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Giuseppe Garibaldi
Clelia ovvero Il governo dei preti

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    • CAPITOLO XVIII   L’ESILIO
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CAPITOLO XVIII

 

L’ESILIO

 

Era la mattina del quindici Febbraio, e la campagna di Roma era illuminata dai primi raggi del sole.

Quel solenne deserto ove un sorgevano città cospicue oggi è seminato di macerie e presenta all’attonito passeggiero un’immagine di desolazione e di morte. I miserabili abitatori che s’incontrano in quelle steppe riflettono sulle loro gialle e squallide fisonomie i patimenti e la malaria. Pianure immense ove una volta prosperavano numerose popolazioni sono oggi percorse da bufali selvaggi e da cignali. I giardini, le ville, gli orti, che alimentavano di legumi e di frutta i due milioni d’abitatori dell’immensa metropoli sono sostituiti da macchie e paludi pestilenziali.

Qua e alcune croci di legno attestano al viandante gli omicidi frequenti a cui la miseria e l’ignoranza pretina trascinano i discendenti del gran popolo, oggi ridotti ad una masnada di fanatici e di briganti.

I vestigi delle vie consolari che solcavano per tutti i versi quelle pianure e che ricordano il passaggio delle immortali legioni, appena si scorgono tra i bronchi e le rovine che lo ricoprono. Siccome l’anima degli abitatori il prete padrone20 ha inaridito quel terreno fecondo.

In quella mattina, da una carrozza giunta al crocicchio di casa Marcello, scendevano quattro donne che noi conosciamo e s’incamminavano verso l’abitato. Con che gioia si abbracciassero padre, madre e figlia lo lascio pensare a voi, dopo tanti disagi e tanti pericoli. Giulia e Aurelia con gli occhi umidi di lagrime contemplavano silenziose tanto affetto, e maledicevano in cuor loro chi aveva cagionatofiero rammarico a questa onesta famiglia.

Camilla istupidita osservava l’insolito spettacolo e non era capace di formare parola. Se avesse potuto indovinare la fine atroce del suo tentatore, chi sa non fosse ritornata in sé, allora non comprendeva nulla.

Marcellino dopo aver egli pure girato lo sguardo curioso dall’uno all’altro, dal bellissimo volto di Giulia al non men bello di Clelia, si dirigeva verso la stalla per mugnere la vaccarella ed offrire un bicchiere di latte fresco alle simpatiche visitatrici.

Dopo mille domande e risposte e ragguagli, Manlio volto a Giulia diceva: «l’esilio dunque ci resta, non ci vedo altra via. Questo governo infernale finirà presto, non ne dubito, ma intanto dopo tutto quel ch’è accaduto bisogna sottrarci agli ultimi parossismi del prete sanguinario, oggi tutto astio e vendetta».

E Giulia, «io sono del vostro parere: sottrarvi alle persecuzioni di quegli scellerati e non perder tempo. Dio farà il resto e certo in breve potrete tornare nella vostra Roma ringiovanita e redenta».

Il modo di mettersi in salvo fu presto trovato dalla coraggiosa straniera. «Io - essa soggiunse, - ho il mio yacht a Porto d’Anzo».

Il mio yacht!, ma questa parola sarà inintelligibile a chi legge, se uomo e più ancora se donna italiana. Il mio yacht! Una signorina col suo yacht! Ma che razza d’arnese è questo yacht, che portano le fanciulle inglesi ed offrono agli amici?

Lo yacht non è un arnese ma una nave, su cui l’inglese ricco e coraggioso solca gli Oceani e passeggia il mondo tutto, come fosse la propria casa.

I francesi, gli spagnuoli, gli italiani non hanno yacht, benché essi presumano di essere nazioni marittime. La loro educazione è troppo molle. Ricchi, si danno alle lussurie delle metropoli e non avventurano l’effeminata loro esistenza sul mare tempestoso e perciò l’Italia, la Spagna, la Francia non contano i loro Rodney, i Jervis, i Nelson.

L’inglese, anche millionario, repugna dall’ozio, compra un yacht e si spinge sull’Oceano a cercare le tempeste. Egli non teme i calori della zona torrida, né i ghiacci del polo. Veleggia, corre, s’istruisce e diventa robusto di corpo e di mente. Con tali figli Albione signoreggia il mare da secoli. Co’ suoi baluardi di legno essa rese inviolabile e sacra la sua terra d’asilo e si può sperare che coi nuovi baluardi di ferro essa saprà sfidare qualunque tentativo d’invasione straniera.

Dunque, «Ho il mio yacht a Porto d’Anzo, - diceva Giulia, - noi andremo ; e spero di potervi imbarcare inosservati e veleggiare con voi verso il solitario».

 

 

 




20 Tutta la Campagna di Roma appartiene oggi a pochi Monsignori e prelati che l’abbandonano per immergersi nelle crepule della capitale.






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