CAPITOLO XV
IL PALAZZO CORSINI
«M’è proprio cascato il cacio sui maccheroni» diceva tra sé,
stropicciandosi le mani, il dissoluto prelato alla vista delle tre donne, «e la
provvidenza (badate provvidenza di quell’infame!) mi serve meglio stavolta che
tutti i birbanti che mi attorniano».
Così pensando ei gettava occhiate di coccodrillo sulla bellissima
fanciulla, che così ardentemente egli aveva desiderato contaminare,
«Venga la supplica» ei disse: come se da quella egli dovesse
conoscere con chi aveva a che fare e di che si trattava, mentre alla prima
occhiata aveva riconosciuto le sue interlocutrici.
«Venga dunque la supplica», tornò a dire il mezzano, vedendo le
donne silenziose e sbigottite. Aurelia, che la pretendeva da più delle
compagne, si fece innanzi e gliela porse.
Con apparente attenzione il Cardinale parve intento alla lettura,
quindi ripiegato il foglio sclamò: «Ah siete voi signora!» e il furfante si
dirigeva ad Aurelia, come se le altre due non le avesse conosciute, «siete voi
la moglie di quel Manlio che si permette tener nascosti in casa i nemici dello
Stato e di sua Santità?». Queste parole furono profferite con tale aria di
severità e di comando che ti pareva udire un magistrato che desse delle
ammonizioni ad un delinquente che non abbia scusa.
«Non è dessa la moglie di Manlio, - s’affrettò a dire Silvia, -
sono io! Essa venne solo per accompagnarci e testimoniare all’E. V. ch’ella sin
da fanciulla conosce la nostra famiglia e può giurare non esserci noi
frammischiati mai in cose politiche. Donna Aurelia può dirlo - continuava
incalorendosi la povera Silvia, - ella può dire se mio marito non è un uomo
d’una onestà a tutta prova».
«D’un’onestà a tutta prova - ripeteva fingendosi corrucciato il
malandrino. - E se siete onesti, perché albergate eretici e nemici dello Stato?
e l’onesto Manlio, perché fugge violentemente di prigione adoperando mezzi
imperdonabilmente colpevoli?».
Un momento di silenzio seguì quelle parole e Clelia la quale più
d’ogni altro conservava il suo sangue freddo pensò subito: «Fuggito! dunque non
è più nelle unghie di questi demonii!» ed un lampo di contentezza sfavillò
sulla bella fronte della fanciulla che mormorò: «Fuggito!».
«Sì fuggito - ripeteva il chercuto indovinando l’effetto prodotto
da quella parola sull’animo di Clelia, - però badate, niuno può fuggire dalla
spada della giustizia! e Manlio cadrà sotto la doppia colpa d’essere stato il
ricettatore dei nemici di S. Santità e di avere con criminosa violenza forzato
l’inviolabilità delle carceri pontificie».
Alla povera Silvia le altosonanti parole del porporato fecero l’effetto
della folgore. Impallidì, stese le braccia verso la sua Clelia, quindi
sentendosi stringere il cuore cadde svenuta.
Procopio, agguerrito a questi colpi di scena, non si scosse, anzi
ne profittò, chiamò i domestici, ordinò che le donne fossero condotte in altra
stanza e si cercasse con ogni cura di richiamare in sé la svenuta.
«Oh! voi non uscirete di qui senza avermi pagato un prezioso
tributo», pensò tra sé il lussurioso Cardinale tornandosi a stropicciare le
mani. Chiamò a sé il Gianni, il quale non s’era allontanato di molto,
prevedendo che il suo padrone poteva abbisognare dell’opera sua.
«Ebbene, vedete un po’ signor Gianni» (e Gianni sapeva ciò che
richiedeva da lui il porporato quando chiamavalo signore).
«Vedete, - dicevagli con aria giuliva, - se la provvidenza non ci
favorisce meglio che noi sappiate far voi colla vostra abilità!»
«Io l’ho sempre detto che l’E. V. è nata sotto una buona stella, è
destinata ad esser felice» rispondeva l’eunuco inchinandosi e strisciando come
un rettile.
«Dunque, ora che la Provvidenza (e dalli colla Provvidenza
malmenata da quella bocca sacrilega) ci ha favorito tocca a te il resto. Bada
che quelle donne sieno trattate con ogni riguardo. Esse furono or ora condotte
negli appartamenti posteriori del palazzo, di là, col pretesto di chiamarle ad
interrogatorio presso Monsignor Ignazio (il lettore conosce già il buon
soggetto), fate che sieno divise. Quando poi sieno tornate in calma e sciolte
da ogni sospetto io avrà bisogno di trattenermi da solo a sola colla Clelia.
Siamo intesi, eh!».
E dopo essersi passata la mano sul mento con compiacenza, il
Cardinale accennando col dito faceva segno a Gianni di andare. Quindi, senza
far parola, con un profondo inchino si allontanava l’eunuco accompagnato dallo
sguardo semi-austero semi-sorridente del suo padrone. Non appena uscito il
Gianni, un domestico annunciò la signorina inglese.
«Ma avanti! avanti!» diceva il Prelato e tra sé: «Ma proprio dal
cielo mi cade la manna quest’oggi». E passava e ripassava la mano sul liscio
mento dove fra le macchie di cui avevanlo chiazzato la lussuria e la
depravazione, si scorgeva la pallida e giallognola cute del camaleonte.
