Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giuseppe Garibaldi
Clelia ovvero Il governo dei preti

IntraText CT - Lettura del testo

    • CAPITOLO XXXVIII   L’ANTIQUARIO
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO XXXVIII

 

L’ANTIQUARIO

 

Era la vigilia di Pasqua, tutto si trovava in ordine nel castello ed i proscritti che non eran di guardia stavano con Orazio, Attilio e le donne nella vasta sala da pranzo. dopo una cena lieta ed alcuni brindisi patriottici, per rallegrar la serata poiché bisognava tenersi desti e stare sull’avviso per qualunque cosa potesse succedere, Emilio l’antiquario chiese permesso al suo comandante di narrare una sua istoria alla brigata. E così cominciò:

«Giacché noi dovremo viaggiare per sotterranei e catacombe, vi voglio raccontare un fatto che accadde proprio a me, or fan pochi anni, nelle vicinanze di Roma.

Voi ricordate il superbo Mausoleo di Cecilia Metella, eretto dal padre in onore della figlia morta dodicenne. Anche quel mausoleo, voi sapete, è l’orgoglio delle rovine e con il Pantheon è una delle meglio conservate. Ciò che voi non sapete forse, si è l’esistenza dell’immensa catacomba, che comincia nell’interno del monumento e non si sa dove vada a finire.

Un giorno io mi proposi d’investigar da me le latebre di quell’immenso sotterraneo; mi sembrò che facendolo accompagnato avrei menomato il merito dell’impresa; quindi nel mio orgoglio giovanile ed inconsiderato mi accinsi ad eseguirla da solo. Provvisto di un voluminoso gomitolo di filo, un mazzo di torcie, pane in sacoccia ed un fiasco di vino a tracolla, mi avventurai di buon mattino nel seno della terra, legai un capo del filo all’entrata della catacomba e cominciai il mio misterioso viaggio.

Cammina cammina, sotto quelle tetre volte, più avanzavo e più cresceva in me la curiosità di scoprire.

Pare impossibile come l’essere umano destinato da Dio alla superficie della terra, godendone i frutti e la luce benedetta del sole, si sia condannato a quelle tenebre eterne e vi abbia lavorato tanto per costruirsi, simile alla talpa, un’abitazione sicura ma spaventosa! Dovevano essere ben infelici e fieramente perseguiti coloro che si procuravano questa terribile dimora a furia di tante fatiche! E molto ricco doveva essere chi pagava l’esecuzione di operegigantesche.

Mentre questi pensieri mi passavano per la mente, io camminava al chiaror del mio cero, scioglievo il filo del gomitolo e procedevo procurando di seguire la direzione indicata dalla ristretta linea dell’imboccatura. Ma coll’andare innanzi il sotterraneo si dilatava e presentava tra le colonne di tufo, che ne sostenevano l’immenso tetto, vari anditi che conducevano in direzioni diverse e un po’ fantastiche e fuori di simmetria, come se l’architetto avesse voluto gettare nell’inganno il visitatore raggirandolo in una specie d’inestricabile labirinto.

Tutte queste viste ed osservazioni m’inquietavano alquanto, e dico il vero: qualche volta mi sentivo fallire il coraggio. Ero sul punto di tornare indietro ma l’amor proprio mi gridava: vergogna! a che tanti preparativi per fare un fiasco? e allora mi adontavo contro me stesso per la mia paura. Poi non avevo in mano il filo salvatore, che doveva ricondurmi a rivedere il cielo?

E cammina, e cammina, sgomitolando il mio filo ed accendendo un nuovo cero a misura che si consumava l’acceso!

