X.
Le Regate.
Le Regate ebbero luogo la prima
domenica di settembre nel vasto bacino del lago, che si apre tra Bellagio e
Cadenabbia. Era stabilito che le vele dovessero partire dalla punta di
Barbianello e le barche a remi dalla Cappelleria presso S. Giovanni per approdare
allo sbarco della villa Maria poco più in alto del grand'Hôtel Britannia.
Lungo la strada davanti alla Villa
era stati rizzati i palchi addobbati con maggior o minore sfarzo a seconda dei prezzi,
con grande sfoggio di bandiere e di pennoni che animavano l'aria coi loro
vivaci colori.
Nel giardino, dove insieme alla
folla privilegiata e colle patronesse si sarebbe radunato il Consiglio della
giurìa, era stato eretto un ampio e superbo padiglione sfolgorante di emblemi,
dove sopra un trofeo splendevano i vasi, le coppe, i piatti cesellati, di vero
o falso argento, tra le bandiere di seta ricamate d'oro che il Comitato
destinava ai campioni vincitori.
Il programma stampato in piccoli
libri di forma graziosa e diffuso a migliaia di copie, oltre ai nomi dei
concorrenti e all'ordine delle gare, recava il disegno in fototipia dei premi
più ricchi, insieme col ritratto dei membri del Comitato, che a questa
industria delle gare, così utile al commercio del popolo, dedicavano le ore che
avrebbero potuto consacrare a far nulla. Tutto era stato previsto, a tutto era
stato dedicato un pensiero: ma nulla sarebbe riuscito, se il tempo non fosse
stato d'accordo col desiderio di coloro che amano divertirsi e di quelli più
furbi e più delicati, che amano veder divertirsi gli altri.
Già dalle prime ore del mattino don
Malachia assicurò che la giornata non avrebbe avuto un nuvoletto, ma non osò
promettere il vento, un capricioso che, come la fortuna, abbandona spesso i
suoi sul più bello. Ma se le corse a vela potevano correre pericolo di restar a
mezzo per mancanza di fiato, il lago era quel che ci voleva per mettere alla
prova la vigoria, la resistenza e l'occhio dei rematori: non era un lago ma un
biliardo.
Il popolo, che ama vedere la
bravura delle braccia, la lotta aperta dell'uomo col remo e col peso della
barca, fin dalle prime ore del giorno fu in moto: e finite le funzioni
religiose nelle chiese, dai paesetti lungo le rive e da quelli che stanno sulla
montagna cominciò a moversi in folla e a confluire verso Cadenabbia, mescolando
i colori vistosi dei vestiti di festa, godendo della bella giornata, facendo
pronostici e scommesse, rievocando le regate d'altri tempi, le vecchie glorie,
le non mai morte gelosie.
Aperte le ville, aperti e addobbati
gli alberghi, popolato il lago di barchette, rallegrata l'aria dal suono delle
bande che i vari paeselli mandavano a gara, già la festa era sul cominciare,
quando arrivò verso le due un gran battello a vapore da Como, sovraccarico di
gente, tutto festoso di bandieruole svolazzanti, con su un paio di altre bande
a bordo vestite come gli usseri; e tutta questa gente cominciò a discendere in
una fila interminabile al ponte di sbarco, mescolando piume e strumenti
luccicanti, si sparse per le strade, per le case, per le osterie, su per i
palchi a pagamento: era un incontrarsi e un salutarsi allegro di persone che
non si vedevano da un pezzo, uno stringersi di mani, un confondersi confidente
di tutte le classi sociali, dal barcaiuolo, dal pescatore, dal sonatore
d'organetto, dal venditore di dolci, al negoziante, al grosso industriale, al
banchiere, alla contessa, al lord inglese: un viver lieto nella luce ampia e
diffusa di una di quelle belle giornate d'estate, in cui più dispiacerebbe di
morire, in una gioia naturale che vien dalla benevolenza stessa della natura,
che quando l'uomo sa fare, non lesina i godimenti a' suoi figliuoli.
