CAPITOLO LIII
VENEZIA
Parata a festa, la regina della laguna accoglieva su d’un
Buccintoro moderno il suo simpatico visitatore, colui che per due volte
(1848-1849) aveva voluto partecipare ai disagi, ai pericoli ed alle battaglie
di lei. Egli la prima volta, già col piede sul legno che dovea trasportarlo a
Venezia, fu chiamato alla difesa della pericolante metropoli delle nazioni e
pugnò contro i discendenti di Brenno; e tinse del suo sangue il granito del
ponte ove Coclite avea da solo sostenuto l’urto dell’intiero esercito di
Porsenna.
Sulle alture di Preneste e di Velletri egli vide in fuga il
tiranno, padre del tirannello che poi abbandonò il trono ai valorosi suoi mille
e così fu rovesciato nella polve quel governo prima negazione di Dio.
Dio gli dia vita per contemplare i frantumi del secondo governo,
negazione più impudente di Dio che il primo e più fatale all’Italia, la Negromanzia.
Ma Roma cadeva sotto i colpi del dispotismo Europeo, spaventato
dal rivivere della padrona del mondo e dal terribile incubo della repubblica, e
capitanato dalla grande repubblica di Francia condannata a morte per questo suo
orrendo misfatto.
Il Bonaparte, nemico di tutte le libertà, e protettore di tutti i
tiranni, volle, come per saggio, provare le sue armi contro Roma ove approdò
sulle ali della menzogna e, consumato quel delitto di lesa-nazione, rovesciò i
suoi inganni ed i suoi satelliti sul popolo credulo di Parigi e ne fe’ macello
per le strade senza distinzione di età e di sesso.
Dio rimeriti l’assassino del due dicembre e della libertà del
mondo!
Cessata la difesa di Roma, non disperando delle sorti dell’Italia,
il solitario ne uscì con pochi seguaci, decisi a tener la campagna ma ci
vuol altro ai popoli per liberarsi! Un pugno di prodi all’Italia non manca mai;
ma contro quattro eserciti, un pugno di prodi non basta!
È vero, che in questi giorni lo spirito nazionale è innalzato e il
pugno di prodi accresciuto, ma in quegli infausti giorni le popolazioni
guardavan passare stupite ed impaurite considerando perduti irremissibilmente
quegli avanzi della difesa di Roma. Non un sol uomo venne ad accrescere le loro
file. Al contrario, ogni mattina una quantità d’armi sparse sul terreno
attestava il numero dei fuggiaschi. E quelle armi si caricavano sui muli e sui
carri che accompagnavano la colonna e la colonna a poco a poco, avea più carri
e muli che individui. E a poco a poco la speranza di sollevare quel popolo di
servi svaniva nell’anima dei fedeli e coraggiosi superstiti.
A San Marino, vedendo che non v’era più volontà di combattere uscì
un ordine del giorno del Solitario che congedava i militi rimandandoli
alle loro case.
Quell’ordine del giorno diceva: «tornate alle vostre case, ma
ricordatevi che l’Italia non deve rimanere serva». I più presero la via del
ritorno. Ma v’erano non pochi disertori dell’Austria e del governo papale
soggetti alla fucilazione e questi vollero accompagnare il loro capo
nell’ultimo tentativo di guadagnare Venezia.
Qui comincia una storia più dolorosa ancora. Anita, compagna
inseparabile del solitario neppure in questo terribile estremo consentì
ad abbandonarlo. Invano lo sposo si affaticava a persuaderla di rimanere a San
Marino: incinta, spossata, inferma, non vi fu verso di persuaderla. La
coraggiosa donna non volle udire ammonizioni e rispondeva al suo diletto:
ch’egli voleva abbandonarla!!
Attorniato da corpi di truppe austriache, cacciato dalla polizia
papalina, dopo una marcia di notte, delusi i persecutori, quello stanco avanzo
dell’esercito Romano giunse alle porte di Cesenatico allo spuntare della
mattina.
