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Emilio De Marchi
Col fuoco non si scherza

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  • PARTE PRIMA.
    • VII.   Colpo di mitraglia
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VII.

 

Colpo di mitraglia.

 

Flora scese alla Villa insieme alla mamma mezz'ora prima del tempo convenuto per la colazione, colla segreta speranza d'incontrarlo in giardino: ma egli non era ad aspettarla alla scaletta della darsena, come si era immaginata, si lasciò vedere nel giardino.

Passando davanti alla veranda, sentì invece la voce del Cresti, che parlava col signor curato,

- Faccio un giretto - disse la fanciulla, quando furono per entrare; e corse verso il boschetto delle magnolie, come se sperasse di trovarvi quel che era venuta a cercare o volesse mettere tra lei e il desiderato incontro un nuovo atto di preparazione e di raccoglimento.

Salì e discese la montagnola: e giunta all'imboccatura della grotta, sedette ai piedi di un'antica statua di Diana, in attitudine di donna stanca e smemorata, chiedendosi umilmente con infantile semplicità: - Perchè non era ad aspettarmi?

Nella grotta di tufo dove marcivano vecchie casse fuor d'uso, riconobbe una logora carriola di legno, in cui Ezio l'aveva condotta le cento volte su e giù pel viale della montagnola. Erano ancora le stesse piante, o quasi, magre e lunghe, che tremavano all'aria, popolate di tortorelle e di rossignoli: era ancora lo stesso odore di lago misto al più acre odore di canape che fanno marcire alla riva del torrente, un cattivo odore carico di idee buone per quel che suscitava delle antiche memorie. Che cosa era avvenuto di lei che le pareva d'esser così grande in mezzo a queste piccole cose? E perchè tanta paura sul punto d'incontrarsi in quel ragazzo, che l'aveva condotta, docile e obbediente come un buon cavallino, nella carriola di legno? Perdio soffriva già tanto di non averlo visto ai piedi della scaletta, come aveva sognato che ci dovesse essere? Pensò ch'egli fosse a far toeletta. Il signorino mutava di vestiti almeno quattro volte al giorno. Alla mattina scendeva in canotto in tela russa da marinaio: poi faceva colazione colla matrigna in abito da casa: poi usciva in costume di società, e qualche volta si lasciava imbrancare nella compagnia che, in maniche di camicia, giocava alle boccie nel giardino del curato.

Flora non osava pensare ch'egli non fosse a riceverla per un sentimento cattivo; ad ogni stormire di foglie credeva di vederlo uscir fuori, tra pianta e pianta, e di sentir le sue mani sugli occhi. Ma la campanella del cuoco suonò il secondo segnale senza che Ezio venisse a scovarla dal suo nascondiglio, allora si rassegnò a entrare in casa. Il Cresti la vide subito e corse a prenderla per mano per presentarla a Massimo, che non volle riconoscere nella grande fanciulla, che aveva davanti, la bambinella che si specchiava nei bottoni della montura. Di lei non era rimasta quasi che la gran fiamma dei capelli, diventati un vulcano.

La zia Vincenzina la rimproverò perchè era stata tanto tempo senza lasciarsi vedere; l'abbracciò, la carezzò, le raddrizzò quel che c'era meno diritto in quel suo gran vestito di mussolina, e finì di dirle sottovoce: - Ho un gran discorso a farti, in segreto. A tavola ti ho messa vicino a Cresti: sii gentile con lui.

Il vecchio Andrea venne a dire che la colazione era pronta: e tutti si avviarono verso il salotto.

Egli... egli non c'era ancora. Flora girò gli occhi e fu per gridare: Dov'è? - Il Cresti venne a offrirle il braccio, che essa accettò senza capire dove si andasse.

Si misero a tavola senza di lui: e venne in tavola il secondo piatto prima che il padroncino facesse agli invitati l'onore della sua presenza.

