grasso essi satollano meravigliosamente la pancia, loro divinità
principale, alla barba dei divotissimi fedeli.
Orazio ed i suoi compagni non dormivano frattanto. Informati da
Roma di quanto vi accadeva e degli strepitosi preparativi che vi si facevano i
quali, benché il governo cercasse di tenerne segreto lo scopo, erano senza
dubbio al loro indirizzo, dapprima i nostri amici eseguirono una minuta
esplorazione dei sotterranei conosciuti da Orazio e da taluno de’ suoi,
particolarmente dal vecchio Gasparo, già tornato dalla sua missione col
Principe.
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