«Avanti, signorina!» tornò a gridare il Cardinale quando l’uscio
s’aperse e fece alcuni passi per prender la mano dell’altiera e bellissima
artista.
«Che fortuna è la mia di possedervi un istante sotto questo tetto,
in questa stanza istessa che fu abbellita una volta dalla vostra presenza e mi
sembra deserta da che la vostra preziosa persona l’ha abbandonata».
«Quanta galanteria sfoggia questa serpe» pensò fra sé la nostra
Giulia, mentre che ascoltava il grandiloquente sermone del cicisbeo, e
sedutasi, con poche cerimonie, rispondeva «Gentile e graziosa è l’E. V. e io le
ne sono grata. Una volta io veniva qui più spesso per copiare i capi d’opera di
cui va adorno questo palazzo, ma già da alcun tempo ho terminate le mie copie
ed oggimai qui non saprei quello che dovrei venirci a fare».
«Non ci sapreste più che fare?! oh! questa poi è una dichiarazione
poco galante da parte vostra, signora Giulia! qui come ovunque voi avrete un
culto, bellissima fanciulla!». Biascicando queste e simili frasi melate, Don
Procopio cercava di avvicinare frattanto la sua poltrona a quella di lei ma
ella ritirava la propria d’altrettanto dimodoché le due poltrone avevano l’aria
di onde agitate che si perseguono sempre, e non si raggiungono mai.
Stanco di perseguitare la giovine straniera a corso di poltrona,
il prelato si alzò e risolutamente mosse verso di lei. «Ma sedete, od io
parto!» esclamò Giulia alzandosi e mettendo la poltrona tra lei e l’indecente
Cardinale mentre gli figgeva due occhi in volto che lo atterrarono. Il prete si
lasciava andare sulla seggiola come colpito dal fulmine e Giulia sedutasi pure
cominciò:
«La mia visita non è senza grave motivo, già lo sapete che per
vedervi non ci verrei. Io son qui a chiedervi notizie d’una famiglia che
m’interessa: della famiglia dello scultore Manlio».
«Fu qui è vero, ma se n’è andata» rispose Procopio, rinvenuto dal
primo stupore.
«È molto tempo che se n’è andata?» chiese Giulia, con accento da
cui trapelava la sua incredulità.
«Sono pochi momenti che le donne lasciarono queste stanze» fu la
risposta di Don Procopio.
«Saranno dunque a quest’ora fuori del palazzo», ripigliava la
straniera. Ed il prete: «lo saranno», rispose colla certezza di mentire.
Giulia con un gesto d’incredulità troncava il dialogo e
maestosamente ripigliava la sua via, appena salutando con un cenno del capo
l’eminente canaglia.
Ha pure i suoi vizi i suoi difetti la razza britannica. E cosa v’è
di perfetto nell’umana famiglia? Ma se v’è popolo ch’io mi compiaccia a
paragonare ai nostri antichi padri di Roma, è certamente l’inglese.
Egoista e conquistatore come quelli, la sua storia rigurgita di
delitti; delitti commessi nel suo seno e nel seno delle altre nazioni.
Molti sono i popoli che egli ravvolse e ravvolge nelle sue spire
di ferro per contentare l’insaziabile sua sete d’oro e di predominio. Pur non
si può negare che egli non abbia immensamente contribuito al progresso umano e
gettato la base di quella dignità individuale che presenta l’uomo diritto,
inflessibile, maestoso, davanti alle esigenze dispotiche che padroneggiano
l’uman genere.
A forza di costanza e di coraggio egli ha saputo conciliare
l’ordine governativo colle libertà adeguate ad un popolo padrone di sé stesso.
L’isola sua divenne il santuario e l’asilo inviolabile di tutte le sventure, il
despota, come il proscritto dal despota, vivono insieme su quella terra
ospitale, colla sola condizione di essere uomini.
Egli ha proclamato l’emancipazione dei negri oggi felicemente
conseguita dalla lotta gigantesca della sua stessa razza sul nuovo continente;
a lui infine deve l’Italia in parte la propria ricostituzione, grazie alla
maschia sua voce di non intervento da lui fatta risuonare nello stretto di
Messina nel 1860.
Alla Francia come all’Inghilterra molto deve l’Italia. Alla
Francia molto deve l’umanità per la propaganda de’ principi filosofici, per
l’affermazione dei diritti dell’uomo. Alla Francia si deve l’annientamento
della schiavitù barbaresca nel Mediterraneo. La Francia seppe mettersi alla
testa della civiltà umana ma non lo è più. Oggi strisciando davanti al
simulacro d’una grandezza fittizia essa distrugge l’opera grandiosa del suo
passato.
Un giorno la Francia proclamava e propagava la libertà nel mondo,
oggi è dessa che cerca distruggerla dovunque.
La Dea ragione, quel parto straordinario dell’intelligenza
emancipata, essa oggi la rinnega ed i suoi soldati fanno il gendarme al
Sacerdote dell’oscurantismo.
Speriamo per il bene dell’umanità veder presto le due grandi
Nazioni rimettersi insieme all’avanguardia dell’umano progresso.
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