Flora stava già per piangere, quando Ezio entrò in gran furia, chiedendo molte scuse, stendendo la mano allo zio, al signor curato, a Cresti, prendendo il posto tra la zia e lo zio, guardando agli altri cogli occhi vuoti e distratti. Egli fece sapere che per il tocco aveva un'importantissima adunanza del Comitato dei Canottieri al Ravellino, dove sarebbe stata provata la forza di resistenza di due imbarcazioni: si voleva allenare una coppia di barcaiuoli e stabilire una graduatoria di premi; ma questo era nulla. Ciò che aveva scombussolato i suoi progetti e che lo aveva fatto comparire poco grazioso colla cara compagnia era un telegramma urgente dell'amico Bersi, che gli annunciava l'improvviso arrivo del Duca d'Aosta, il presidente onorario del club dei Canottieri. Questo l'aveva costretto a trasformare la sua toeletta; e la compagnia doveva perdonare non solo il ritardo, ma la confidenza del suo vestito mezzo da pescatore e mezzo da gentleman, cioè una maglia da canottiere sotto una giubba nera di società. Oltre a questo doveva anche chiedere il permesso di allontanarsi un po' presto, forse prima che fosse finita la colazione...

- Tutte cose importanti, una più dell'altra - interruppe con un filo d'ironia il Cresti.

- Per te non c'è nulla di più importante d'una conserva di pomodoro... ribeccò il giovine con burbanza.

- Questa almeno è ricchezza nazionale. Ma il vostro correre non vi serve che a pigliar caldo in agosto.

- Sei tu che corri?

- A me basta d'arrivare a tempo... - concluse il Cresti, piegando la testa verso Flora e abbassando la voce come se volesse parlare soltanto con lei e per lei.

- E tu, mio buon zio d'America, come hai ritrovata l'Italia dopo tanto tempo?

- È sempre il paese di Dio... - proclamò lo zio - Gira e rigira, un pezzo di lago come questo non lo trovi in nessun sito. Mi par di ricominciare a vivere.

- L'Italia - volle aggiungere il Cresti - sarebbe senza dubbio il più bel paese del mondo, se potesse essere liberata dagli italiani.

- Non prestare delle brutte parole al più buono degli zii, vecchio selvatico, coltivatore di patate... - gridò Ezio, che lanciava di tempo in tempo un'occhiata all'orologio. I suoi modi erano lieti e cortesi, ma gli occhi no; gli occhi dicevano ch'egli non vedeva l'ora di andarsene.

- Pare che tra voi due sia guerra dichiarata - osservò lo zio Massimo.

- Uno di noi due è di troppo sulla terra.. - disse il giovine.

I discorsi a poco a poco si mescolarono e si scaldarono al rumore delle forchette. Massimo aveva cento cose da raccontare di quei paesi di laggiù, della Bolivia, della Venezuela, dell'America centrale: e sentendo di essere ascoltato volentieri, si lasciava andare liberamente a discorrere, provando nella famigliarità dei cari parenti e degli amici il piacere e il riposo che prova il viaggiatore che può, dopo una lunga giornata d'incomoda carrozza, stendere e sgranchire le gambe in una buona poltrona.

Cresti fece una corte spietata a Flora. Lodò il bel vestito di mussolina a bolle bianche e celesti, lodò la collana di corallo, che faceva spiccare il candore marmoreo del collo; lodò le belle mani magre e lunghe, a cui non mancava che una cosuccia sopra un dito...

Mai il solitario del Pioppino era stato così eloquente e poetico; ma sentendosi in quest'assedio spalleggiato dalla madre, dalla zia, da Massimo, trovava nel vin bianco del suo amico Ezio un coraggio di cui quasi aveva egli stesso paura.

Flora stava a sentirlo senza turbarsi, senza ridere, senz'arrossire, senza rispondere, con una impassibilità che poteva parere attenzione: - Perchè Ezio non osava guardarla? perchè questa smania in lui di andarsene? perchè non si era lasciato vedere un momento prima? perchè quei suoi occhi avevano un fondo immobile di noia e di malcontento?

Non si era ancora arrivati al caffè che il giovine, confrontato il suo orologio con quello del caminetto, disse: - Cari miei, bisogna proprio che vada. Me ne duole assai, ma non vorrei che Sua Altezza andasse a Cadenabbia e non ci trovasse.