Amedeo, pettinato come uno sposino,
tutto fresco nel suo vestito nuovo alla marinara, quando gli amici verso il
tocco vennero a pigliarlo alla casetta del torrente, scese con Bortolo e colle
donne alla riva deserta, e fattosi il segno della croce, entrò nella barca che
doveva condurlo alla Cappelletta.
L'emozione non lo lasciava parlare
e parve a tutti ch'egli fosse un pò scoraggiato.
- Ci penseremo noi a fargli passare
la tremarella con un paio di bicchieri di vecchia rabbiosa - dissero i
compagni.
- E soprattutto - raccomandò
Bortolo - adagio se vuoi arrivare a tempo.
- E bacia la medaglia della Madonna
- aggiunse Regina, che non sapeva più dove avesse il cuore.
Con un'altra barca Bortolo, Regina,
Maria Giulia, la Nunziata del Castelletto con un'altra figliuola di nome
Costanza si fecero condurre all'osteria del Galletto, poco su della strada di
Griante, un luogo tenuto da un parente di Bortolo, da dove si potevano dominare
e seguire molto bene i movimenti delle barche e tutta la festa che brulicava
disotto.
Flora, quando li vide passare sotto
il Castelletto, fece un segnale e li pregò di prenderla con loro.
- Come? - disse Regina, quando la
barca toccò la riva - vuol venire in questa barca così alla buona? non va colla
mamma e colla zia?
- La mamma ha i suoi dolori e la
zia deve trovarsi col signor Cresti e con altri signori sul gran balcone
dell'Albergo. Se non vi disturbo, preferisco venire con voi.
- Noi andiamo al Galletto - disse
Bortolo - da quel nostro parente che fa l'oste.
- Ci sarà un posto anche per me -
disse Flora, mettendosi a sedere sul nudo sedile tra Regina e Costanza.
- Credevo che il signor Ezio avesse
riservato per loro dei buoni posti nel palco del Comitato - disse Regina, che
da qualche tempo andava notando sul volto della signorina qualche cosa di
insolitamente triste.
- Ha mandato dei biglietti, ma non
conosco nessuno di quei signori. Preferisco venir con voi.
- Perchè non si è messo il suo bel
vestito chiaro? - provò a chiedere Regina, chinandosi a toccare il vestito nero
sciupato, mal assestato in vita, che Flora portava alle Regate come una
protesta contro la gioia di tutti. Essa rispose con una spallata e girò lo
sguardo per il piano dell'acqua come se cercasse lontano una ragione per non
rispondere.
La barca spinta dai colpi lenti e
pesanti dei due remi passò davanti a Tremezzo, in mezzo al fitto viavai delle
barchette d'ogni foggia e d'ogni colore, che scaricavano o pigliavano gente.
Dai balconi pavesati, dalle finestre, dai terrazzi delle case, dai pergolati,
dai giardini era un continuo chiamare, uno schiamazzio di voci femminili, di
risa, di pianoforti e di mandolini, un rimescolarsi di cappellini infiorati, di
parasoli dai colori vivaci, di canotti che si distaccavano dalle darsene come
canestri galleggianti di fiori, di barche e barcaccie che menavano cori di
ragazze, cantanti le arie del filatoio, di lancette e di sandolini che
guizzavano come pesci, mentre dalle case i servitori, le fantesche, i cuochi,
sui muriccioli e sulle scale andavano stendendo le file dei palloncini, che
dovevano servire per la illuminazione della sera.
Quando dal giardino della villa
Maria, si sparò il primo colpo di cannoncino, che segnava il principio della
gara, fu un crescere improvviso di tutte quelle voci, un affollarsi di tutte
quelle imbarcazioni, che mossero come una flottiglia verso Cadenabbia, finchè
si raccolsero in una piccola città galleggiante. Bortolo sforzò anche lui la
macchina e venne colla barca a un approdo quasi nascosto tra i muri di due
terrazze, d'onde, salendo per un brutto viottolo, si riusciva sulla strada di
Griante quasi davanti all'osteria del Galletto.
