SCENA DICIOTTESIMA
Saraceni che portano un ramo d'olivo, e
una corona, e detti.
CORO
Solamir d'Amenaide
Vuol la man di pace in pegno;
Ecco il segno d'amistà;
Ecco il serto che l'amore
Offre al merto, alla beltà.
Ma paventi Siracusa
Se ricusa:
Su voi tutto il suo furore,
L'odio suo piombar farà.
(Sdegno, disprezzo de' Siracusani).
TANCREDI
(fiero e con amarezza)
(ad Argirio)
Or che dici?
(ad Amenaide)
Or che rispondi?
Ammutisci? - ti confondi?
Va', palese è troppo omai
La tua nera infedeltà.
CORO DI SARACENI
Vieni al soglio.
TANCREDI
Quale orgoglio!
Padre, e voi!...
CORO
(ad Argirio e cavalieri)
Non più: scegliete.
TANCREDI
No: capaci non sarete,
Di sì orribile viltà.
CORO
E tremare voi dovrete,
Siracusa alfin cadrà.
TANCREDI
(ad Amenaide con pena ed ira)
È questa la fede
Che a me promettesti?
Tradirmi potesti,
Scordarti di me?
E tanto è spietato,
L'acerbo mio fato
Che ancora t'adoro,
E moro per te!
Sì, la patria si difenda:
Solamir me al campo attenda.
Poi dell'ombre nella pace,
Cesserò di sospirar.
CORO
Vieni: allarmi! il fasto audace,
Solamir saprà domar.
TANCREDI
Sì, cadrà il rivale audace,
Io vi guido a trionfar.
(I Saraceni partono. Tancredi alla testa de'
cavalieri parte seguito da Roggiero).
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