Pare che tu non abbia soltanto degli amici a Cadenabbia - azzardò con un tratto di sfida il misantropo del Pioppino, che in questa carta un po' arrischiata aveva il suo buon giuoco.

- Cioè? - disse Ezio, coll'aria beffarda di chi accetta la sfida.

- Si dice che sarebbe arrivata anche una certa famosa altezza... Chi me ne ha parlato? credo il Bersi quest inverno, quando tornò da Nizza.

- E se anche fosse, che te ne importa? troncò netto il giovine con un'alzata aspra del viso.

A Flora, che stava parlando di musica con Massimo non isfuggì una sola parola di questo breve dialogo, in cui Ezio affettò quasi del brutto cinismo: e la colpì il modo violento con cui egli uscì senza degnarla nemmeno d'un'occhiata. Cresti rideva del suo buon giuoco - Avete visto? pare che l'abbia toccato sul vivo. Come si chiama, donna Vincenzina, quella baronessa ex cantante di cui parlava quest'inverno il Bersi? Ci deve essere stato un piccolo dramma a Nizza tra lei e quell'altra, di nome spagnuolo. Son le prodezze di questi giovinotti.

Flora si mosse improvvisamente e andò incontro alla Bernarda, che entrava col vassoio del caffè. Glielo tolse di mano e passò a preparare il tavolino e le sedie nella veranda.

Aveva bisogno di essere sola un momento. Oh se avesse potuto buttarsi colla testa in terra, piangere, gridare! Da un'ora non facevano che tormentarla in tutti i modi; ma le ultime parole odiose del Cresti avevano finito col configgerle uno spillo nel cuore. Essa non sapeva nulla del dramma a cui si accennava, ma cominciava a sentire che quella donna dalle penne di struzzo era venuta sul lago in tempo per rompere la sua felicità. Si spiegò l'istintiva ripugnanza che le aveva ispirata la sua presenza: si spiegò l'improvviso mutamento di Ezio, che già cominciava a gustare le dolcezze dello studio e della vita domestica: si spiegò la freddezza delle sue parole, la morte de' suoi sguardi, il suo spirito eccitato e caustico..

Vedendolo passare, mentre si recava verso la scala della darsena, non stette più alle mosse; ma obbedendo all'impetuosa forza che l'avviluppò, gli andò dietro. Egli doveva dirle, almeno, in che cosa si credeva offeso.

Giunta all'ingresso della darsena, sentì la sua voce irritata gridare contro il povero Moschino, che doveva averne fatta una delle sue.

- Chi ti ha detto di toccare il canotto? ecco, asino calzato, ora mi hai fracassato il timone. Ah questa non te la perdono, manigoldo.

- Misericordia! - gridò Moschino con voce atterrita.

Alle parole tenne dietro un brusco e scatenato sballottamento di legni. Ezio era fuori di , con qualche ragione questa volta. Quel disgraziato nel maneggiare il suo bel canotto Morning Star gliel'aveva conficcato tra il battello pesante e il muro scabro della darsena con tanta grazia che il delicato timone era saltato via in due pezzi. E questo malanno quasi alla vigilia delle regate! C'era di che morir avvelenato di rabbia. E l'ira gli andò così veemente al cervello, che saltando dal canotto sul battello, con quel pezzo di timone rotto in mano, Ezio, preso il ragazzo per il petto, dopo averlo inchiodato sul muro, gli picchiò quel legno sulla zucca, fin che ne restò un mozzicone. Il sangue colò abbondante sul viso del ragazzotto, che andava gridando: - Padron, misericordia!

- Tu non sei amabile, stamattina - disse improvvisamente la signorina del Castelletto, scendendo gli scalini e comparendo non invitata e non aspettata ad assistere a quella brutta scena. - Nemmeno le bestie si trattano così.

- Ma le arcibestie sì - ribattè Ezio senza scomporsi. E continuando nelle sue minaccie, come se Flora non ci fosse, seguitò: - E pensa a sbrattare da casa mia, brutto imbecille. Non da mangiare alle bestie che mi rovinano i canotti, io.