Flora, attraversato un piccolo
orto, condotta dalla brigatella, si trovò sotto un pergolato lungo il
muricciolo, che dominava come un balcone il padiglione e i viali della villa,
già gremiti di una folla elegantissima di signori e di signore!
Dalla torre del palazzo fu sparato
un secondo colpo: la banda intonò un inno popolare patriottico che destò gli
entusiasmi e gli applausi della folla, che si pigiava nei palchi e nelle
barche, mentre un gran personaggio (chi diceva un principe, chi diceva perfino
che fosse il re) scendeva da una peota veneziana condotta da otto rematori, che
strascinava il lembo della sua bandiera nell'acqua.
I signori del Comitato muovono
ansiosi incontro all'illustre personaggio, che sale la scalinata del
padiglione, seguito da alcuni ufficiali in divisa. Cominciano le presentazioni,
gli omaggi, gl'inchini, le strette di mano, i sorrisi delle belle signore, che
hanno sfoggiato per questa circostanza le più fosforescenti acconciature...
quand'ecco il terzo colpo di cannone avvisa che il giuoco incomincia.
Alla punta di Barbianello chi ha
buona vista vede o crede di veder guizzare nell'acqua qualche cosa di bianco:
sono i canotti a vela. Si muovono? non si muovono? chi lo sa. Visti da lontano
sembrano uccellacci imbalsamati dall'ali bianche: ma poco importa, pare, di
quel che fanno o non fanno alla gran folla accorsa a godere sè stessa, a
spandere alla bell'aria e al sole la gioia d'una giornata libera e senza
affanni. Quel dì, ciascuno aveva cercato di lasciare a casa i suoi.
Meno che a tutti gli altri importa
a Flora di sapere chi vincerà e chi perderà. Seduta sul muricciuolo del
giardinetto, appoggiata la testa al tronco di un vecchio gelso che la protegge
dai rami del sole, lascia che i suoi sguardi pieni di una triste stanchezza si
perdano nel gran brulichìo delle cose che la circondano, ma non vede quasi
nulla. Intorno a lei è il frastuono d'una gran gioia. Regina vien spesso a
parlarle de' suoi palpiti, c'è chi l'invita a scegliere un posto più bello:
Bortolo vuole offrirle un cuscino, perchè non abbia a sentir il freddo del
sasso. Essa risponde e si difende amorevolmente, vincendo una specie di
violenza interiore che vuol trascinarla a piangere e a gridare.
Comunque vadano le cose, Amedeo ha
promesso di venir subito dopo la corsa al Galletto a bere un bicchiere, o anche
due, coi parenti.
Sotto il pergolato le ragazze
stendono una tovaglia e tratti dai panieri le torte e i cibi freddi preparano
la tavola su cui Bortolo e il cognato dispongono le bottiglie. Se sarà la vittoria
ne verranno delle altre...
I vicini fanno i più sicuri
pronostici su Amedeo, che è conosciuto come uno dei più bravi barcaioli del
lago: e obbligano Regina a bere un mezzo bicchiere di vin bianco per tener su
lo spirito, quasi che toccasse a lei a batter quei di Dongo: e c'è chi celia
sulla forza che una donna può dare e può togliere a un uomo... Ma Flora a cui
arriva il bisbiglio dei discorsi non capisce che la sua tristezza.
Non solamente Ezio non si era
lasciato più vedere al Castelletto, nè aveva mandato a dire una parola di
scusa; ma per dichiarar bene il suo pensiero non aveva nemmeno inviato quei tre
o quattro biglietti di invito che aveva promesso. Dovette correre Cresti a
cercarli: ma Flora dichiarò che non si sentiva di andar tra la gente... La
mamma che vedeva avverarsi quel che aveva sempre temuto, non osò contraddirla e
si fece venire i suoi dolori articolari. Così ormai si metteva la sua vita ed
era a domandarsi perchè fosse venuta a rattristare col suo viso duro la buona
allegria di questa povera gente. Quale malsana curiosità l'aveva spinta a
cercare nella festa un'altra prova della sua miseria? non era abbastanza
convinta dell'umiliazione sua? e quando avesse raccolta una prova di più, che
le poteva giovare? che può giovare il conoscere lo strumento di tortura che ti
deve straziare?
