CAPITOLO VI
L’ARRESTO
Cencio, come fra la gioventù Romana suole a parecchi accadere, era
disceso più per colpa dei genitori che propria, nell’abbiezione in cui
l’abbiamo trovato.
Onesto carpentiere, il padre avea sposata una di quelle tante
donne uscita dal connubio dell’alto clero con femmina Romana11.
Costei non ignorava la non mediocre sua nascita e vanarella
sognava poter innalzare il proprio figlio al disopra dell’umile condizione del
padre suo. Essa faceva gran conto sulla protezione dell’Eminente genitore
e le pareva che questi dovesse proprio occuparsi del suo nuovo nato. Stolta!
che non sapeva come i godimenti mondani sieno la sola norma dei porporati
predicatori della vita eterna e che, una volta satolli, costoro distruggono o
abbandonano la prole.
E Cencio destinato dalla madre allucinata a grandi cose non curò
imparare l’arte del padre, si diede dell’aria e finì, ostentando una condizione
che non era la sua, a precipitarsi nel vizio e vendersi finalmente al primo
ministro dei piaceri di un’Eminenza.
Dalla stanza dove lo aveva collocato Gianni egli non perdeva
Manlio di vista; ed una sera mentre l’artista stava intento al lavoro piomba Cencio
nel suo studio e con voce commossa, si fa così a supplicarlo: «per l’amore di
Dio! voglia permettermi di rimanere qui un istante, sono inseguito dalla
polizia... mi cercano per imprigionarmi. L’assicuro, - continuava l’impostore,
- che non ho altro delitto, tranne quello d’esser liberale; nel calore di una
disputa ho detto francamente che la caduta della repubblica era stato un
assassinio. Per tutto questo mi vogliono arrestare!».
Così terminando il suo discorso Cencio per dare alle sue parole
maggior colore di verità, fingeva di cercare dietro i marmi, ond’era ripieno lo
studio, un nascondiglio che lo coprisse dalla vista della strada.
«I tempi corrono difficili», pensò Manlio fra sé, «c’è poco da
fidarsi del prossimo; ma come si fa a cacciar di casa un compromesso politico?
come si fa a mandarlo a crescere il numero degli infelici che gemono nelle
prigioni dei preti?».
«Poi, - pensava Manlio sbirciando il nuovo venuto, - il giovane mi
sembra di buon aspetto. Giunta che sia la notte, potrà facilmente trovare uno
scampo».
E l’uomo onesto condusse lui stesso Cencio nella recondita parte
dello studio, non sospettando di certo ch’egli albergava un traditore.
Non passò molto che una frotta di sgherri sfilando lunghesso la
via si fermava davanti lo studio e vi penetrava chiedendo al proprietario il
permesso di farvi una visita domiciliare per ordine superiore.
Non è difficile trovare il nascondiglio di uno che vuol essere
scoperto. Poi il capo degli sgherri già d’intelligenza con Cencio lo avea da
lontano veduto entrare ed era certo di non dover frugare invano.
Povero Manlio! poco sospettoso, come lo è generalmente la gente
onesta, cercava di persuadere il briccone che nulla o nessuno si trovava nel
suo studio che potesse dar sospetto alla polizia e procurava frattanto di
guidare i cercatori in parti diverse da quella del nascondiglio di Cencio.
Ma il malandrino per abbreviare l’indagine che lo annoiava tirò
per le falde dell’abito il capo-birro, mentre gli passava daccanto e questo con
un piglio vittorioso afferrando il complice per il collo:
«Oh! Oh! voi renderete conto al Governo di Sua Santità del
ricovero dati ai nemici dello Stato» disse, pavoneggiandosi il galeotto. E
aggiunse «seguirete immediatamente in carcere il colpevole che avete voluto
albergare».
Manlio poco avvezzo al contatto di quella canaglia era rimasto
sbalordito. Ma alle minaccie del furfante sentì il sangue ribollirgli nelle
vene e lo sguardo gli corse tosto ai ferri che adornavano lo studio. Eran
scalpelli, martelli, mazze e Manlio stava lì lì per impugnare un pié di porco
massiccio e fracassare con quello il cranio dell’insolente, quando apparve
scendendo dalle scale Clelia preceduta dalla madre.
La vista di quelle care creature fiaccò lo sdegno dell’artista.
Esse avevano dal balcone vista entrare quella insolita visita e non vedendola
partire ed avendo sentito qualche cosa d’imperioso nella voce del birro,
tementi e curiose discesero nello studio.
Era il crepuscolo della sera e siccome nel piano generale
dell’arresto di Manlio era stabilito non lo si avesse a condurre in prigione di
giorno, per paura di qualche riscossa dai Transteverini che amavano e
rispettavano il nostro amico, così calcolò il capo-birro che a lui conveniva
differire la traduzione dei prigionieri: onde col piglio simulatore della
volpe. «Via dunque», rivolto a Manlio gli disse: «tranquillate le vostre donne,
la cosa finirà in niente. Voi verrete a rispondere ad alcune interrogazioni e
questa sera stessa, io lo spero, potrete tornare a casa vostra».
Vane furono le rimostranze delle donne, e Manlio sdegnando di
supplicare il birro, incamminossi di lì a poco colla tristissima compagnia.
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