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Giuseppe Garibaldi Clelia ovvero Il governo dei preti IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO XVI
LA TRIADE
Nella meschina stanzaccia di Siccio quella stessa sera stavan raccolti tre individui che avrebbero fatto l’ammirazione di colui «che nuovo Olimpo alzò in Roma a’ Celesti» e di qualunque dei grandi Maestri del bello. Eppure non è egli mero caso il nascer bello? e non ho conosciuto io molta gente con cuore d’angiolo e pur deformi di corpo? Che volete? è così; l’uomo per irresistibile istinto è portato al bello, forse più dell’uomo la donna. Le belle forme della persona ispirano istintivamente maggiore fiducia. Piace d’aver il padre bello, la madre ed i figli, d’aver un capo le cui fattezze sieno quelle dell’Achille, non del Tersite18. La bellezza del capitano, suscita più entusiasmo nei militi, più timor nei nemici. Infine, comunque sia, è una gran fortuna il nascer belli, ed in questo, come in tante altre cose, non si capisce perché l’Onnipotente sia stato prodigo con gli uni, avaro con gli altri, si direbbe quasi capriccioso. Quante mortificazioni un povero diavolo deve soffrire se ha la disgrazia di essere deforme! Che smorfie! che sogghigni da ogni parte! Non beato dal sorriso delle belle (e meno ancora delle brutte, le quali, o mancano dell’istinto di compassione o temono, mostrandosi generose, d’essere sospettate richiedere per se stesse il ricambio affermando la propria deformità) gli si fa sentire la pietà a traverso un’umiliante protezione e quando non s’aggiunge qualche satira o beffa di begli spiriti è una fortuna per il poveretto. L’oro solo mitiga alquanto le deformità del corpo. Intanto con aria di trionfo, e contento di sé, passeggia da dominatore nella folla, colui che senza merito proprio ebbe dalla natura forme prestanti e forse bello spirito. Sarà calcolo, sarà sorte, sarà capriccio di chi poteva far meglio? Giulia, che Attilio e Muzio avevano aspettata per aver notizie della famiglia di Manlio cominciò: «Sì! esse sono in casa Corsini; quell’indecente Procopio lo ha negato ma voi sapete in quella tana di vizi quanto sia facile di coprire ogni cosa coll’oro». Attilio si alzò, fece un moto d’impazienza come volesse partire, passò la mano sulla fronte, poi come pentito di quella manifestazione tornò a sedere. Giulia che lesse nell’atto d’impazienza del giovane qual vulcano bolliva in quell’anima ripigliò: «Attilio! vi bisogna più che mai conservare il vostro sangue freddo. Vi sarà necessario per liberare la vostra fidanzata dagli artigli di quell’avvoltoio. Ora è troppo presto. Voi dovete aspettare almeno sin dopo le dieci per tentarlo». «Sicuro - aggiunse Muzio - e frattanto io andrò ad avvisare Silvio che si trovi pronto coi compagni nelle vicinanze del palazzo. Non ti muovere sinché io non sia di ritorno». Noi sappiamo quanto il povero Muzio amasse la bella straniera, pure un’ombra di sospetto, di gelosia, non annuvolò la sua fronte al lasciarla così sola in compagnia dell’avvenente suo amico. E Giulia, sola col più bel giovine di Roma e sì giovane e bellissima lei stessa, non correva pericoli? No! l’amore di Giulia per il suo Muzio, era di pura e forte tempra, amore che non s’altera, che non muore, che non cambia per cambiar d’età o di fortuna. E poi Muzio era infelice e questa qualità assai più caro lo rendea alla generosa.
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18 Buffone deforme nel campo dei Greci all’assedio di Troia. |
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