CAPITOLO XXXVII
I SOTTERRANEI
Fra le meraviglie che si trovano nella gran metropoli dell’orbe,
le catacombe e i sotterranei non sono le meno notevoli.
I primi cristiani, perseguitati dal governo imperiale di Roma,
allora pagano, con atroce accanimento, si rifuggivano nelle catacombe, per
salvezza sovente e sovente per potersi adunare, consigliarsi, istruirsi nella
nuova loro religione.
Quei sotterranei furono pure indubitatamente il rifugio dello
schiavo e di quanti infelici cercavano sottrarsi a quel sistema tirannico, che
fu l’impero a Roma, che produsse i mostri i più abbominevoli della terra: quali
Nerone, Caracalla, Eliogabalo, ecc.
Di quei sotterranei ve ne sono di diverse specie. Alcuni scavati e
costrutti col divisamento di conservarvi i cadaveri, altri per il servizio
d’acquedotti che dovevano portare fiumi d’acqua dolce nell’immensa capitale,
quando la sua popolazione ascendeva a due milioni. Famoso è quello della Cloaca
Massima che da Roma conduceva al mare e finalmente di molta considerazione
erano quelli che particolari49 ricchissimi facevano scavare con grandi
spese per sottrarsi alle depredazioni di quei grandissimi ladri che si
chiamavano Imperatori, ed in tempi meno antichi alle persecuzioni ed alle
stragi dei barbari,
Il terreno sui cui Roma è edificata, come quello de’ suoi
dintorni, offre facilità alle escavazioni, essendo un composto di tufo
Vulcanico, facile a scavare e sufficientemente solido ed impermeabile da poter
formare abitazioni sicure. Io ho veduto molte mandre e mandriani alloggiati in
quelle caverne.
Colle esplorazioni nei sotterranei si pensò pure ad inviare i
feriti più gravi, accompagnati da quelli che lo erano meno e sotto la custodia
dei vicini pastori, verso Roma.
Dei liberali, come dicemmo, non v’eran gran feriti e dei papalini
molti chiesero di rimanere e seguire la sorte dei proscritti, poiché non v’è
milite per poco onorevole che egli sia (degli italiani s’intende), che serva
volentieri i preti. Quando l’ora suoni di liberar l’Italia e Roma da
quell’immondizie non vi sarà un soldato che resti con loro, meno alcuni
mercenari stranieri.
Inviati i feriti, introdotta ogni cosa migliore ed utile del
castello nel sotterraneo, con provviste d’ogni specie per vari giorni, i
liberali colla maggiore pacatezza aspettarono l’oste numerosa che doveva
giungere coll’ordine preciso di sterminarli. I nostri non mancarono di prendere
tutte le misure necessarie di precauzione, distendendo una rete di sentinelle e
di esploratori in tutte le direzioni ad onta della precisione degli
avvertimenti che ricevevano da Roma su tutte le mosse del nemico.
La comitiva s’era accresciuta in questi ultimi giorni. Colla
venuta d’Attilio e de’ suoi compagni, coll’accettazione d’alcuni soldati
romani, che non volevan più sapere di preti e col l’arrivo da Roma di vari
giovani, che la notizia della recente vittoria aveva esaltati, si componeva di
circa sessanta individui, senza contare le donne.
L’autorità d’Orazio sulla banda crebbe invece di diminuire
coll’aumento del numero. Attilio, quantunque fosse stato alla direzione delle
cose di Roma, e comandante dei trecento, era quello che mostrava maggiore
docilità agli ordini del bellicoso e prode fratello d’armi.
In quattro legioni suddivise Orazio la banda; e queste furono
comandate da Attilio, Muzio, Silvio ed Emilio, l’antiquario, che era stato
secondo in comando prima dell’arrivo dei nuovi amici.
Emilio tenne ad onore di cedere la sua posizione di secondo
comandante al capo dei trecento, ma Attilio non volle accettarla e già una
generosa gara s’era iniziata tra loro e non sarebbe finita senza
l’interposizione d’Orazio il quale assicurava Attilio non ritenere egli per sé
il primo comando se non coll’assoluta condizione accettasse lui il secondo.
Tale era l’abnegazione di quei militi della libertà di Roma.
Liberare la patria o morire! era il loro proposito, e poco loro importava di
gradi, ciondoli e decorazioni che stimavano mezzi adoperati dal dispotismo a
corrompere la metà della Nazione, per avvilire ed incatenare l’altra.
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