- Ora hai gridato abbastanza - interruppe Flora che in questo frattempo s'era chinata a bagnare il fazzoletto nell'acqua e cercava di fermare il sangue della piccola ferita. Poi persuase Moschino a non dir nulla e a tornare in casa dove sarebbe venuta subito anche lei. Il ragazzo obbedì. Allora la fanciulla, che la pietà e lo sdegno rendevano animosa, si volse di nuovo al signorotto di Villa Serena e gli disse: - Prima di cacciar questo povero ragazzo dalla tua casa, dovresti cacciare quel brutto diavolo che hai indosso.

Essa fremeva tutta. Commossa alla vista del sangue e dell'ingiustizia, la Polonia si sollevò e parlò chiaro in tono di sfida, in cui entravano dei personali risentimenti.

Ezio, lieto in cuor suo che essa gli offrisse così a buon mercato il pretesto di rompere le buone relazioni diplomatiche, si alzò nel mezzo del battello e parve un gigante sotto la volta bassa e tenebrosa della darsena. Nella maglia bruna che lasciava nudo il collo e nude le braccia abbronzate dal sole il suo corpo di giovine atleta si disegnò nella plastica bellezza d'un busto di bronzo. E anche l'atteggiamento ebbe del plastico, quando, appuntando verso Flora quel mozzicone di timone che aveva in mano, le disse con un sottile sarcasmo: - Contessina, quando voglio ricevere lezioni da lei so dove sta di casa.

- Ezio! - gridò la povera Flora, opponendosi con un supremo sforzo a un fiotto largo di lagrime, che minacciava di soffocarla: - Perchè sei così cattivo con me stamattina?

- Son quel che voglio essere, in casa mia - ribeccò con collera nervosa.

- Sai che ti voglio bene, Ezio - si lasciò condurre a dire la poverina con un'espressione umile di supplica; ma Ezio, aveva già col remo distaccato il canotto, che scivolò a un secondo colpo fuor della darsena nella luce aperta e svoltò dietro l'argine d'ingresso.

Essa rimase sull'ultimo scalino, coi piedi quasi nell'acqua mossa, in cui la persona vestita di chiaro si sconnetteva tutta in una figura tremula e convulsa.

- Sai che ti voglio bene... - stava per ripetere, mentre stringeva la testa nelle mani, come se anche lei fosse stata percossa e tutto il sangue uscisse da quella ferita. - Ezio! Ezio! - avrebbe voluto gridare, scendendo in quell'acqua oscura per corrergli dietro; ma il suo orgoglio si ridestò impetuosamente e non volle più ch'essa piangesse e pregasse. Essa non aveva bisogno di avvilirsi fino alla viltà di quell'uomo. Se egli si era abbassato fino alla menzogna e se da una menzogna cercava di riscattarsi con una violenza, perchè doveva essa seguirlo nel suo fango? no, morire prima: piangere mai!

Intanto il signor vice ammiraglio con una vigoria di colpi che facevano volare il leggiero canotto sul pelo dell'acqua, pigliava il largo come un contrabbandiere che sa come, perduto il momento propizio, non si passa più. Da una settimana andava studiando il suo piano per far capire a una ingenua che non bisogna credere troppo ai temporali d'amore.

Acquazzoni di montagna! egli aveva voluto semplicemente scherzare.

Con un pizzico di malafede diplomatica oggi poteva dimostrarle che il torto è di chi si mescola negli affari altrui.

- Piglia il tuo tempo mentre passa; (diceva accanto a lui un cattivo diavolo) nelle guerre d'amore vince chi fugge.

Poichè l'animo non era del tutto pervertito bisogna anche dire che un senso di malcontento, quasi di rimorso, gli faceva parere pesanti i remi: ma il suo diavolo, seduto in poppa, al posto del timone spezzato, andava soffiandogli negli orecchi: - Via, via, alla larga dalle ragazze che piglian l'amore troppo sul serio.


 

 

 




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