CAPITOLO XLI
IL BATTESIMO
Come si vede, l’esercito di Serse, ossia del Papa, avea concesso
tutto questo bel tempo ai proscritti senza sturbarli ed essi conoscendone le
condizioni, davansi poca briga di allontanarsi.
A noi però, durante questa sosta, converrà tornare ad alcuni
personaggi principali e cari della nostra storia, che abbiam pur troppo
lasciati in dimenticanza; voglio parlare di Giulia e de’ suoi compagni così
prodigiosamente scampati dal tempestoso Tirreno.
Dopo due giorni dalla sua partenza da Porto d’Anzo, la Clelia
entrava con vele e bandiere spiegate a Porto Longone.
Appena ancorata i nostri amici videro scendere da Capo Liberi,
piccolo villaggio che domina il porto, un gruppo di gente che giunse alla
marina, imbarcossi in un palischermo e si diresse verso lo Yacht. Giulia
accolse gentilmente la comitiva, composta di persone d’ambo i sessi, e l’invitò
ad asciolvere nella camera della nave ciò che gli ospiti accettarono
volentieri.
Seduti a tavola con davanti un bicchierino di Marsala, vino col
quale gli inglesi amano sempre adornare le loro mense, i nuovi arrivati,
volgendosi a Manlio, che credettero padrone del legno accennarono di voler
parlare. Quindi con accento toscano, non maschio come il romano e robusto ma
più dolce, simpatico e comunque sia coll’accento d’un dialetto cui l’Italia
deve la maggior parte del suo risorgimento perché in quel dialetto sta uno dei
più saldi fondamenti dell’unità nazionale italiana:
«Signore! - disse l’anziano della comitiva - in Capo Liberi v’è
l’uso che nascendo un bimbo contemporaneamente all’arrivo d’una nave si preghi
il capitano a voler essere padrino al nuovo nato. Vorreste esser tanto buono di
concederci l’onore d’avervi per compare e comare con questa vostra gentile
signorina?».
Manlio sorrise a tale richiesta e tutti ammirarono la facilità con
cui lo straniero può nell’Elba imparentarsi cogli isolani, poi rispose: «Io
sono qui un semplice ospite come voi, la signorina è la padrona del legno, ed
essa deciderà su quel che sia da fare».
Giulia, la bella viaggiatrice, l’antiquaria, l’artista, l’amica
della libertà italiana, fu incantata di trovare tanta semplicità di costumi in
quella buona gente e: «per me accetto volentieri la gentile vostra offerta -
soggiunse - e siccome odo da voi che il padrino deve essere il capitano della
nave lo consulterò e se consente, saremo a disposizione vostra».
Chiamato il capitano Thompson, Giulia spiegò la cosa al bravo
marinaio, al che Thompson rise graziosamente e rispose con garbo alla sua
signora che sarebbe ben onorato di poterla accompagnare tanto più colla
prospettiva d’aver a diventare suo compare.
Detto fatto! Dopo che Thompson ebbe dato i suoi ordini al Muto54
s’imbarcarono tutti, dirigendosi a Capo-Liberi,
Qui mi toccherebbe dir qualche cosa ancora dei preti, ma ne
risparmierò il tedio al lettore. È una fatalità, che ad onta dell’invincibile
antipatia che essi mi suscitano, io me li debba sempre trovar sulla via. Ma
questa volta passiamocela netta a questo di Capo Liberi, il quale non è che un
curato. Meno male!
La festa per essere più semplice che nella capitale non fu meno
splendida e più lieta per la cordiale e patriarcale semplicità di quei buoni
abitanti. Tutti parevan contenti e felici e il capitano Thompson, benché un po’
confuso, era in un vero paradiso. Onorato del braccio di quella cara e
bellissima creatura ora divenuta comare sua egli più nulla udiva, né vedeva,
tanto che incespicò lungo la scabrosa via del villaggio che conduce alla chiesa
e senza l’aiuto efficace del braccio di Giulia, egli certamente andava ad
infrangere il suo bompresso55 sul lastrico d’irregolari macigni che ivi
formavano mosaico.
Per buona sorte Giulia non era confusa come il nuovo compare e col
contegno suo freddo ma dignitoso, rimise alla via56 l’andatura del capo
marino il quale dappoi, temendo qualche nuova secca da prora57 e per
non ripetere il grottesco primitivo scappuccio contava camminando tutti i
ciottoli della via. Così si giunse al tempio.
Quivi Thompson fece buona figura: Un po’ noiato dalle superflue
cerimonie egli non dié segno d’impazienza e la noia in parte gli venne
compensata dal piacere di sorreggere il suo nuovo figlioccio, un grosso e ben
formato bimbo, che nelle robuste braccia del capitano sembrava però leggiero
come una piuma.
Terminata la cerimonia, la brigata riprese la via della casa del
compare, ove un lauto banchetto stava preparato e dove l’eccellente vino di
Capo-Liberi era destinato a riportare i maggiori e ben meritati onori.
Il capitano Thompson si contentò di farne gli elogi perché dovendo
ricondurre la signorina a bordo, e ricordandosi di quella tale inciampata,
credette indispensabile il mantenersi moderatissimo.
Un altro motivo, diciamolo pure, trattenne il capitano Thompson da
certe indulgenze che la professione sua qualche volta permette: ed era, il
desiderio di piacere alla Aurelia. Quella buona signora, benché non più sul
fiore degli anni, si manteneva abbastanza fresca e grassetta, poi piena di
gratitudine alle attenzioni che il capitano le avea prodigate in quel finimondo
di tempesta pareva corrispondere un po’ ai segni di simpatia non
cortigianeschi, ma leali ed aperti dell’inglese il quale ripeteva tra sé stesso
un adagio spagnolo imparato a Cadice:
Tiempo d’hamhra no hai pan duro58.
E tutto andò perfettamente per i nostri quasi-naufraghi della Clelia,
giacché, per lupo di mare che uno sia, la terra co’ suoi divertimenti, ed i
suoi agi è sempre preferibile ad una tempesta marittima. Giulia andava in
estasi dinanzi alla semplicità antica di quegli eccellenti ospiti; Manlio,
meditava il concetto di un gruppo in marmo per il suo arrivo in Roma, che
rappresentasse la bellissima Giulia sostenente il suo compare barcollante e in
procinto di dare del naso in terra. Aurelia e Thompson avean dimenticato la
natura intiera tormentati da certo pizzicore, le cui espressioni erano occhiate
incendiarie. Così retrocedevano a bordo, accompagnati dall’intiero villaggio
con suoni ed evviva generali.
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