CAPITOLO L
IMBOSCATA
«Le parole di Alba mi avevan svelato come un lampo l’orribile
delitto. La raccolsi svenuta, l’adagiai sul mio lettuccio e per la prima volta
potei contemplare tranquillo tutta la soave bellezza di quella sovrana
dell’anima mia! Per Dio! sentii quasi menomare il mio aborrimento per
l’assassino incestuoso, parricida, alla vista di sì bella creatura! forse
cagione innocente di tanto delitto!
Alba risensando non mi svelò l’autore della morte del padre, né mi
favellò del fratello ed io per non svegliare in lei reminiscenze dolorose
scansai sempre d’interrogarla.
Il prete però, credendomi consapevole del suo misfatto, coll’odio
immenso che già mi portava e la gelosia per l’amore d’Alba, mise in giuoco
tutte le trame di cui è capace un demone, per annientarmi. Non ardì accusarmi
apertamente della morte del padre, ma insinuò tale sospetto tra i suoi intimi,
mi tese quante insidie egli potè e mise a disposizione di sicarii per
uccidermi, quanto possedeva.
Al mio aspetto benché oppresso dagli anni e da’ malanni voi potete
congetturare ch’io dovea essere un giovane svelto, e capace di tener testa a
dieci preti. Eppure quel lucifero fu tanto astuto da tendermi un’imboscata
nella quale poco mancò ci lasciassi la vita.
Invano egli aveva grassamente pagati vari sicari per farmi la
pelle. Io, che sapevo di quanto era capace il mio nemico, dormivo con un occhio
aperto e quando uscivo di casa avevo meco due amici fedeli, il mio Lione
e la mia carabina, con tutti gli accessori. Lione a cento passi sentiva
il rumore d’un uccelletto e cominciava a muovere la coda ed appuntava gli
orecchi. Povero mio cane! egli fu vittima dell’affetto che mi portava! - e il
cuore intenerito del povero vecchio l’obbligò ad una pausa finché la commozione
fosse superata. - Sì, quei mostri in una mia passeggiata a S.... pervennero ad
avvelenarlo.
Fra S.... e il mio abituro esistevano certi folti, certe macchie
nella selva idonei ad imboscate e i sicarii vi si eran nascosti qualche volta,
ma frustrati dalla mia vigilanza ed impauriti dalla mia carabina eran fuggiti
al mio avvicinarsi e confessarono al prete che volean desistere dall’impresa.
Così però non l’intendeva Don Giacomo: eccitati con lauti pasti e vino
abbondante e guadagnati con molto denaro, una sera condusse seco i tre malandrini
e venne ad imboscarsi vicino alla mia casetta, in una macchia che dava sul
sentiero che io doveva percorrere.
Il mio Lione era sepolto e, ad onta delle mie precauzioni,
io fui sorpreso. Quattro scariche quasi simultanee partirono dalla macchia e
rimbombò un furioso grido di muori! degli assassini che mi corsero
addosso credendomi ferito. Ma non era così: quasi per miracolo, le quattro
palle mi colpirono, ferendomi molto leggermente essendo la ferita più grave
quella che mi portò via questo pezzo di orecchio sinistro. Un’altra palla colpì
nel davanti del mio cinto di cuoio e fracassò alcune cartuccie, la terza mi
forò il cappello radendomi la testa e la quarta mi sfiorò la spalla destra
cagionandomi una semplice graffiatura.
Il primo che venne a me fu il prete, con la carabina nella
sinistra, e la destra armata di pugnale. Sembrava un energumeno, ma il mio tiro
riuscì più efficace dei loro. Il malnato, rotolò ai miei piedi, dando un
grugnito da cignale. Ne rovesciai un secondo coll’altro tiro e i due ultimi,
veduta la sorte dei loro compagni e scorgendomi colla pistola in mano, pronto a
scaricarla, se la diedero a gambe.
La uccisione di un prete e d’un altro assassino, in difesa della
mia vita, furon le mie prime colpe. In un altro paese, facendo valere i miei
diritti d’assalito, avrei forse potuto scamparla perché, sebbene non avessi
testimoni, la cosa era così evidente, che difficile non mi sarebbe stato
provare la mia innocenza. Sotto il governo clericale, trattandosi della morte
d’uno de’ suoi, era altra cosa ed io pensai bene di tenere la campagna. Allora
cominciò la storia del mio così detto brigantaggio; però, vi giuro, che la
morte dei tanti sgherri d’ogni specie da me spacciati fu sempre una necessità
per la mia difesa.
Molti, come me maltrattati dal clericume, mi seguirono, ed in poco
tempo formai una banda formidabile al punto che il governo papale trattava con
me, come si suol dire, con potenza costituita e riconosciuta. Assassini e ladri
di mestiere meco non ne volli mai. Gli infelici d’ogni specie eran da noi
soccorsi e se si assaltavano qualche volta le autorità pretine ciò accadeva per
insegnar loro a non commettere infamie ed ingiustizie.
Così vissi per molti anni, sovrano della campagna romana, più di
colui che siede al Quirinale, finché i coccodrilli di quella corte astutissima,
vedendo che nulla potevano colla forza, ricorsero agli inganni, e quella buona
lama del cardinale A.... mio degno parente, che Dio maledica, contribuì più
d’ognuno alla mia cattura, avendo io avuto la debolezza di fidarmi a lui. Così
rimasi per quattordici anni in ferri.
La giustizia di Dio stenderà finalmente la sua mano su quella
setta di malvagi, vero flagello del genere umano.
Nelle galere pontificie, io seppi di voi. Orazio, della coraggiosa
vostra resistenza ai cannibali del Vaticano e, vi assicuro, pregavo Dio, che
pria di morire volesse concedermi d’esservi compagno. La mia preghiera fu
esaudita, ed altro non bramo, che dar questo resto di vita per la santa causa
che voi e i vostri nobili compagni, propugnate».
Giulia, incantata dal racconto del bandito, era lì lì per chiedere
un cenno della vita avventuriera d’Orazio ma girando lo sguardo sugli astanti
s’avvide che la stanchezza universale e l’ora tarda facevano necessario il
riposo e si astenne e contemplò curiosa i preparativi dei letti da campo.
Le verdi frasche della selva in un momento distese sulla parte più
piana del sito, coperto dal secolare gigante della natura, formarono un
magnifico letto per le donne, che vollero dormire insieme, ravvolte con parte
dei mantelli dei loro cari. Muzio con cenno supplichevole, offerse il suo alla
bella inglese, e la pagò con uno sguardo di gratitudine per averlo accettato.
Frattanto Orazio ed i compagni fecero un giro d’ispezione alle guardie e
sentinelle avanzate, e diedero ordini di dare la sveglia prima dell’alba.
Lì, tra quelle piante, distese sulla terra, dormivano le speranze
di Roma, il risorgimento da diciotto secoli di sonno e di vergogna, l’avanzo
illustre dei vecchi conquistatori del mondo anelanti d’essere accolti nella
grande famiglia umana!
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