CAPITOLO XLV
SEGUITO DEL RACCONTO DI MARZIO
«E Nanna e Maria (tale era il nome della compagna di Nanna)
s’erano anch’esse avvicinate allo sventurato giovane e si affannavano, ma
invano, a sottrarlo dall’orribile supplizio. Per fortuna di tutti la mia Nanna
mi scosse coll’esclamare oh! una chiave! e veramente con molta perspicacia,
volgendo lo sguardo al giovane, vi avea scoperto la chiave in un buco.
Provata la chiave nei chiavistelli della catena, andava bene, e
mentre le arrugginite serrature cedevano alla mia mano d’acciaio, ad ogni
crocchiare del ferro il mio cuore si dilatava e mi parea sentirmi alleggerito
di un peso.
Ero all’ultimo catenaccio, anche questo aveva ceduto e liberavo le
membra intirizzite del giovane quando Nanna mi afferrò per il braccio e
timorosa indicommi nella direzione della ruota una luce.
Abbandonai il liberato compagno e fui tosto presso alla ruota.
Appena giunto mi compariva innanzi un angiolo custode cioè uno dei birri il
quale s’innoltrava girando la ruota colla sua brava lanterna sorda nella mano
sinistra ed una pistola nella destra.
Fatto piccin piccino e rannicchiato io lo contemplai in tutta la
maestosa sua corpulenza e nella sua apparizione fantastica e quando gli occhi
suoi si fissarono spaventati sulla mia fisionomia ben poco piacevole in quel
momento avevo già attanagliato la sua destra colla mia sinistra, la mia daga
aveva trovato la sede della vita nelle sue viscere ed il corpaccio del birro rotolava
cadavere sul terreno.
Voi sapete, Capitano, che io sono nemico del sangue e che solo per
difesa personale l’ho versato. Ma là non c’era da burlare, sapevo i nemici non
meno di cinque e io ero solo... ma che dico? al capitombolo dello sgherro mi avvidi
di non esserlo più. Il mio liberato, rifatto agile dall’urgenza, era già sul
caduto, Io spogliava delle armi e se ne armava lui stesso. Le mie valenti
compagne da una vecchia graticola di tortura avevano staccato due spranghe e
s’erano schierate in serrafila per aiutarmi.
La situazione era cambiata. Il morto, per adagio che lo avessi
spacciato, non avea mancato di dar fuori un grugnito straziante e ciò avea
insospettito i compagni e veramente io udii battere in ritirata il nemico
perché i passi che noi distinguevamo perfettamente rimanendo in silenzio
assoluto si sentivano allontanarsi. Lo ripeto, non c’era da burlare, né da far
consigli di guerra per pigliare una decisione.
Dalla parte ove eravamo entrati, cercar di uscire sarebbe stata
pazzia. E che altra via ci restava? Sapevamo tutti che le nostre romane
catacombe, hanno sempre vari usci, la via di scampo non poteva trovarsi che lì,
ed anche sta volta non m’ingannai.
Un’occhiata significativa al mio nuovo compagno mi confermò nelle
mie congetture e senza aprir bocca toccando colla sinistra il cuore egli mi fé’
capire ch’io potevo far assegnamento su lui in un viaggio per quel regno delle
tenebre e della morte.
Non v’era tempo da perdere: l’alba dovea essere vicina e molte
misure dovevano concertarsi nel convento per assicurare la nostra cattura.
Gente armata dovunque allo sbocco di ogni uscita del sotterraneo era il meno
che si poteva aspettare di trovare tardando.
L’acquisto di Tito fu per noi tutti prezioso. Egli non solo era
pratico del sotterraneo ma a certa distanza alquanto a sinistra egli raccolse
parecchie torcie a vento e le distribuì alla comitiva. La precauzione del mio
compagno fu ben utile poiché il mio piccolo cero era sul finire e la lanterna
del birro non aveva olio sufficiente per continuare un lungo viaggio sotterra.
A destra del punto ov’egli aveva trovato le torcie, Tito mi mostrò
un chiarore e mi disse: quell’apertura mette nel giardino del convento e
passata che sia, siamo fuori dal pericolo.
Camminammo, camminammo certo ben due ore, per un sotterraneo
tagliato a scalpello nel tufo di cui come sapete, Capitano, il sottosuolo
romano è composto e ne abbiamo visitate insieme di quelle catacombe ben molte
nella nostra misteriosa ed illustre terra.
Catacombe terribili per chi non le conosce poiché ramificandosi
per molti versi esse diventano un vero labirinto per chi non ne ha il filo.
Giovani e svelte le due donne eran sempre sulle nostre calcagna.
Io chiedevo loro sovente: siete stanche, volete il braccio? ma loro: "Oh!
no! Andate pure che vi seguiremo sino alla morte". "Ecco la
luce", esclamò finalmente Tito: e veramente davanti a noi comparve come un
bagliore che si perdeva nella lontananza.
"Da quell’uscio noi giungeremo nel bosco di Castel Guido, da
dove mi trassero per condurmi a Roma in un seminario semenzaio d’immoralità e
di turpidini".
Seminario! ove si seminan preti e donde escono i giovani
negromanti per l’edificazione di questa nostra povera Italia! Ed il Parlamento
li ha conservati questi vivai di malizia e di corruzione! Parlamento nazionale!
Rappresentanti del popolo!... Maledizione ai falsarii!
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