XII.
Una gita in montagna.
Regina aveva preparata una gita
all'alpe del Giosuè per fare una sorpresa ad Amedeo, che vi doveva accompagnare
alcuni signori di Cadenabbia. Una zia del giovine barcaiolo, che aveva lassù un
pascolo e alcune capanne, avrebbe dato alloggio e allestito un letto sulle
foglie di faggio: e poichè la luna viaggiava verso il suo pieno, c'era da
godere una notte incantevole nella pace di quei monti. Flora, che cercava
volentieri le distrazioni che aiutano a riflettere, accettò di accompagnarla.
Per rendere l'improvvisata più gustosa, Regina propose di andare tutte e due
vestite come le pastorelle «bergamine» che vi tengono le mandrie nei mesi di
estate, cioè con una gonnella corta di traliccio turchino, colla bustina di
velluto nero e una pezzuola in testa di cotone rosso, allacciata sulla nuca
colle cocche sporgenti. Flora aveva già indossato questo costume montanino
nell'occasione d'una festa di beneficenza data a favore dell'asilo infantile.
Lo si cercò, lo si tirò fuori dalla guardaroba con gioia anche della mamma, che
vedeva volentieri tutte le occasioni che aiutassero a portar fuori la figliuola
da' suoi pensieri. Regina indossò la gonnella della Nunziata, si accomodò una
specie di zendado in capo e ci mise di suo la faccia tonda e rubiconda e i
fianchi solidi di una vera montanara.
Quando Bortolo, che si era offerto
come guida, venne al Castelletto sul far della sera, fece i suoi complimenti
alla signorina, che in quel vestito semplice da pastorella gli parve la vera
beata Giannetta della Madonna di Caravaggio.
- Ho preso con me un canestro con
qualche provvigione di bocca, a buon conto, per non piombare sulla povera
Maddalena come un volo di corvi affamati. L'aria dei monti è aguzza come una
lesina e non fa mai danno aver con sè del pan bianco e del formaggio. Più che
latte e polenta e acqua fresca l'alpe non dà... Amedeo non immagina certo che
arriveremo prima di lui, perchè la strada dalla Cadenabbia fa un giro, mentre
noi taglieremo per i sentieri: e poi i signori amano viaggiare con comodo.
Prima che il sole fosse scomparso
del tutto dietro i monti, la brigatella uscì dalla strada dell'orto, e infilato
il viottolo del castello, che si arrampica e passa sopra le case del paese, si
trovò sul sentiero che va all'alpe. Regina camminava avanti, col suo passo di
capra, Flora nel mezzo, e Bortolo che aveva qualche annetto di più, alla
retroguardia, col suo canestro sul braccio e il lungo bastone in mano.
La strada uscì presto dai
muricciuoli che cingono le piccole vigne, e cominciò a serpeggiare sotto
l'ombra già densa dei castagni, che lasciavano vedere attraverso alle foglie il
chiarore del cielo ancora soffuso della luce del crepuscolo. Usciti anche dal
bosco, il viottolo divenne subito irto e sassoso su per il fianco del monte
fino a un primo balzo o terrazzo naturale, da dove l'occhio poteva dominare
tutto il bacino del lago, che pareva sprofondato in una valle.
Nella luce dimessa del tramonto s'impiccolivano
e si rattristavano i paesi e le ville: morivano già fioche le voci e le squille
delle campane portate lontano dal corso più veloce del vento. Nitido il cielo
era sul capo, d'un candore profondo, in cui biancheggiavano le prime stelle: e
a queste parevano rispondere i primi lumi, che folgoreggiavano nelle tremule
acque del lago.
Regina dal cuor contento, dopo aver
intonato alcune canzonette, presa dall'affanno del salire e più ancora dal
raccoglimento quasi religioso della luce morente, si arrestò ad aspettare il
babbo accanto ad una rozza croce, dove intonò l'Angelus.
Flora rispose alla preghiera a voce
alta, come se volesse farsi sentire e sentire la sua voce in quel grande spazio
diffuso.
