CAPITOLO XXV
LO YACHT
«Dondola, o graziosa Naiade, gli eleganti tuoi fianchi sull’onda
Mediterranea. Io ti rivedo commossa con tutto l’affetto dell’anima mia!
E perché non amerei te come un’amica? Te, a cui devo tante
emozioni, tanti piaceri sublimi!
Io ti amo! Quando l’Oceano fatto specchio riflette ogni oggetto
esistente con magica somiglianza, come è bello veduto dalla tua tolda! E come è
bello quando increspato dalla brezza, dolcemente tu gonfi l’eburnee tue ali
quasi danzando, scherzando e sogghignando dinanzi all’umile sdegnosetta forza
dell’Espero24.
Ti amo perdutamente quando simile allo indomato corsiero del
deserto, spumando dalle narici infocate25, ti slanci impavida sull’onda
irritata e la soperchi, la schiacci e procedi infiammata dagli ostacoli che la
tempesta accumula sul tuo cammino glorioso!
Ti amo graziosa Naiade perché so che tu ti chiamerai Clelia
per l’avvenire, in onore della bella e cara mia compagna, in onore della coraggiosa
fanciulla che affrontò un demone quasi certa di perder la vita, per non
soggiacere al vituperio!».
Così, con enfasi sclamava Giulia, e veramente dal momento in cui
ella avea veduto Clelia slanciarsi sul masnadiero con tanta intrepidezza
diventò di lei entusiasta e le giurò nel fondo dell’anima sua un affetto
imperituro. Tali sono gl’istanti delle anime grandi. La bassa, la volgare
gelosia non vi attecchisce mai. Così da una parte l’ammirazione e dall’altra
l’ammirazione e la gratitudine strinsero queste due bellissime fanciulle d’un
amore indissolubile per tutta la vita.
Giulia, non potendo condurre l’intiera comitiva a Porto d’Anzo ove
si potevano risvegliare le apprensioni di quelle sospettose autorità
pontificie, condusse seco Manlio come cocchiere ed Aurelia come cameriera,
lasciando Silvia e Clelia ad una certa distanza nel bosco che tocca la sponda
del mare sotto la custodia di Orazio.
Eran ben custodite di certo. L’Orazio Romano le avrebbe difese
contro un esercito e si sarebbe lasciato fare a pezzi per loro.
Il Capo d’Anzo a mezzogiorno e Civitavecchia a tramontana sono i
limiti di quella spiaggia inospitale e pericolosa che si chiama «la spiaggia
romana». Il navigante nella stagione d’inverno si tiene al largo in alto mare
per non esser sorpreso dai venti di Libeccio che vi soffiano impetuosi e vi
cagionano non pochi naufraghi.
L’imboccatura del Tevere che si trova quasi nel centro di questa
spiaggia è praticata nella sola foce di Fiumicino da legni che non pescano più
di quattro o cinque piedi d’acqua e nella sola stagione primaverile essendo
pestifero il luogo, a cagione delle febbri, la state, e pericolosissimo
d’inverno per i venti di mare.
Sulla sponda sinistra del Tevere, verso Capo d’Anzo e Monte
Circello, abitavano anticamente i bellicosi Volsci, che tanto da fare diedero
ai Romani per sottometterli. Di Arde loro capitale, città cospicua, sussistono
tuttora le rovine e attestano la prosperità di quei popoli antichi. Oggi, sotto
il governo dei preti, quel paese è deserto.
Il Capo d’Anzo, adunque, forma col suo promontorio il porto che
piglia il suo nome. Porto capace soltanto di piccoli legni ed in questo stava
ancorato l’elegante Yacht della nostra Giulia pronto a’ suoi ordini.
L’arrivo di Giulia nel porto se non fu una festa per le autorità
pretine, sempre nemiche degli Inglesi, ai quali imputano il doppio delitto di
eretici e di liberali, ben lo fu per l’equipaggio della Clelia verso il
quale la nostra eroina era sempre gentile, e a cui era carissima.
L’uomo di mare, esposto quasi tutta la vita a pericoli, ha molti
titoli alla benevolenza della donna sempre propensa, come già dicemmo, ad
apprezzare i coraggiosi; e la donna trova pure grandi predilezioni tra i rozzi,
ma leali e generosi marinai. Giulia poi aveva troppi meriti perché non fosse
adorata dall’intero equipaggio!
Giunta sulla tolda, la bella inglese dopo d’avere corrisposto ai
saluti affettuosi de’ suoi concittadini discese nella camera, chiamò il
capitano Thompson e con lui conferì sul da farsi per levare le compagne dal
punto ove le aveva lasciate e condurle in luogo sicuro.
«Aye, Aye!» esclamò il bravo marinaio stanco d’esser rimasto per
tanto tempo nell’ozio e altero di poter obbedire la sua giovane padrona in
qualunque impresa fosse anche a pericolo della vita.
In meno d’un’ora da che erano saliti a bordo i nuovi personaggi la
Clelia aveva già levato l’ancora e con tutte le vele spiegate, usciva
dal porto con debole brezza da Greco che la spingeva.
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