CAPITOLO XI
IL RICOVERO
Noi vedemmo Attilio, Silvio e Manlio, dopo che quest’ultimo fu
liberato, incamminarsi per la campagna e dirigersi per l’appunto verso la
dimora di Marcello, ora occupata da Camilla e dal giovine Marcellino.
Essi camminavano silenziosi, ciascuno sotto la grave soma de’ suoi
pensieri. Manlio contento d’esser libero, comunque fosse, (poiché è preferibile
essere morti al trovarsi nelle prigioni dei preti sotto l’imputazione di
delitto politico), volava col pensiero verso la sua Silvia e la sua Clelia che
erano l’Eden della sua esistenza. Silvio, il quale aveva proposto la casa di
Marcello come primo ricovero per Manlio, pensava alla necessità di trovarne un
altro più recondito e più sicuro, forse anche alle macchie Pontine in quella
stagione non pericolose; Attilio riandava nella sua mente la visita di Gianni a
Manlio, il suo ritorno in casa Procopio, le parole di Dentato sulla vociferata
ragione dell’arresto del suo amico ordinato dallo stesso Cardinale e
ravvicinando i fatti e combinando le osservazioni sentivasi costretto a
concludere che veramente una trama fosse stata ordita dal Cardinale contro
l’amata sua Clelia.
Dopo avere alquanto esitato decise di far parte de’ suoi sospetti
a Manlio e tutto per filo e per segno gli raccontò. Manlio sentì pur troppo di
dover convenire nelle opinioni di Attilio e turbato da quel sospetto, disse:
«Ma per Dio! io non voglio allontanarmi dalla mia famiglia quando
essa può trovarsi in pericolo di ricevere insulti da quella canaglia!». Attilio
lo tranquillò dicendogli:
«Subito giunti in casa Marcello, io stesso passerò da casa vostra,
avviserò le donne d’ogni cosa e vi assicuro che prima d’essere insultati, Roma
vedrà delle novità!».
Attilio benché giovane erasi acquistata la simpatia e il rispetto
di tutti, anche degli uomini maturi i quali si acconciavano facilmente ai suoi
consigli, laonde Manlio che lo amava come figlio piegò senza molta resistenza
al parere di lui.
L’alba cominciava a rischiarare il cielo, quando giunsero al
viottolo che faceva capo alla casa Marcello. Fido si fece innanzi, minaccioso
prima, poi lieto alla vista di Silvio e quando furono sul limitare dell’uscio
apparve pure Marcellino a cui Silvio chiese dove fosse Camilla.
«Camilla!» rispose il giovane «se venite meco v’indicherò dove si
trova». E guidandoli verso un’eminenza ove Io seguirono tutti, Marcellino
additò loro un non lontano santuario, accanto al quale scorgevasi il recinto
d’un Cimitero e disse: «Là all’alba ed al tramonto, voi potrete trovare Camilla
e là essa si trova ora».
Silvio senza far motto ai compagni i quali continuavano a
seguirlo, s’avviava al luogo indicato, ove Camilla, vestita a lutto, stava
inginocchiata accanto ad un modesto tumulo di terra smossa di recente, così
assorta che non si accorse dell’avvicinarsi di gente. Silvio la contemplava
impietosito, e non osava disturbarla, sicché quando parve che la poverella
avesse terminata la sua preghiera fu udita esclamare: «Ah! fui io sola la causa
della morte del mio povero padre!». Ciò dicendo si levò e scorse Silvio ed i
compagni alla qual vista non si turbò né alterossi ma sorrise d’un sorriso
angelico al suo antico amante e s’avviò verso la casa insieme alla comitiva.
La pazzia di Camilla avea cessato d’essere furiosa. Dal momento in
cui condotta da Silvio ritornò all’alloggio paterno s’era cambiata in una
monomania melanconica che le lasciava le apparenze di una perfetta
tranquillità. Ma il male quantunque mutato durava tuttora e la poverina non
avea ricuperata la sua ragione.
«Ove ti domandassero chi è il signore che oggi viene ad abitare
con voi, tu dirai ch’è un antiquario che studia le ruine della campagna
Romana».
Questa era l’ammonizione che Silvio credette prudente di fare a
Marcellino nel caso in cui Manlio dovesse rimanere alcuni giorni con loro.
Attilio dopo breve consulta con Manlio e Silvio sul piano
ulteriore della fuga, lasciò subito quella casa e s’avviò solo verso Roma dove
lo chiamava il suo cuore e l’adempimento della promessa che aveva fatta a
Manlio.
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