CON PREFAZIONE DI
GAETANO NEGRI
È una voce d'oltretomba che ci
parla dalle pagine di questo romanzo, è la voce di Emilio De Marchi, il gentile
poeta, il geniale ed arguto scrittore, ahi troppo presto rapito agli amici,
agli ammiratori, al Paese di cui era ornamento ed onore.
La fama non ha sempre una misura
perfettamente giusta nella distribuzione de' suoi favori. Non sempre i più
meritevoli sono i suoi prediletti, e i suoi errori, ai tempi nostri, son forse
più frequenti e più gravi che nel passato. Per essere uditi in mezzo al
frastuono da cui è assordato il mondo moderno, bisogna farsi annunciare da
squilli di tromba ed aver un accompagnamento di cori. Chi parla solitario deve
rassegnarsi talvolta a lasciare che la sua voce sia soffocata dall'onda
tumultuosa dei suoni che le si innalzano intorno. Emilio De Marchi, artista nel
senso più genuino e più dignitoso della parola, ch'altro non amava se non l'arte
e la verità, non apparteneva a nessuna consorteria letteraria; egli faceva
parte per sè stesso, non andava in cerca dell'applauso e del successo,
rifuggiva da ogni artifizio da cui potesse venire al suo nome un bagliore
fallace. Da qui la conseguenza che Emilio De Marchi non ebbe in vita il posto
che gli spettava nella gerarchia degli scrittori italiani nell'ultima parte del
secolo decimonono, mentre gli stranieri lo accoglievano con una larghezza di
spontanea ammirazione che era il più chiaro indizio del suo grande valore.
Emilio De Marchi, in arte, era un
verista, ciò che rettamente inteso vuol dire un manzoniano. Egli fu dei
pochissimi fra i discendenti del grande lombardo a comprendere come non fosse
un seguire il maestro l'abbandonarsi ad una morbosa mollezza di sentimenti e di
stile, ma lo fosse bensì lo scrutare il vero ne' suoi più riposti avvolgimenti,
per riprodurlo con un intento altamente morale. Per questo, egli è stato,
insieme, un poeta ed un moralista.
Il tratto saliente dell'ingegno del
nostro artista era appunto la scrupolosa fedeltà al vero, fedeltà nella
rappresentazione dei personaggi e in quella dell'ambiente in cui li collocava,
Nella creazione dei tipi umani il De Marchi si rivelava un pensatore
dall'anima vibrante a tutti i problemi detta vita moderna, un psicologo che
sapeva scrutare le passioni che tempestano nel cuore dell'uomo in tutte le fasi
del loro svolgimento. Tuttavia, per quanto mirabili le analisi ch'egli eseguiva
col suo scalpello provato e sicuro, per quanto efficaci e parlanti le figure a
cui egli dava il soffio della vita, altri potrà, per questo rispetto, averlo
eguagliato, e forse superato. Ma nella pittura dell'ambiente il De Marchi era
propriamente un Maestro. La sua arte finissima e discreta ci fa rivivere nel mondo
ch'egli descrive con un'esattezza di riproduzione veramente singolare. Il
Demetrio Pianelli, che rimarrà del resto, per gli altri suoi pregi, come uno
dei migliori romanci contemporanei, è, veduto da questo aspetto, un capolavoro.
Il mondo milanese, la sua vita, le sue abitudini, il suo linguaggio, l'aria,
quasi direi, che vi si respira, tutto vi è riprodotto con un'acutezza
d'impressione che rivela l'intensità dell'osservazione. E vi si unisce
quell'arte squisita, che sa dare, nella pittura, il tocco risolutivo
dell'effetto, conservando la chiarezza del disegno e la semplicità
dell'insieme.
Quest'arte si ritrova in tutti i
romanzi del De Marchi; la si ritrova in Giacomo l'idealista dove vela ed abbella una concezione di
carattere che è forse la più profonda e la più geniale di quante siano uscite
dalla mente pensosa del nostro romanziere, la si ritrova nell'ultimo suo lavoro
in cui una storia triste si svolge in mezzo a tanto sorriso di natura, a
tanta trasparenza d'aria, a tanta pace e tanto azzurro di lago e di cielo.
Lo stile del De Marchi, è limpido
come l'acqua zampillante da fonte montana e rispecchia mirabilmente lo spirito
dello scrittore. L'imagine precisa e vivace, la frase spirante un'emozione
profondamente sentita, il concetto espresso con facile eleganza, mai nessun
eccesso di parola, nessuno sfoggio di inutile virtuosità, quasi un pudico
aborrimento d'ogni lezioso artifizio, tutto ciò infonde nelle pagine del De
Marchi quel fascino che ha la bellezza quando ci si affaccia nella sua semplice
e genuina realtà.
Emilio De Marchi, mi piace
ripeterlo perchè è il più grande fra i titoli d'onore del nostro poeta, ha
sempre accompagnato all'arte l'ispirazione morale e fu guidato, in tutte le sue
opere, da un concetto educativo. Egli sentiva altamente la missione dello
scrittore, e voleva che da ogni suo libro venisse un insegnamento che,
purificando, ravvivasse i cuori. Quando egli parlava ai giovani, la sua parola
aveva un accento paternamente affettuoso. Il maestro diventava un amico che
aveva il segreto di toccar le corde più intime del cuore. Ma l'idea morale
regge ed anima non solo i suoi libri educativi, bensì tutta l'opera sua.
Non si chiude nessun suo romanzo
senza sentirsi migliori, perchè più inclinati all'indulgenza, alla pietà per le umane debolezze, più
sensibili alla simpatia per la sventura, più aperti all'influenza d'ogni grande
e generoso ideale. -
Il fare un libro è meno
che niente
Se il libro fatto non
rifà la gente
diceva il Giusti. A questa convinzione
del poeta toscano, che era anche la sua, Emilio De Marchi è rimasto fedele in
tutte le manifestazioni del suo ingegno. Artista squisito, scrittore altamente
civile e morale egli lascia una traccia duratura. Il suo spirito rimane nelle
figure viventi di cui ha popolato il mondo della fantasia e del romanzo, rimane
nei preziosi insegnamenti da lui sparsi a piene mani lungo il cammino, ahi
troppo presto troncato, della sua laboriosa esistenza.
Gaetano
Negri.
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