Giunsi finalmente al termine, non del sotterraneo ma del mio filo e con mio dispiacere riscontrai che non avevo nella mia impresa scoperto altro che la terribile solitudine che mi stava ancora davanti. Stanco, forse alquanto scoraggiato di dover rifare sì lungo tratto di strada, me ne stavo , preoccupato dalla vanità delle ricerche e dalla noia della mia posizione. Stringevo il filo che temevo di perdere e contemplavo il lume che temevo di spegnere. Credo che dovessi essere alquanto istupidito quando uno strascichio, come di veste di donna, si fece udire dietro di me e mi destò quasi di soprassalto. Curioso, sorpreso, impaurito mi volgo verso la parte dove mi pareva aver udito il fruscio. Ma nell’atto di volgermi un soffio spegne il lume, il filo mi viene strappato di mano, robuste braccia cingono e stringono le mie in modo da stritolarmi le ossa ed un panno mi viene avvolto intorno alla testa forse per bendarmi gli occhi, ma in guisa da impedirmi quasi la respirazione.

Il presentimento del pericolo spesso è peggiore del pericolo stesso: ed io che veramente era stato colpito da timore al primo segno dell’avvicinarsi di qualcuno, come fui in potere di quel qualcuno, sentendomi condotto per mano come un bambino, il timore si dileguò e camminai francamente dietro la guida.

Benché cogli occhi bendati m’accorsi che un nuovo lume era stato acceso: dal tocco e dai passi che io udiva accanto a me conobbi ch’ero guidato da esseri viventi, non da spiriti, ma le mie scoperte rimasero , ed in tal guisa procedetti per vari minuti.

Finalmente la benda mi fu levata e allora i miei occhi poterono vedere che ero stato condotto, con mio grande stupore, in un salotto magnificamente illuminato, in mezzo al quale stava una mensa imbandita ed intorno una ventina di gioviali e festosi commensali».

Durante il racconto dell’antiquario un sorriso di compiacenza, velato d’una tal quale mestizia, sfiorava la ruvida guancia di Gasparo. Quando il primo ebbe finito, il vecchio si levò, avvicinossi, lo prese per la mano, la scosse e con voce commossa: «quelli erano bei tempi, amico caro! - sclamò, poi dirigendosi alla brigata: - Io allora abitavo - continuò - le catacombe colle mie bande e gli sgherri di Roma pria di avventurarsi in questa immensa campagna erano soliti a far testamento.

La donna che vi spense il lume, e che poi fu ben gentile con voi, come lo era con tutti, era la mia Alba, morta non è molto dal dolore de’ miei patimenti e della mia prigionia».

«Oh! - sclamò alla sua volta l’antiquario, - eravate dunque quello seduto in capo alla mensa e tenuto in tanto rispetto dai vostri che un sovrano non potrebbe esser di più?».

«Era io - rispondeva dolorosamente il bandito. - Gli anni hanno corrugata questa fronte e s’è imbiancato il pelo tra i ferri e le sevizie di quegli scellerati che si chiamano ministri di Dio. La mia sola coscienza è rimasta pura! Io ho trattato ogni creatura infelice benignamente e lo potete attestar voi se vi fu torto un capello, se alcun danno v’incolse tra noi. Certo! ho voluto abbassare quei superbi sibariti, che vivono nel vizio e nella lussuria a spese dell’umanità sofferente, come ora coll’aiuto vostro e di Dio, vecchio come sono, io non dispero di vedere la mia patria libera da quei mostri».

«Sì, - rispose l’antiquario affettuosamente - io fui trattato con gentile cortesia dalla vostra donna e da voi e lo ricorderò tutta la vita con gratitudine». Poi rivolto ai compagni, proseguì: «Scosso dalla fatica del viaggio, forse dalle commozioni dell’incontro, rimasi due giorni febbricitante in quel sotterraneo e in tutto quel tempo ebbi cordiali affettuosissime cure da quell’amabile Alba, la quale non solo di ogni cosa necessaria mi provvide ma assiduamente mi visitava al mio capezzale.

Dopo due giorni, rinvigorito, appena ne feci richiesta, fui condotto per una nuova via che mi parve lieve alla luce del sole che io aveva creduto sulle prime di non più rivedere. La nuova uscita delle catacombe si trovava nella foresta. Data la mia parola d’onore di mantenere il segreto sulla mia involontaria scoperta, uno della banda mi scortò sulla via di Roma».

 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License