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Giuseppe Garibaldi
Clelia ovvero Il governo dei preti

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  • PARTE SECONDA
    • CAPITOLO LXXVI   IL SOTTERRANEO
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CAPITOLO LXXVI

 

IL SOTTERRANEO

 

Fra gli operai superstiti che si trovavano alla difesa del portone si scorgeva un canuto. Questi prestava orecchio alla conversazione dei due capi e alle ultime parole di Muzio intervenne, dicendo: «Se vi preme ritirarvi da questo luogo e salvare voi e le donne vostre io conosco un andito segreto che vi condurrà certamente fuori di pericolo».

Un barlume di speranza, la speranza di salvare quelle carissime creature, balenò alla mente dei due amici i quali, non essendovi tempo da perdere giacché i nemici si preparavano ad un nuovo assalto, vollero tosto seguire il provvidenziale consiglio del vecchio operaio.

Muzio si avvicinò a Giulia e Clelia che non erano lontane e mettendo innanzi la condizione, che Attilio e lui le avrebbero seguite nel sotterraneo dove toccava loro come capi a scendere gli ultimi e non i primi, giunse a rimoverle dal loro ostinato diniego. Così fu stabilito che s’inoltrassero nel sotterraneo sotto la scorta del vecchio Dentato e di John. Le altre donne seguirebbero la marcia e per ultimi i nostri amici con quanti restavano ancora dei difensori del lanificio.

E i feriti? Se vi è una circostanza disgustosa, odiosa, terribile in questi macelli d’uomini che si chiamano battaglie, essa è certamente quella di dover abbandonare i propri feriti al nemico!

Poveri feriti! In un istante i volti dei vostri amici, dei vostri fratelli che vi compiangevano e vi assistevano con tanta amorevolezza spariranno! e al lor posto verranno i ributtanti, orridi, millantatori ceffi dei mercenari, che secondo la lor scellerata natura, infrangendo ogni diritto di guerra e delle genti, vorranno bagnare le negromantiche baionette nel sangue vostro prezioso!

Codardi! loro che fuggirono davanti a voi; loro, cui concedeste generosamente la vita97 sorretti ora da ventimila soldati del due Dicembre si son rifatti arditi e, perversi!, hanno dimenticato che vi devono l’infame loro esistenza!

In S. Antonio (America) eran pur italiani che pugnavano contra soldati del despotismo! e molti e moltissimi furono i feriti! sugli omeri dei fratelli e sui cavalli si dovevano trasportare i feriti ed uno solo vivo98 non rimase nelle mani dei cannibali di Rosas.

E sono forse da meno i cannibali del prete? Nella stazione di Monterotondo dove dopo il glorioso assalto del venticinque Ottobre giacevano tre feriti in attesa del convoglio che li trasportasse a Terni giunsero i soldati del papa e, degni seguaci degli inquisitori, si divertirono a trucidare quegli infelici nostri compagni a colpi di baionetta e col calcio dei fucili99.

Oh! Italiani! non lasciate mai in poter del nemico i vostri feriti! È troppo miserando spettacolo! Se non verranno macellati rimarranno esposti per lo meno agli scherni ed alle beffe di chi sciaguratamente è assuefatto a disprezzare l’Italia!

Attilio e Muzio, stanchi e piagati, non vollero abbandonare i feriti all’insulto ed al ferro dei soldati pretini.

Nel sito più basso del lanificio, all’estremità d’un immenso lavatoio per la lana scorgevasi una porta di quercia massiccia, la quale sembrava a primo aspetto dover dare sul canale delle acque, canale che probabilmente andava a sboccare nel Tevere parte del Tevere egli stesso. E il canale esisteva davvero, ma la porta metteva invece in un sotterraneo, a traverso un ponte costrutto sul canale stesso.

Per quel sotterraneo cominciò a difilare la pietosa processione di donne, di feriti e d’assistenti quando ogni speranza, non di vincere, ma anche di resistere, era venuta meno.

Ma nella città pretina, colla corrotta miserabile educazione della menzogna e dell’ipocrisia, troppi sono i traditori ed un traditore vi fu che gettando uno scritto da una finestra mentre scendevano i popolani, avvertiva gli sgherri della ritirata dei difensori.

L’assalto allora non venne più a lungo differito. Una moltitudine sempre crescente di mercenari e di birri s’avventò sulla barricata del portone e lo invase mentre ben pochi eran rimasti i difensori.

