VII.
Colpo di mitraglia.
Flora scese alla Villa insieme alla
mamma mezz'ora prima del tempo convenuto per la colazione, colla segreta
speranza d'incontrarlo in giardino: ma egli non era lì ad aspettarla alla
scaletta della darsena, come si era immaginata, nè si lasciò vedere nel
giardino.
Passando davanti alla veranda,
sentì invece la voce del Cresti, che parlava col signor curato,
- Faccio un giretto - disse la
fanciulla, quando furono per entrare; e corse verso il boschetto delle
magnolie, come se sperasse di trovarvi quel che era venuta a cercare o volesse
mettere tra lei e il desiderato incontro un nuovo atto di preparazione e di
raccoglimento.
Salì e discese la montagnola: e
giunta all'imboccatura della grotta, sedette ai piedi di un'antica statua di
Diana, in attitudine di donna stanca e smemorata, chiedendosi umilmente con
infantile semplicità: - Perchè non era lì ad aspettarmi?
Nella grotta di tufo dove marcivano
vecchie casse fuor d'uso, riconobbe una logora carriola di legno, in cui Ezio
l'aveva condotta le cento volte su e giù pel viale della montagnola. Erano
ancora le stesse piante, o quasi, magre e lunghe, che tremavano all'aria,
popolate di tortorelle e di rossignoli: era ancora lo stesso odore di lago
misto al più acre odore di canape che fanno marcire alla riva del torrente, un
cattivo odore carico di idee buone per quel che suscitava delle antiche
memorie. Che cosa era avvenuto di lei che le pareva d'esser così grande in
mezzo a queste piccole cose? E perchè tanta paura sul punto d'incontrarsi in
quel ragazzo, che l'aveva condotta, docile e obbediente come un buon cavallino,
nella carriola di legno? Perdio soffriva già tanto di non averlo visto ai piedi
della scaletta, come aveva sognato che ci dovesse essere? Pensò ch'egli fosse a
far toeletta. Il signorino mutava di vestiti almeno quattro volte al giorno.
Alla mattina scendeva in canotto in tela russa da marinaio: poi faceva
colazione colla matrigna in abito da casa: poi usciva in costume di società, e
qualche volta si lasciava imbrancare nella compagnia che, in maniche di
camicia, giocava alle boccie nel giardino del curato.
Flora non osava pensare ch'egli non
fosse lì a riceverla per un sentimento cattivo; ad ogni stormire di foglie
credeva di vederlo uscir fuori, tra pianta e pianta, e di sentir le sue mani
sugli occhi. Ma la campanella del cuoco suonò il secondo segnale senza che Ezio
venisse a scovarla dal suo nascondiglio, lì allora si rassegnò a entrare in
casa. Il Cresti la vide subito e corse a prenderla per mano per presentarla a
Massimo, che non volle riconoscere nella grande fanciulla, che aveva davanti,
la bambinella che si specchiava nei bottoni della montura. Di lei non era
rimasta quasi che la gran fiamma dei capelli, diventati un vulcano.
La zia Vincenzina la rimproverò
perchè era stata tanto tempo senza lasciarsi vedere; l'abbracciò, la carezzò,
le raddrizzò quel che c'era meno diritto in quel suo gran vestito di mussolina,
e finì di dirle sottovoce: - Ho un gran discorso a farti, in segreto. A tavola
ti ho messa vicino a Cresti: sii gentile con lui.
Il vecchio Andrea venne a dire che
la colazione era pronta: e tutti si avviarono verso il salotto.
Egli... egli non c'era ancora.
Flora girò gli occhi e fu per gridare: Dov'è? - Il Cresti venne a offrirle il
braccio, che essa accettò senza capire dove si andasse.
Si misero a tavola senza di lui: e
venne in tavola il secondo piatto prima che il padroncino facesse agli invitati
l'onore della sua presenza.