Colla testa appoggiata al tronco,
le mani avvinghiate ai ginocchi, socchiudendo spesso gli occhi davanti a un
ostile visione, provava di tanto in tanto l'amara voluttà di abbandonarsi a
strani sogni di odio o di vendetta. Davanti a quella festa variopinta e al
trionfo di tante belle creature, sfolgoranti nell'oro e nei diamanti, essa
sentiva risorgere un violento spirito di ribellione e di anarchia per tutto
quel che vedeva rubato a lei. Se non poteva più amare quel che era suo, ch'era
sempre stato suo fin dalla fanciullezza, nessuno le poteva contendere il
diritto di odiare.
Gettando lo sguardo su quel
giardino di sfolgoranti bellezze, non poteva sottrarsi alla mortificazione di
qualche confronto tra l'oscurità del suo destino di ragazza appassita nella
solitudine, e il trionfo di quelle belle signore a cui sorrideva la vita con
tutti gli incanti della bellezza, della ricchezza, dell'amore. Troppo aveva
contato sopra se stessa, lo sentiva, quel giorno che si era lusingata di
vincere con uno sforzo del suo cuore le mille seduzioni che la femminilità
splendente e ridente offre a un giovine bello, ricco, geniale, desideroso di
emozioni e di pericoli. Cresciuta nell'uggia incresciosa della sua mediocrità,
misero arbusto all'ombra, aveva osato chiedere a un giovine eroe, pel quale
amare voleva dire trionfare e le donne erano belle prede di guerra, un troppo
grande sacrificio. Essa era stata punita della sua presunzione. Forse aveva
fatto bene a procurarsi questa persuasione, a vedere cogli occhi suoi la verità
di queste condizioni. Per quanto il suo orgoglio ne uscisse scornato, pure
cominciava a sentire che la pazza, la pretenziosa, la sciocca era stata lei,
lei la monaca del Castelletto, la povera strimpellatrice di musica, lei, la
bisognosa che non aveva nemmeno un vestito di moda per assistere alle regate,
che rifiutava con irragionevole orgoglio l'affettuosa proposta d'un galantuomo
come Cresti, il quale avrebbe potuto farla sedere su un trono, vestirla di drappo
e di seta come tutte le altre, adornarla di oro e di diamanti... e tutto ciò
per correr dietro al fantasma d'un amore che l'umiliava e la rendeva cattiva...
- Partono adesso... - susurrò
Regina con voce tremante, accostandosi alla signorina, che correva dietro alla
corsa vertiginosa dei suoi pensieri. - Mi lasci star qui, accanto a lei.
Madonna, aiutate quel poverino! Vede laggiù quelle due barche? la bandiera
bianca è la nostra.
Flora si scosse dal suo torpore e
cercò cogli occhi le due barche, che non più grandi di due ciotole venivano
colla punta verso Cadenabbia.
Un leggero svolazzo delle bandiere
e un cadenzato moto dei remi, che uscivano luccicanti dall'acqua, eran segni
che già la gara era incominciata e che in quelle piccole ciotole galleggianti
nei flutti fosforescenti battevano dei cuori e nei cuori delle speranze.
Altri cuori cominciarono a battere
nella folla quando uscite dal riverbero solare, le barche, cinque in tutto, si
disegnarono più nette in una riga nel fondo ombroso del monte e si potè discernere
il colore delle bandiere. Ogni barca aveva due battellieri, che remavano in
piedi: già si poteva dai più pratici riconoscere la statura e la battuta di
ciascuno. Quei di Dongo erano ancora davanti a tutti, quasi la misura di due
battelli; poi venivano quei di Cernobbio. Amedeo era tra il terzo e il
quarto...
