CAPITOLO LX
ROMA
Il due dicembre il despota della Senna, l’Imperatore-menzogna75,
il nemico di tutte le libertà, il protettore di tutti i tiranni, dopo
diciassett’anni di perverso dominio colla stessa ipocrisia con cui la tenne
schiava, liberò la Niobe delle nazioni, la vecchia metropoli del mondo, la
dominatrice, la martire, la più grande delle glorie umane!
Egli fu il continuatore della vendetta universale.
Totila alla testa delle feroci sue orde conquistava Roma, la
distruggeva, ne sterminava la popolazione ed era questa giustizia di Dio! «Morrà
di ferro chi uccide col ferro!» Perché i romani vollero dominare il mondo?
perché dalle fertili contrade assegnate loro dalla natura vollero scorrere
tanta parte di mondo aggiogando sino le nazioni le più remote derubandole,
disertandole?
I popoli della terra portarono per contraccambio ai loro tiranni
servitù, rovine, miserie.
Il continuatore degli Attila e dei Totila non men depredatore di
loro gettossi lui pure sulla facile preda e palpitò di gioia il fallace suo
cuore mentre la stringeva tra le ugne!
Che bell’appannaggio al crescente principino!... Parodia del gran
zio. Ci vuol altro! Alle grandi opere, si richiede un alto cuore; ed il figlio
dell’ammiraglio olandese76, sortì cuore piccino, e codardo! Eppure in
tutti gli atti della sua vita, si scorge la presunzione d’imitare lo zio ma
nello stesso tempo si vede la mancanza di energia, di genio per l’esecuzione.
I barbari antichi conquistarono e fecero un mucchio di rovine
della superba conquistatrice, il moderno barbaro, il devoto camuffato da
gesuita, non distrusse, non ruinò, ma considerò roba propria la grande preda.
Poi, indebolito dalle lascivie e dagli anni, scosso sino alle fondamenta
l’insanguinato suo trono dalle fallite imprese americane ove avea tentato, il
malvagio, di dare il colpo di grazia al santuario della libertà del mondo, alla
grande Repubblica, edificando alle sue porte un impero austriaco per farsi
perdonare dai coronati, la sua origine plebea, l’apostata della Rivoluzione, mutò
in parte pensiero.
Distruggere la libertà sulla superficie della terra per ottenere
la concessione d’un posticino al banchetto della tirannide!! Povera Francia! a
che fosti ridotta!
E il governo Italiano ha accettato l’eredità
dell’imperatore-menzogna. Far il birro al Negromante del Vaticano, obbligarli a
soggiacere al governo del S. Uffizio. Rinunziare alla capitale d’Italia,
proclamata dallo stesso Governo Italiano, votata e sancita dal suo Parlamento:
ecco l’opera del Governo.
Io credo che governo più codardo sia impossibile trovare nelle
storie antiche e moderne e bisogna che sia proprio destino dell’umanità che si
debba trovare accanto al bene tanto male, tante umiliazioni, tanta perversità!
Ho detto «accanto al bene» poiché non si può negare essere l’unificazione
italiana un miracolo di bene, ad onta degli sforzi fatti da governi e da sette
più o meno nere, per trattenere, e far retrocedere questo povero paese,
impoverendolo, pervertendolo con ogni modo di depravazioni e di menzogne.
Governo! si può egli chiamar governo quest’agenzia di
corruzione!?
Grazie ad essa il popolo è ridotto: ad una metà comprata per
aggiogare l’altra, tenerla nel servaggio e nella miseria!
Salve! valoroso popolo del Messico! Oh! io invidio la tua costanza
e la tua bravura nella liberazione del tuo bel paese dai mercenari del
despotismo!
Accettate, coraggiosi nipoti di Colombo, dai vostri fratelli
d’Italia, un saluto alla vostra libertà redenta!
A voi s’imponeva la stessa tirannide e la spazzaste come la
fantesca spazza le immondizie. Noi soli!... garruli, pieni di preterizioni,
vani, millantando glorie, libertà, grandezze!... e legati per il collo...
imbavagliati! troppo liberi per le ciarle ma inetti a compiere quella
ricostituzione politica che sola può darci il diritto di sedere accanto alle
libere nazioni.
Tremanti dinanzi al despotismo d’un abbietto tiranno straniero,
noi non osiamo, per paura che ci castighi, passeggiare per casa nostra, dire al
mondo che siamo padroni di noi, strapparci dal fianco il dardo che perfidamente
ci ha conficcato.
E più umiliante, più degradante ancora è la condizione che il
despota straniero ci ha imposta, lasciò la preda che l’anatema del mondo gli
vietava e ne disse: Codardi! guardatela, fate da birri in vece mia, ma non la
toccate!
Oh! Roma! patria dell’anima! tu, sei veramente la sola! l’eterna!
Al disopra d’ogni grandezza umana anche oggi… sotto qualunque degradazione! Il
tuo risorgimento non può esser che una catastrofe da mettere a soqquadro il
mondo!
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