Di mano in mano che si andava su,
lontani dalle cose solite e urtanti, il suo cuore provava un senso quasi di
leggerezza e di liberazione. Avrebbe voluto andar sempre verso una meta
altissima e lontana, che la portasse fuori da ogni triste pensiero. Il suo
cuore aveva bisogno non soltanto di pace, ma di un vero lavacro di
purificazione che distemprasse e sciogliesse i germi dell'odio e dei cupi
rancori. Il male per la prima volta l'aveva urtata e offesa colla sua mano
ruvida e caliginosa e come tutte le nature candide sentiva la vergogna e il
ribrezzo di non essere senza macchie. Lassù, in quell'aria, in quel cielo
purissimo, lontanissima dai contatti indecenti della realtà, Flora sentiva
quasi risorgere la sua buona innocenza infantile, quando è così facile credere
a tutto quello che emana dal cuore. Oh se avesse potuto andar sempre verso
quelle lucidissime stelle che la guardavano!
Quando svoltarono in una valle più
interna, cominciò a ondeggiare sulle piante e sulle creste una penombra vaga e
confusa uniformemente sparsa, che si stringeva sempre più in se stessa, mentre
dal fondo saliva una frescura umidiccia che ammolliva le foglie. Regina volle
che la signorina si mettesse uno scialle di lana sulle spalle.
Lasciato il viottolo, che tendeva a
sprofondarsi verso il torrente, presero a battere un sentiero appena segnato
sul pelo dell'erba, nel mezzo d'una prateria in forte pendenza. Qui erano gli
ultimi e piccioli campi di segale e di colza, chiusi da stecconati di legno,
dopo i quali la stradina procedeva tra basse siepi fino a un gruppo di capanne
basse dal tetto di lavagna, che parevano appiattarsi sotto la misteriosa
protezione di un gruppo di piante gigantesche.
Era l'alpe detta del Boss,
dove pascolava una mandra sparsa per i prati e che non si vedeva più per l'aria
già fatta oscura: ma venivano da tutte le parti i suoni rotti delle campanelle,
intonate agli accordi di una musica in cui cantano senza stonare le cose più
disparate.
Flora, che amava la voce delle
cose, mentre Bortolo s'era fermato a cangiar quattro parole coi pastori, andò a
sedere in disparte sopra alcuni tronchi rovesciati e appoggiata la testa al
palmo della mano, seguiva mentalmente la linea del paesaggio, colle casette
scure che mandavano i tetti fino al suolo, umiliate sotto le ramificazioni
ampie e bizzarramente frondose delle piante, che ricamavano il cielo
bianchiccio strisciato da un'ultima venatura sanguigna. Dentro all'armonia
sparsa e mescolata delle campanelle risuona una voce continua e profonda di
acque correnti, di vento che fugge carico del buon odore del fieno. La giovenca
chiama il torello dal fondo del prato, la capra si querela sulla roccia da cui
ti guarda cogli occhi gialli: guizzano nei fondi umidi come spilli d'oro le
lucciole: esce dalle stalle il morto tonfo delle cose misto al comando della
voce umana. E voci ed ombre e lumi vagano lentamente nell'oscurità che si
addensa, si raccolgono, si fanno fievoli al venir della notte silenziosa, che
versa rugiada sulle erbe e sogni nelle menti degli uomini.
*
* *
Mentre Flora si lasciava trascinare
a queste poesie, nel rumor vago e fuggevole credette di udire un più distinto
suono di campanelli, misto a un bisbiglio di voci e di squilli di corni, che si
avvicinavano a poco a poco: e subito dopo vide sbucare dalla strada bassa della
valle un baglior vagolante, come di lampioncini a vento, che si agitassero
nell'aria, e tra l'ombra e le luci guizzare molte persone, che si avvicinavano
insieme al frastuono crescente.
Regina venne a dire: - Son qui, son
quei signori di Cadenabbia. Stiamo ben nascoste, che Amedeo non ci abbia a conoscere.
La bella compagnia si accostò,
salendo pel viottolo come una mascherata. Davanti erano due uomini con lanterne
chiare di carta attaccate a un bastone, che precedevano un asinello vestito e
bardato come un principe. E sull'asinello era una signorina vestita di bianco
come una beduina. Seguivano altre lanterne d'un colore giallastro, che
accompagnavano un'altra signora pure a cavallo d'una bestia ornata di piume
rosse e di campanelli.
Era questa la baronessa,
imbacuccata anch'essa come una beduina. A piedi seguivano il barone, il
commendatore, il banchiere svizzero, e altri giovani signori che si perdevano
nell'ombra e non si facevano sentire che per un frequente strombettare nei
corni da caccia che portavano al collo, a cui rispondevano altri corni più
lontani, dove ondeggiavano altri lumi col resto della compagnia in ritardo.