Flora stava già per piangere,
quando Ezio entrò in gran furia, chiedendo molte scuse, stendendo la mano allo
zio, al signor curato, a Cresti, prendendo il posto tra la zia e lo zio,
guardando agli altri cogli occhi vuoti e distratti. Egli fece sapere che per il
tocco aveva un'importantissima adunanza del Comitato dei Canottieri al
Ravellino, dove sarebbe stata provata la forza di resistenza di due
imbarcazioni: si voleva allenare una coppia di barcaiuoli e stabilire una
graduatoria di premi; ma questo era nulla. Ciò che aveva scombussolato i suoi
progetti e che lo aveva fatto comparire poco grazioso colla cara compagnia era
un telegramma urgente dell'amico Bersi, che gli annunciava l'improvviso arrivo
del Duca d'Aosta, il presidente onorario del club dei Canottieri. Questo
l'aveva costretto a trasformare la sua toeletta; e la compagnia doveva
perdonare non solo il ritardo, ma la confidenza del suo vestito mezzo da pescatore
e mezzo da gentleman, cioè una maglia da canottiere sotto una giubba nera di
società. Oltre a questo doveva anche chiedere il permesso di allontanarsi un
po' presto, forse prima che fosse finita la colazione...
- Tutte cose importanti, una più dell'altra
- interruppe con un filo d'ironia il Cresti.
- Per te non c'è nulla di più
importante d'una conserva di pomodoro... ribeccò il giovine con burbanza.
- Questa almeno è ricchezza
nazionale. Ma il vostro correre non vi serve che a pigliar caldo in agosto.
- Sei tu che corri?
- A me basta d'arrivare a tempo...
- concluse il Cresti, piegando la testa verso Flora e abbassando la voce come
se volesse parlare soltanto con lei e per lei.
- E tu, mio buon zio d'America,
come hai ritrovata l'Italia dopo tanto tempo?
- È sempre il paese di Dio... -
proclamò lo zio - Gira e rigira, un pezzo di lago come questo non lo trovi in
nessun sito. Mi par di ricominciare a vivere.
- L'Italia - volle aggiungere il
Cresti - sarebbe senza dubbio il più bel paese del mondo, se potesse essere
liberata dagli italiani.
- Non prestare delle brutte parole
al più buono degli zii, vecchio selvatico, coltivatore di patate... - gridò
Ezio, che lanciava di tempo in tempo un'occhiata all'orologio. I suoi modi
erano lieti e cortesi, ma gli occhi no; gli occhi dicevano ch'egli non vedeva
l'ora di andarsene.
- Pare che tra voi due sia guerra
dichiarata - osservò lo zio Massimo.
- Uno di noi due è di troppo sulla
terra.. - disse il giovine.
I discorsi a poco a poco si
mescolarono e si scaldarono al rumore delle forchette. Massimo aveva cento cose
da raccontare di quei paesi di laggiù, della Bolivia, della Venezuela,
dell'America centrale: e sentendo di essere ascoltato volentieri, si lasciava
andare liberamente a discorrere, provando nella famigliarità dei cari parenti e
degli amici il piacere e il riposo che prova il viaggiatore che può, dopo una
lunga giornata d'incomoda carrozza, stendere e sgranchire le gambe in una buona
poltrona.
Cresti fece una corte spietata a
Flora. Lodò il bel vestito di mussolina a bolle bianche e celesti, lodò la
collana di corallo, che faceva spiccare il candore marmoreo del collo; lodò le
belle mani magre e lunghe, a cui non mancava che una cosuccia sopra un dito...
Mai il solitario del Pioppino era
stato così eloquente e poetico; ma sentendosi in quest'assedio spalleggiato
dalla madre, dalla zia, da Massimo, trovava nel vin bianco del suo amico Ezio
un coraggio di cui quasi aveva egli stesso paura.
Flora stava a sentirlo senza
turbarsi, senza ridere, senz'arrossire, senza rispondere, con una impassibilità
che poteva parere attenzione: - Perchè Ezio non osava guardarla? perchè questa
smania in lui di andarsene? perchè non si era lasciato vedere un momento prima?
perchè quei suoi occhi avevano un fondo immobile di noia e di malcontento?
Non si era ancora arrivati al caffè
che il giovine, confrontato il suo orologio con quello del caminetto, disse: -
Cari miei, bisogna proprio che vada. Me ne duole assai, ma non vorrei che Sua
Altezza andasse a Cadenabbia e non ci trovasse.
