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Giuseppe Garibaldi
Clelia ovvero Il governo dei preti

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  • PARTE SECONDA
    • CAPITOLO LXXII   I MONTIGIANI
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CAPITOLO LXXII

 

I MONTIGIANI

 

Mentre si pugnava disperatamente in Trastevere, i Montigiani, guidati da Cucchi, Guerzoni, Bossi, Adamoli ed altri generosi non se ne stavano colle mani alla cintola.

Lo scoppio della mina nella caserma degli zuavi era convenuto dovesse essere come il segnale del loro moto. E la mina scoppiò e quei prodi mossero con eroica risoluzione alla testa di tutta la gioventù romana che si potè radunare.

Quanti birri, impauriti dallo scoppio della mina si trovarono sul passaggio del popolo, furono disarmati od uccisi quelli che vollero resistere.

Però la mina avea fatto molto fracasso e poco danno, vuoi perché fosse la polvere insufficiente o pure mal collocata. I giornali clericali e i governativi italiani (che vuol poi dire lo stesso) assicurano: che solo la musica dei zuavi, composta d’Italiani era volata per aria e che gli stranieri, specialmente raccomandati alle efficaci preghiere di Sua Santità, erano stati miracolosamente salvi. Forse perché gli Italiani, hanno la fortuna di non essere più l’oggetto delle preci della negromanzia!

Il fatto sta, che pochi furono i mercenari morti e gli altri, usciti dalle caserme ed ordinatisi, incominciarono un fuoco d’inferno contro il popolo inerme.

Sulla caserma si dirigeva Cucchi coi suoi luogotenenti Bossi ed Adamoli ed alla loro voce e col loro esempio la gioventù romana si precipitava furibonda contro i mercenari stranieri. Era una lotta a corpo a corpo di gente per la maggior parte inerme, che s’avvinghiava ai soldati di mestiere e cercava di strappar loro le armi. Ma i mercenari erano molti. L’oro e i sussidi del Bonaparte erano stati potenti. Un gran numero di soldati francesi, sotto l’assisa degli zuavi pontifici da molto tempo per Civitavecchia aveva presa la via di Roma.

I mezzi che i paolotti, gesuiti, reazionarii avevano inviato al papa da tutte le parti del mondo erano immensi. Si aggiunga a tutto ciò gran numero di fanatici, preti e monaci che coll’abito di mercenari96 frammischiati ai soldati papalini, li eccitavano all’eroismo delle carneficine promettendo loro in ricompensa la gloria del paradiso oltre alle ricompense di molto oro e quant’altro potevano desiderare.

Povero popolo di Roma!

E chi dobbiam contar noi sotto quella denominazione quando si sia detratto tutto quanto v’era di popolo pretino? Togliete Papa, cardinali, monsignori, preti, frati, accumulati , dell’intiero globo, con donne, con servitori, con cuochi, con cocchieri e con parenti di cuochi, di servi, di serve, delle loro donne e con una massa di popolazione operaia vivente alle spese di questa ricchissima ciurmaglia, ciò che resta meritevole del nome di popolo, che non appartiene al negromantismo, sono alcune famiglie oneste del medio ceto, pochi barcaiuoli e pochi mendichi.

Nella campagna, ove l’ignoranza mantenuta dal pretismo ha gettato ancor più forti radici, la gente parteggiava per il clericume in tutta l’Italia, massime nella campagna di Roma ove tutti i padroni son preti od amici potenti dei preti.

Mentre Cucchi co’ suoi prodi compagni sosteneva alla testa del popolo un’eroica ma disuguale pugna nei dintorni della caserma degli zuavi, Guerzoni e Castellazzi, guidando un drappello di giovani aveano assaltato porta S. Paolo, disarmato alcune guardie ed incamminanvansi fuori ove dovevasi trovare un deposito d’armi. Le armi vi erano veramente ma padroni di quelle armi si trovavano già forti nerbi di truppe e birri pontifici con cui i nostri valorosi amici dovettero pure sostenere un disugualissimo combattimento e finalmente disperdersi perseguiti dall’accanita sbirraglia.

 

 

 




96 Di costoro se n’eran trovati in Monterotondo coi zuavi prigionieri.






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