L'oste, Bortolo, gli amici di casa,
le donne, le ragazze stavan lì cogli occhi fermi, presi già dal fascino della
gara, non osando quasi di parlare per non guastar il desiderio.
- È la rossa davanti. - No, è la
turchina. - Amedeo si è tenuto da conto, è il consiglio che gli ho dato io.
Vedrete verso la fine. - Ahi, Cernobbio perde acqua. - Qua, qua, don Malachia,
che ne dice? Bortolo fece posto al vecchio rettore, che era venuto quasi a corsa
sotto il sole.
- Dove sono? vediamo... - e
facendosi aiutare volle salire sul muricciolo per dominar meglio la posizione.
Fattosi visiera colla mano, dopo aver strologato il lago, l'aria, lo spazio tra
le barche e la riva: - Non si può ancora dir nulla - sentenziò - tutto dipende
dai polmoni. La battuta dei nostri è buona, e se quei di Dongo non hanno fatto
patto col diavolo, potrebbero avere un osso duro da rosicchiare. In cinque
minuti Napoleone ha vinto e ha perso delle battaglie.
Tacquero tutti in devoto
raccoglimento, attenti a quel che il prete diceva. Vecchio laghista, figlio
anche lui di barcaiolo, don Malachia in sessantacinque anni ne aveva viste
arrivare delle barche e anche molte andare a fondo, proprio come capita nella
vita.
Chi arriva, chi resta a mezzo, chi
si lascia cogliere dal cattivo tempo, chi parte per un luogo e approda a un
altro, chi s'imbarca e non torna più. Tanto nella vita come nella barca, dove
non soccorre la fortuna del vento, bisogna supplire colla forza delle braccia e
fidare pel rimanente nel Padrone dell'aria e dell'acqua.
- Senta come mi batte il cuore... -
disse sottovoce Regina, posandosi la mano inerte e rigida di Flora sul petto.
- Meglio... - fece costei, che
sentiva il suo farsi piccino e duro come un ciotolo.
- È come fare una malattia.
- Certo: e ci si muore anche.
Mentre così sussurravano all'ombra
del gelso, un grande movimento si produsse accompagnato da un improvviso
bisbiglio di tutta la moltitudine.
- Ecco, ecco... - sclamò il vecchio
prete - -Amedeo si muove, tocca quei di Dongo a randa: attenti: il fiocco va
fuori, va, va: mezza barca è fuori... Bella volata, corpo di mille bombe!
bravi, bravo Amedeo. Su vispa, Regina... - E che taglio netto, avete visto?...
eh, eh, vien fuori anche la coda... Zitto, figliuoli; o mi sbaglio, o Tremezzo
stavolta batte la campagna. -
- Forza, Amedeo! - gridò anche
Bortolo, facendo conca colle mani.
La folla elegante del giardino e
quella che si accalcava nei palchi, nelle barche, si agitò, come un prato di
fiori alti in cui scenda un soffio di vento. Un gran tumulto d'incoraggiamento
partì da tutte le parti.
Regina che teneva le mani di Flora,
quando vide che Amedeo pigliava la testa, si scosse, saltò in piedi anche lei
sul muro e agitando il fazzoletto, cominciò a gridare: Viva, viva, viva!
Maria Giulia e la Santina
piangevano di gioia, mentre don Malachia, battendo le mani, faceva tripudio
colle gambette secche come si balla a quindici anni.
- Una barca e mezza è fuori... E
non si perde un'oncia, per bia! ah polentoni quei di Dongo! Già portan fuori la
bandiera... Su, su una bella volata finale. Benone! stupendissimamente bene!
Avete visto che arcate di violino?
Così andava commentando il prete.
Un grande clamore e un confuso agitarsi di mani, di fazzoletti, di cappelli
salutò gli ultimi trenta colpi di remo, che fecero volare Tremezzo al traguardo
col vantaggio almeno d'una dozzina di barche. I signori del Comitato si
precipitarono verso i vincitori e li condussero quasi in trionfo davanti al
padiglione, dove furono circondati dalle patronesse, acclamati dalle signore.