Pare che tu non abbia soltanto
degli amici a Cadenabbia - azzardò con un tratto di sfida il misantropo del
Pioppino, che in questa carta un po' arrischiata aveva il suo buon giuoco.
- Cioè? - disse Ezio, coll'aria
beffarda di chi accetta la sfida.
- Si dice che sarebbe arrivata
anche una certa famosa altezza... Chi me ne ha parlato? credo il Bersi quest
inverno, quando tornò da Nizza.
- E se anche fosse, che te ne
importa? troncò netto il giovine con un'alzata aspra del viso.
A Flora, che stava parlando di
musica con Massimo non isfuggì una sola parola di questo breve dialogo, in cui
Ezio affettò quasi del brutto cinismo: e la colpì il modo violento con cui egli
uscì senza degnarla nemmeno d'un'occhiata. Cresti rideva del suo buon giuoco -
Avete visto? pare che l'abbia toccato sul vivo. Come si chiama, donna
Vincenzina, quella baronessa ex cantante di cui parlava quest'inverno il Bersi?
Ci deve essere stato un piccolo dramma a Nizza tra lei e quell'altra, di nome
spagnuolo. Son le prodezze di questi giovinotti.
Flora si mosse improvvisamente e
andò incontro alla Bernarda, che entrava col vassoio del caffè. Glielo tolse di
mano e passò a preparare il tavolino e le sedie nella veranda.
Aveva bisogno di essere sola un
momento. Oh se avesse potuto buttarsi colla testa in terra, piangere, gridare!
Da un'ora non facevano che tormentarla in tutti i modi; ma le ultime parole
odiose del Cresti avevano finito col configgerle uno spillo nel cuore. Essa non
sapeva nulla del dramma a cui si accennava, ma cominciava a sentire che quella
donna dalle penne di struzzo era venuta sul lago in tempo per rompere la sua
felicità. Si spiegò l'istintiva ripugnanza che le aveva ispirata la sua
presenza: si spiegò l'improvviso mutamento di Ezio, che già cominciava a
gustare le dolcezze dello studio e della vita domestica: si spiegò la freddezza
delle sue parole, la morte de' suoi sguardi, il suo spirito eccitato e
caustico..
Vedendolo passare, mentre si recava
verso la scala della darsena, non stette più alle mosse; ma obbedendo all'impetuosa
forza che l'avviluppò, gli andò dietro. Egli doveva dirle, almeno, in che cosa
si credeva offeso.
Giunta all'ingresso della darsena,
sentì la sua voce irritata gridare contro il povero Moschino, che doveva averne
fatta una delle sue.
- Chi ti ha detto di toccare il
canotto? ecco, asino calzato, ora mi hai fracassato il timone. Ah questa non te
la perdono, manigoldo.
- Misericordia! - gridò Moschino
con voce atterrita.
Alle parole tenne dietro un brusco
e scatenato sballottamento di legni. Ezio era fuori di sè, con qualche ragione
questa volta. Quel disgraziato nel maneggiare il suo bel canotto Morning
Star gliel'aveva conficcato tra il battello pesante e il muro scabro della
darsena con tanta grazia che il delicato timone era saltato via in due pezzi. E
questo malanno quasi alla vigilia delle regate! C'era di che morir avvelenato
di rabbia. E l'ira gli andò così veemente al cervello, che saltando dal canotto
sul battello, con quel pezzo di timone rotto in mano, Ezio, preso il ragazzo
per il petto, dopo averlo inchiodato sul muro, gli picchiò quel legno sulla
zucca, fin che ne restò un mozzicone. Il sangue colò abbondante sul viso del
ragazzotto, che andava gridando: - Padron, misericordia!
- Tu non sei amabile, stamattina - disse
improvvisamente la signorina del Castelletto, scendendo gli scalini e
comparendo non invitata e non aspettata ad assistere a quella brutta scena. -
Nemmeno le bestie si trattano così.
- Ma le arcibestie sì - ribattè
Ezio senza scomporsi. E continuando nelle sue minaccie, come se Flora non ci
fosse, seguitò: - E pensa a sbrattare da casa mia, brutto imbecille. Non dò da
mangiare alle bestie che mi rovinano i canotti, io.