«Scendete e disarmateli!65» esclamava il solitario
ai pochi individui del suo seguito a cavallo e stupefatti i soldati delle
guardie austriache si lasciarono disarmare. Poi si svegliarono le autorità e si
richiesero loro pochi viveri e alcuni bragozzi66 per imbarcare la gente.
Non si può negare, la fortuna era stata favorevole al solitario
in varie difficili imprese; ma qui, doveva cominciare per lui un infausto
episodio di difficoltà, di contrarietà e di sciagure. Un nembo da Bora,
scoppiato nell’Adriatico in quella stessa notte, aveva imperversato sul mare e
la stretta bocca del porto di Cesenatico era un frangente. Immensi furono gli
sforzi che si fecero per uscire dal porto co’ bragozzi carichi di gente, in
numero di tredici! Ma solo all’alba vi si riuscì ed all’alba gli Austriaci
rinforzati e numerosi entravano in Cesenatico.
Si veleggiò, il vento spirò favorevole ed all’alba dell’altro dì,
quattro dei bragozzi, uno dei quali col solitario, Anita, Cicerovacchio
e i figli, con Ugo Bassi, sbarcarono nelle foci del Po. Anita nelle braccia
dell’uomo del suo cuore sbarcò morente! Gli altri nove bragozzi s’erano arresi
alla squadra austriaca, che al chiarore del plenilunio, scoperti i piccoli
legni, li avea fulminati di cannonate.
Come segugi in traccia delle fiere gli esploratori nemici inviati
a perseguire i fuggenti, gremivano la spiaggia. Anita giaceva poco lontano in
un campo di frumento, e vicino a lei il solitario che le sorreggeva il
capo. Leggiero67, l’unico compagno, gli rimaneva, spiando tra gli
interstizi degli steli i maledetti bracchi che cercavano preda di sangue.
Cicerovacchio, Bassi e nove compagni che avevano prese direzioni diverse per
sfuggire al nemico, perché così erano d’intesa con me, furono arrestati tutti
dagli Austriaci e fucilati come cani.
Eran nove; a forza di bastonate si condussero nove contadini a
scavar nove fosse nella sabbia ed una scarica del picchetto di stranieri
soldati spacciò gli infelici. Il più giovane figlio del tribuno romano68
si moveva non ben morto dopo la fucilazione ma il calcio del fucile d’un
austriaco gli fracassava il cranio.
Bassi ed il suo compagno Pizzaghi ebbero la stessa sorte a
Bologna.
Lo straniero ed il prete gozzovigliarono nel più puro sangue
italiano e la iena di Roma rimontava il suo trono contaminato sui cadaveri dei
cittadini suoi fatti sgabello!
Ecco la storia secolare del papato che il despotismo cerca di
eternare in Italia!
Serva agli italiani questo esempio di freddo eccidio de’ loro
onesti e prodi concittadini e possa insegnar loro a non più lasciare la patria
terra in preda allo straniero ed ai preti suoi manutengoli, assuefatti a
servirsene di villeggiatura, poi devastarla e prostituirla!
Il solitario, col caro peso della compagna sua, vagò
addolorato tra le valli del basso Po sino a che non gli rimase che a chiuderle
gli occhi e pianse sulla fredda salma di lei lacrime di disperazione. Vagò,
vagò per foreste e per monti, incalzato dovunque dalla sbirraglia del Papa e
dell’Austria. Ma la sorte lo serbava a nuove fatiche ed a nuovi pericoli. I
tiranni dell’Italia lo troveranno sul loro sentiero, sul loro sentiero
imbrattato di sangue e di delitti e guai a loro! perché, codardamente fuggenti,
gli lasceranno le loro mense imbandite ed i tappeti de’ loro superbi palagi
porteran per un pezzo l’impronta del suo rozzo calzare!
Intanto egli è a Venezia per cui tanto aveva sospirato. Le lagune
coperte di gondole salutano tripudianti la camicia rossa senza macchia e senza
paura, simbolo del riscatto nazionale, ma puro, ma con ferro italiano!
|