L'illustre personaggio volle stringere la ruvida mano dei valorosi barcaioli,
che ricevuta la bandiera, uscirono a corsa incontro agli amici.
Furono subito presi in mezzo e
portati fin al Galletto, Bortolo, Maria Giulia, la mamma, il prete corsero
fuori; ma Regina corse più di tutti col suo scialle di lana aperto nelle mani,
e quando vide il suo Amedeo venir a corsa sudato e trafelato l'avviluppò nello
scialle e lo strinse nelle braccia, lasciando ch'egli la baciasse sulle gote
con una sfacciataggine che don Malachia non aveva mai vista l'eguale.
Flora, inosservata mentre tutti
correvano a prendere i bicchieri, si tirò in disparte e seguendo un vialetto,
andò a celarsi in fondo a un cortile, presso il fienile, dove alcune galline
razzolavano tranquille fuori dai rumori della festa. Essa non volle guastare
colla sua rigida presenza la gioia espansiva di quella povera gente, che senza
aver letto troppi libri, o avendone letto uno solo dalle grosse parole, sapeva
tuttavia misurare gli affetti a quel che dà la sorte, spendere bene l'interesse
naturale che fruttava a loro il modesto tesoro della vita, mentre altri non sa
trarre dalle sensazioni che compera alla bottega della vanità se non tristezza
e afflizione di spirito. Avviene della contentezza come dell'appetito, che non
dipende mai dal piatto in cui si mangia.
Io per la prima sono colpevole di
questa incontentabilità - pensava e rimproveravasi la fanciulla, fissando gli occhi
sulla riga azzurra del lago, che disegnavasi dietro una siepe di pomidoro.
Per non aver voluto andare con
Cresti aveva disgustato un vecchio e fedele amico, amareggiata la mamma e
procurata a sè stessa l'aspra sensazione di non essere nè cercata nè desiderata
da Ezio.
Aveva ben altro per la testa il
signor vice-ammiraglio che di pensare a lei!
E così eccola qui rincantucciata
nell'angolo di un fienile, in compagnia delle galline, invidiosa dell'altrui
felicità, vergognosa di non saper godere nemmeno di quel poco che faceva
ballare don Malachia sul muricciuolo. A questo punto si mosse come se obbedisse
al comando di una voce interna. Non voleva soffrir più. Nulla di più umiliante
che il farsi vittima di sè stessi. Al di sopra delle illusioni sta la verità e
chi non ama la verità è un disgraziato che vive dormendo.
Una buona scossa d'orgoglio doveva
svegliarla. La mendicante doveva cedere il posto alla signora, alla contessa,
alla Polony che aveva diritto di comandare e di redimersi con un atto di sacro
orgoglio. Dove vien meno un piccolo piacere della vita, c'è sempre il posto per
un grande dovere.
Il pensiero della povera mamma
rimasta a casa sola le fece desiderare di tornar presto. Bortolo si offrì di
riaccompagnarla colla barca fino al Castelletto e nel breve tragitto Flora si
lasciò distrarre e portar via dalla gioia e dai discorsi dei suoi compagni di
viaggio. Più di tutti era felice la buona Regina, che la gioia mescolata a
qualche bicchieretto di vin bianco rendeva più ciarliera del solito e come raggiante
di una nuova bellezza.
*
* *
Poco prima delle case di Tremezzo
la barca s'incrociò e quasi venne urtata dalla lancia dell'Hôtel Bellagio,
che un ragazzetto vestito di verde col cappello alla marinara guidava con poca
esperienza. Bortolo gli diè sulla voce e lo mandò a imparare il mestiere.