- Ora hai gridato abbastanza -
interruppe Flora che in questo frattempo s'era chinata a bagnare il fazzoletto
nell'acqua e cercava di fermare il sangue della piccola ferita. Poi persuase
Moschino a non dir nulla e a tornare in casa dove sarebbe venuta subito anche
lei. Il ragazzo obbedì. Allora la fanciulla, che la pietà e lo sdegno rendevano
animosa, si volse di nuovo al signorotto di Villa Serena e gli disse: - Prima
di cacciar questo povero ragazzo dalla tua casa, dovresti cacciare quel brutto
diavolo che hai indosso.
Essa fremeva tutta. Commossa alla
vista del sangue e dell'ingiustizia, la Polonia si sollevò e parlò chiaro in
tono di sfida, in cui entravano dei personali risentimenti.
Ezio, lieto in cuor suo che essa
gli offrisse così a buon mercato il pretesto di rompere le buone relazioni
diplomatiche, si alzò nel mezzo del battello e parve un gigante sotto la volta
bassa e tenebrosa della darsena. Nella maglia bruna che lasciava nudo il collo
e nude le braccia abbronzate dal sole il suo corpo di giovine atleta si disegnò
nella plastica bellezza d'un busto di bronzo. E anche l'atteggiamento ebbe del
plastico, quando, appuntando verso Flora quel mozzicone di timone che aveva in
mano, le disse con un sottile sarcasmo: - Contessina, quando voglio ricevere
lezioni da lei so dove sta di casa.
- Ezio! - gridò la povera Flora,
opponendosi con un supremo sforzo a un fiotto largo di lagrime, che minacciava
di soffocarla: - Perchè sei così cattivo con me stamattina?
- Son quel che voglio essere, in
casa mia - ribeccò con collera nervosa.
- Sai che ti voglio bene, Ezio - si
lasciò condurre a dire la poverina con un'espressione umile di supplica; ma
Ezio, aveva già col remo distaccato il canotto, che scivolò a un secondo colpo
fuor della darsena nella luce aperta e svoltò dietro l'argine d'ingresso.
Essa rimase lì sull'ultimo scalino,
coi piedi quasi nell'acqua mossa, in cui la persona vestita di chiaro si
sconnetteva tutta in una figura tremula e convulsa.
- Sai che ti voglio bene... - stava
per ripetere, mentre stringeva la testa nelle mani, come se anche lei fosse
stata percossa e tutto il sangue uscisse da quella ferita. - Ezio! Ezio! -
avrebbe voluto gridare, scendendo in quell'acqua oscura per corrergli dietro;
ma il suo orgoglio si ridestò impetuosamente e non volle più ch'essa piangesse
e pregasse. Essa non aveva bisogno di avvilirsi fino alla viltà di quell'uomo.
Se egli si era abbassato fino alla menzogna e se da una menzogna cercava di
riscattarsi con una violenza, perchè doveva essa seguirlo nel suo fango? no,
morire prima: piangere mai!
Intanto il signor vice ammiraglio
con una vigoria di colpi che facevano volare il leggiero canotto sul pelo
dell'acqua, pigliava il largo come un contrabbandiere che sa come, perduto il
momento propizio, non si passa più. Da una settimana andava studiando il suo
piano per far capire a una ingenua che non bisogna credere troppo ai temporali
d'amore.
Acquazzoni di montagna! egli aveva
voluto semplicemente scherzare.
Con un pizzico di malafede
diplomatica oggi poteva dimostrarle che il torto è di chi si mescola negli
affari altrui.
- Piglia il tuo tempo mentre passa;
(diceva accanto a lui un cattivo diavolo) nelle guerre d'amore vince chi fugge.
Poichè l'animo non era del tutto
pervertito bisogna anche dire che un senso di malcontento, quasi di rimorso,
gli faceva parere pesanti i remi: ma il suo diavolo, seduto in poppa, al posto
del timone spezzato, andava soffiandogli negli orecchi: - Via, via, alla larga
dalle ragazze che piglian l'amore troppo sul serio.
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