CAPITOLO IX
LA LIBERAZIONE
Una delle cose ch’io notai come straordinaria in Roma fu il
contegno e la bravura del soldato Romano. Quei soldati propriamente che si
chiamano soldati del Papa e servono il più schifoso dei governi hanno
conservato certo robusto piglio marziale e tanto valore individuale da far
stupire davvero.
Alla difesa di Roma ho veduto gli artiglieri Romani combattere con
tale coraggio da andarne superbo, ed ho pure veduto i pochi dragoni, allora
esistenti, condursi valorosissimamente.
Nelle frequenti risse tra soldati romani e stranieri dopo caduta
la città non v’è forse esempio di Romani sopraffatti, anche se gli avversari
prevalevan di numero.
I preti lo sanno, e sanno pure che il coraggio disdegna essere
guidato dalla viltà e sono certi che in caso d’insurrezione i soldati romani
saranno col popolo; di qua il bisogno di mercenari, di qua le implorate
invasioni straniere tutte le volte che il popolo accenna di avere perduta la
pazienza.
Silvio fu accolto dalla brigata con amorevolezza. Anch’egli era
uno di coloro che portavan nell’anima l’impronta del romano antico e su cui il
compagno poteva fidare come sul proprio ferro.
«I nostri sono al loro posto. Li ho rimpiattati», disse Silvio,
«tra le gambe dei cavalli di granito. Saranno pronti al primo cenno».
«Bene» rispose Attilio. Poi impaziente di farla finita, rivoltosi
a Dentato: «il mio piano» soggiunse, «è questo: io andrò dal custode delle
carceri con Muzio per le chiavi e tu guida Silvio co’ suoi dieci per
assicurarti dei birri collocati alla porta delle prigioni».
«E così sia» rispose Dentato; «Scipio (il dragone che annunziò
Silvio) ti condurrà dal custode. Ma bada ch’hai a fare con un demonio. Quel signor
Pancaldo è capace di metter le manette al Padre Eterno ed una volta che lo
tiene non lo lascia andare nemmeno per la gloria del Paradiso. Bada ai fatti
tuoi!».
«Lasciami fare» replicò Attilio, e senza perdere più tempo
incamminossi con Muzio sui passi di Scipio che li precedeva.
Un’impresa di questo genere non presenta in Roma le difficoltà che
presenterebbe in altro Stato ove il Governo è più rispettato ed i suoi agenti
meno avviliti, ma qui ove il soldato non s’inspira all’amore di patria, al
decoro nazionale, all’onore della bandiera, ma sa di servire un governo
d’impostori, disprezzato e maledetto da tutti, qui, dico, tutto è possibile ed
il giorno in cui lo straniero porrà davvero il piede fuori di Roma, quello
stesso giorno il governo delle sottane sfumerà davanti al disprezzo dei
cittadini e dei soldati romani.
Dentato condusse la brigata di Silvio verso il picchetto de’ birri
stanziati alla porta del carcere e ciò non era difficile essendo lui sergente
di guardia ed avendo i dragoni la custodia esterna del palazzo. Era inteso che
egli non doveva svelarsi, potendo giovare di più se l’affare si fosse andato
ingrossando.
Silvio, avendo dal difuori adocchiato la sentinella, attese che
nel suo uniforme va e vieni gli avesse rivolte le spalle e allora colla
destrezza ed agilità con cui si avventava sul cignale della foresta le fu sopra
in un baleno, colla sinistra l’agguantò al collo, colla destra le tolse il
fucile ed assestandole un colpo di ginocchio nel fianco la rovesciò supina sul
pavimento. I suoi compagni che l’avean seguito da vicino prima che il rumore
delle grida e della caduta potesse sollevare in armi il picchetto gli furon
sopra e con garbo ma senza cerimonie, mentre i birri fregavansi gli occhi, te
li pigliarono tutti e incominciarono a legarli.
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