- Ci vuol altro che il cappello
alla marinara, Moschino - gli gridò dietro, quando ebbe riconosciuto nel
ragazzo il servitorello di villa Serena. - Mangia un po' di pane ancora prima
di menar a spasso i forestieri. - Moschino, cacciato da Ezio, aveva trovato
questo posto presso un vecchio signore americano arcimilionario, che abitava in
una dipendenza dell'Hôtel Bellagio. Seduta, per non dire sdraiata
mollemente ai fianchi del vecchio negoziante di merluzzi, che dopo aver
ammucchiati i dollari veniva a buttarli via in Europa, stava in uno spumoso
vestito bianco una giovane bellissima, che poteva essere sua figlia. Ma Bortolo
aveva sentito dire che la bella creatura era semplicemente una dama di
compagnia.
- Addio a tutti, e grazie,
Bortolo... - disse la signorina, scendendo al Castelletto, mentre già
cominciava a imbrunire. Salì la scala del giardino e trovò la mamma sola, tutta
ravvolta ne' suoi scialli sulla terrazza, seduta nella sua poltroncina di
vimini, già nascosta dalla semioscurità della sera.
- O povera mammetta, che sei
rimasta sempre sola - disse la figliuola, correndo verso di lei,
inginocchiandosi, circondandola, come soleva fare nei momenti buoni, colle sue
braccia. - Avrei dovuto restar anch'io a tenerti compagnia. Quanta gente,
avessi visto! grande vittoria per Tremezzo; Amedeo fu portato in trionfo; le
vele invece son rimaste a mezza via... Ma tu, poverina, avrai fame. Vieni in
casa mammetta, che accendo la lucerna e ti preparo il solito caffè e latte. Mi
par quasi di aver fame anch'io come se avessi vogato e vinto.
La signora Matilde era rimasta in
compagnia di cattivi presentimenti. Pur troppo vedeva avverarsi quel che aveva
sempre temuto. Flora non aveva voluto andare con Cresti sul balcone dell'albergo,
ma era poi quasi fuggita di nascosto nella barca di Bortolo quasi per fare una
dichiarazione, per non dire un dispetto anche alla sua mamma. Era troppo chiaro
che la figliuola si preparava degli amari disinganni per voler correre dietro
al fuoco fatuo della sua illusione.
Accesa la lucerna, Flora stese il
tovagliolo e corse in cucina a far un po' di fuoco nel fornello.
- E invece non ho nè vogato nè
vinto... - pensava tra sè. Vedendo che la mamma stentava a rispondere alle sue
parole, tornò a carezzarla: - Scusami, sono stata cattiva: dovevo restare a
farti compagnia.
- Non mi fa nulla restar sola: ma
non mi piace che tu abbia a usare degli sgarbi al povero Cresti.
- Domanderò scusa anche a lui.
- Non c'è alcun motivo perchè tu
abbia a disgustare un vecchio amico.
- Lo so, hai ragione... - confermò
in tono arrendevole.
- Non si vuol far violenza al tuo
cuore, se proprio non ti senti di corrispondere alla sua devozione e alla sua
tenerezza: ma non è giusto d'altra parte che tu lo offenda.
- Povero Cresti, merita ogni
riguardo - ripetè umile e persuasa.
- Sai quel che gli dobbiamo. Son
cinque mila lire di cui da un anno non paghiamo gl'interessi. Speravo che un
giorno o l'altro tu avessi potuto cancellare questo debito, ma capisco che non
puoi sacrificarti, se il cuore non ti dice nulla. E allora, mia cara, noi
dovremo pur restituire questo denaro. Bisognerà che io ne parli a tua zia
Vincenzina o a Ezio.
- No, niente - interruppe
imperiosamete - tu non parlerai di queste cose con nessuno. È un debito che
dobbiamo pagar noi...
- Pagare è subito detto: ma per
pagare ci vogliono i denari.
- Li troveremo, mamma - dichiarò
solennemente la contessina del Castelletto - ma non voglio più ricever nulla,
nemmeno un fiore da Villa Serena.
- Son parole, mia povera ragazza.
La pensione di tuo padre vedi che basta appena per vivere poveramente.