Flora non conosceva nessuno di questi eleganti viaggiatori notturni che giunti
davanti alle case del Boss, si fermarono in crocchio ad aspettare chi
stava più indietro.
Sotto le grandi piante quel
dondolare di lumi variopinti, quel rimescolarsi di colori, quel ridere allegro
di gente allegra, quel tintinnare festoso di sonagliere, quello schiamazzar di
corni, offriva uno spettacolo magico e pittoresco di fiera e di festa carnevalesca,
che rallegrò gli spiriti alquanto sonnolenti della nostra patetica contessina.
Dal posto dove s'erano nascoste, le ragazze videro Amedeo, che pareva il capo
della masnada, parlare a lungo coi pastori, e quando gli accordi furono presi,
la compagnia si mosse verso un prato declinante a sinistra fino a una spianata
prospiciente il lago, dov'era stato preparata un'alta catasta per un solenne
falò, che doveva essere veduto, e per il luogo e per il concorso dato
dall'albergo, a cento miglie lontano.
Le nostre due pastorelle lasciarono
passare la comitiva ed esse poi per un sentiero dietro le case riuscirono sulla
spianata, a destra della catasta, nel momento che due uomini inginocchiati
mettevano il fuoco nella paglia e soffiavano colla bocca nella fiamma.
Cominciò a svolgersi un gran fumo,
che spinse la bella compagnia a cercar miglior posto verso il luogo dove Flora
e Regina stavano nascoste. Il Bersi per poco non veniva a piantar il suo
lampione sotto il castano, dove si appiattavano le nostre due vaghe ninfe. Fu
per entrambe un argomento di risa questo fuggi fuggi. Flora si dichiarò subito
innamorata del bell'asinello bardato come un principe e se non fosse stato per
rispetto alla bella beduina, che gli stava sopra, sarebbe riuscita a
carezzargli le orecchie.
La fiamma della paglia non morse
così subito alla legna alquanto verde del faggio e dei querciuoli e alle
stramaglie fresche che addobbavano l'alta piramide su cui era stata conficcata
la vetta d'un pino comune; ma nella nuvola fumosa che il vento andava
dispiegando come una fascia cinericcia non tardarono a guizzar avide lingue di
fuoco, che crepitavano con un rumor secco, penetrando nelle fibre dei tronchi.
Le fiamme alquanto trattenute dal
fumo e dal verde del frascame, uscendo dalla base, cominciarono a lambire i
fianchi della piramide, a scalarne l'altezza, a prender un vigore interno, a
incidere con punte di fuoco i tronchi, i rami, le decorazioni di pino, finchè
la vampa la vinse sul fumo e con un fremito vigoroso avviluppò tutta la
catasta, rischiarando col suo baglior fantastico il verde smeraldo del prato,
il masso del monte, le case dell'alpe svegliate al di sotto delle gigantesche
ramificazioni, da cui fuggivan gli uccelli spaventati.
Nell'accensione libera di quella
gran vampa s'illuminò pure (e fu un quadro non meno fantastico e bello) la
compagnia schierata in disparte, le signore sulle cavalcature bardate, i
signori nei loro eleganti costumi alpini, gli uomini dell'alpe che
contemplavano con compiacenza e con un raccoglimento quasi devoto la sacra
fiamma accesa in onore della Madonna e a cui per la corona dei monti in giro
rispondevano altre fiamme, che accendevano altre fiamme nei profondissimi e
freddi silenzi del lago, immobile come una lastra di piombo.
La fascia di fumo, dopo esser montata
alta nel cielo si lasciò piegare dal vento come un pennacchio, si disperse
allargandosi, scendendo verso l'oscuro vallone, che nel contrasto pareva fatto
ancor più nero e pauroso; e intanto era una meraviglia il vedere come alle
lingue serpentine bianche e purpuree con fuggenti anime azzurre nel mezzo
succedesse a poco a poco un braciere di rubini ardenti, che cascavano
fiaccandosi, mettendo in vista altri tesori più intimi e più fosforescenti, un
vero incanto degli occhi, che faceva pensare ai misteriosi ripostigli delle
fate e ai sogni irraggiungibili della bellezza.