Attilio e Muzio, se, più amanti della propria salvezza, dati si fossero alla fuga, forse avrebbero potuto salvare la vita ma!... erano troppo disdegnosi quei due veri romani e non fuggirono! ed arrestarono per un pezzo combattendo disperatamente a corpo a corpo l’irrompente ciurmaglia.

Dei nemici ne furono molti abbattuti, e un mucchio di morenti e di cadaveri attestava l’eroismo della disperata difesa. Però gli eroi, come i codardi hanno una vita sola! e troppi eran gli assalitori onde alla fine l’uno accanto all’altro esalarono l’ultimo sospiro anche i due valorosi campioni della libertà Romana!

Dentato, il canuto operaio che aveva assistito a quest’ultima pugna, vedendo ogni speranza svanita, pratico come era del sito, col favore delle tenebre guadagnò il lavatoio, poi il sotterraneo e chiuse su quella scena di sangue la porta di dentro e la sbarrò come poteva meglio.

Gli assassini stipendiati dal prete altro incentivo non avendo che la depredazione e la strage innondarono colla speranza di bottino ogni parte del lanificio che più oggetti conteneva da rubare non curandosi del sudicio lavatoio donde eran fuggiti i superstiti difensori della libertà italiana. Ma il mattino vedendo che lo stabilimento altro non conteneva che cadaveri venne loro il dubbio della sotterranea fuga.

Cercarono, frugarono e trovarono finalmente la porta salvatrice ma il tempo trascorso, quello impiegato nell’abbattere le sbarre e il tempo per organizzare un’entrata regolare e cauta nelle tenebre diedero agio ai fuggitivi di mettersi in salvo dalla persecuzione.

Nei primi di Novembre 1867 scendevano alla stazione di Livorno tre donne, un vecchio ed un garzone sul fiore degli anni.

Con quella dolente famiglia stava una di quelle figlie di Albione che, quantunque mestissima e vestita a lutto, vi avrebbe fatto sentire la beatitudine della vita con un solo suo sguardo.

La sua dama di compagnia, non men bella, non meno mesta, mostrava nei lineamenti del volto quella squisitezza donnesca che Raffaello aveva amato nella Fornarina.

La terza pure di quelle donne era bella. Ma!... la sventura le avea troppo palesamente solcata la fronte e cert’arìa quasi di demenza si discerneva sul suo viso.

Il canuto, che Giulia non avea voluto abbandonare alla miseria, badava al bagaglio.

John, colla disinvoltura dei suoi tredici anni, dava mano alle donne nello scendere dal convoglio; poi, avendo scoperto il capitano Thompson con l’Aurelia che erano ad aspettarli, d’un salto fu nelle braccia di lei che lo amava come un figlio quantunque lo giudicasse un po’ troppo biricchino.

«Li ho baciati cadaverimormorò John alla matrona ed una lagrima rigava la rosea guancia del biondo figlio della Britannia. Egli accennava ad Orazio ed Irene che tanto lo avevano amato ed eran stati i suoi salvatori.

L’abbracciarsi delle donne fu scena di pianto che l’una versava sul seno dell’altra senza poter pronunziare una sola parola.

Dopo avere assistito a quella muta scena per un pezzo, lui pure intenerito, il buon capitano Thompson, alzò il capo e dirigendosi alla sua signora in inglese le disse:

«Lo Yacht è al molo che aspetta i vostri ordini se mai desiderate andare a bordo».

«Sì, Thompson, a bordo, e metteremo alla vela subito per uscire d’Italia. È una terra, come dice Alfieri, ove la pianta uomo nasce più robusta che dovunque e gli stessi atroci delitti che vi si commettono ne sono una prova». Non molto tempo dopo lo Yacht veleggiava superbo verso la merry England100.

 

Giulia, tornata nella terra natale, continuò le sue affettouse cure alla nuova famiglia alla quale non tardarono a riunirsi Manlio e Silvia rimasti fino allora nella Solitaria e giurò che non tornerebbe tra questo popolo infelice se non quando Roma, libera dalla peste pretina, le permetterebbe d’innalzare un monumento al diletto del suo cuore ed ai suoi eroici compagni.

 

 

 





97 A Monterotondo, dopo che avevano vigliaccamente fucilato il Maggiore Testori, il quale era andato parlamentare con loro con bandiera bianca.



98 È doloroso confessarlo, un ferito gravemente fu ucciso per non lasciarlo ad essere sgozzato dall’efferato nemico.



99 Storico.



100 L’allegra Inghilterra.






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