- Lavorerò.
- Come vuoi lavorare se non hai un
mestiere nelle mani? Ci vuol altro, poverina... a meno che non abbia a sposare un
ricco signore... La mamma non potè non far sentire una certa canzonatura in
queste parole.
- No, no... mamma - protestò Flora
arrossendo - io non sposerò un ricco signore; ma posso lavorare e pagare i miei
debiti. Sento anch'io che questa vita vegetale non è degna di me e già ho
scritto a Elisa D'Avanzo che conosce molte famiglie, perchè mi procuri qualche
posto d'istitutrice o mi trovi delle lezioni di disegno, di musica o di lingua
inglese. Essa mi assicurava un giorno che con quel che so dovrei vivere bene a
Milano o a Torino. Nelle vacanze potrei trovare delle lezioni anche qui sul
lago, in queste ville... Forse abbiamo vissuto già troppo della benevolenza
altrui. Di chi è questa casa? come paghiamo il tetto che ci copre?
- Tu sai che tua zia Vicenzina è
sempre stata buona con me.
La carità e l'ospitalità della zia
Vicenzina non mi pesano: ma questa casa non è sua: è di Ezio Bagliani.
Flora pronunciò questo nome con
voce ferma, come se si trattasse d'un signore straniero.
- Non è più sua da un anno.
- L'avrebbe venduta?
- Dovette cederla in pagamento di
un antico debito che aveva verso Cresti.
- Ah... meno male..! - fece la
ragazza e non disse altro. La modesta cena finì in silenzio. Troppe cose eran
uscite fuori in un momento, perchè si potesse e da una parte e dall'altra
collocarle a posto senza guastarle.
Mentre la povera mamma sentiva
gelare il cuore al pensiero che Flora potesse correre il mondo in cerca di un
tozzo di pane, che non avrebbe saputo inghiottire, Flora sentiva crescere la
sua commozione per questo segreto e umile benefattore, che da un anno le aveva
ricoverate nella sua casa senza mai avanzare il suo credito di benevolenza.
A scoterle dalle loro riflessioni
entrarono il sarto e il calzolaio venuti in rappresentanza del paese per
pregare le signore a lasciar mettere una fila di palloncini sulla terrazza del
Castelletto, che in mezzo alle altre case pareva una macchia scura.
Quando Flora e la mamma uscirono a
vedere, già tutto l'Arco della Tremezzina era illuminato dai più vaghi colori
che si riflettevano nello specchio tranquillo del lago; e illuminate pure eran
le case, le ville, gli alberghi dell'altra riva, con striscie e con disegni che
spiccavano sul fondo oscuro del monte. Vagavano barche luminose nel lago, da
cui veniva l'onda di serenate e di cori. Poche stelle erano nel cielo piuttosto
scuro con vantaggio di quella miriade di lumini dondolanti e galleggianti
infilati come pietre preziose in una lunga collana.
Flora stette a lungo quella sera
alla finestra della sua camera, ricordando, meditando, contrastando co'
pensieri. Non le era ignoto che dovevano a Cresti una somma di danaro prestata
a poco per volta alla mamma nei momenti di tristezza; ma non sapeva che da un
anno Cresti fosse il padrone del Castelletto e che a lui dovessero anche questa
beneficenza. Questo non dover più nulla a Villa Serena fu per il suo orgoglio
un primo conforto: poi s'intenerì al pensiero del bene umile e nascosto che il
buon Cresti faceva alle sue amiche del Castelletto...
Ora si parlava ch'egli volesse acquistare
dal Bersi anche il Ravellino, di cui Flora vedeva il giardino illuminato. Per
poco ch'ella dicesse di sì poteva essere la signora di là e vendicarsi assai
abilmente di chi l'aveva oltraggiata.
- Perchè no? - chiese a sè stessa
nel chiudere la finestra.
- Perchè no? - chiedeva ancora una
voce sommessa, mentre stanca delle emozioni della giornata si addormentava d'un
sonno tranquillo.
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