Tutti si specchiavano meravigliati
e assorti in questo mucchio di gemme accese, tra cui spiccavano come degli
occhi ardenti e curiosi; tutti, tranne Flora, che non vedeva più nulla, non sentiva
più nulla. Al sorgere impetuoso della vampa ella aveva riconosciuto Ezio, che
ritto alle staffe della superba baronessa ne accoglieva le tenere espansioni,
appoggiando, di mano in mano che l'ombra tornava a coprirli, la testa alla mano
che essa gli abbandonava. Flora che era lì a due passi, spettatrice non
invitata, sentì il cuore farsi duro come un pezzo di pietra. S'era lusingata,
venendo a questa gita notturna di lasciare a basso ogni pensiero cattivo e di
trovare nella solitudine dei monti un sentimento buono di perdono e di
riscatto: ed ecco invece, come una malvagia evocazione, uscir di mezzo ai
bagliori fantastici dell'incendio l'oltraggioso castigo della sua vita,
l'ingiuria viva di quella donna trionfante sulle rovine del suo ideale. Fu buona
fortuna che l'avvilimento da cui fu subito presa le impedisse di correre verso
quella donna e di gridare una brutta parola; ma quando, consumato l'ultimo
tizzone non rimase che un focolare di cenere e carboni, quando vide la lieta
brigata muoversi per procedere verso l'alpe di Giosuè, dove era la meta della
gita, essa persuase Regina ad accompagnarsi a quei signori, e si mise quasi
sull'orme della coppia innamorata, suscitando le proteste della sua compagna, a
cui pareva un po' troppo pericolosa l'avventura.
Ma così potè assistere, coperta
dall'ombra, al momento in cui, giunta davanti alla capanna dell'albergo, la
bella baronessa, scioltasi dallo sciamma in cui s'era avviluppata contro la
brezza notturna, si abbandonò per discendere dalla cavalcatura nelle braccia
del giovine, che la tenne un istante sul petto.
- È orribile! - mormorò tra i denti
stretti, portando una mano alla bocca come per voglia di mordere. E infatti se
essa misurava la colpa di quella donna al patimento che ne provava, doveva
sembrarle un delitto esecrabile quel che per gli altri non era che un dei
soliti amori di passatempo. Nella sua innocenza del male, nell'atto di
conoscerlo, se ne sgomentava come il bambino che balza esterrefatto di mezzo al
suo sogno al comparir di un bieco fantasma, che non esiste se non nella sua
immaginazione. Ma non aveva essa innalzato il suo edificio di speranze al di là
del vero? Non aveva essa creduto troppo al suo sogno?
- Torniamo indietro, signorina: il
babbo cercherà di noi - andava replicando Regina.
- Aspetta, vediamo che è bello... -
rispose Flora, trattenendola per la gonnella.
Nessuno per fortuna si accorse di
queste due pastorelle che adocchiavano nell'ombra. Soltanto una volta una delle
due signorine russe, sopraggiungendo alle loro spalle, chiese a Flora in buon
italiano: - Come vi chiamate, cara?
La contessina Polony avrebbe voluto
rispondere: Vendetta, esecrazione... ma la buona Regina la strappò per
la mano e la trascinò via.
Il sentiero, che dalle capanne
dell'albergo mena alle casette bianche della zia Maddalena, scende per un
tratto fino a una sorgente che gorgoglia tra i sassi all'ombra e risale un
altro tratto fino al colmo della prateria, battuta dal chiaro tremulo della
luna che faceva luccicar l'erba.
Bortolo, che aveva presa un'altra
strada, stava già discorrendo colla Maddalena, quando le due giovani
sopraggiunsero. La vecchietta che non si aspettava questa visita fu tutta in
tripudio: ma quando seppe chi era la bergamina che accompagnava Regina cominciò
a lamentarsi che non l'avessero avvisata a tempo, perchè avrebbe fatto trovare
un materasso, una coperta di lana, un po' di salame cotto; e intanto invitava
la compagnia a entrare nel suo umile tugurio.
Quando le quattro persone ebbero
preso posto sugli sgabelli, non ci fu più luogo per nessuno in quel
bugigattolo, reso nero dal fumo, che un lumino scarso riempiva più di puzzo che
di luce. Le travi gregge, oblique, logorate dal tempo e dall'uso s'incrociavano
in un angolo a cui si appoggiava la pietra del focolare. Il fumo, dopo aver
vagato a tingere le pareti, si risolveva a uscire per l'apertura d'un
finestrino, che lasciava vedere attraverso alle lavagne del tetto la luce delle
stelle.
Una piccola madia, fatta lustra
dalle mani che vi eran passate sopra, un paiolo, quattro piatti di peltro,
quattro scodelle di terra, quattro cucchiai di stagno formavano tutto
l'arredamento di quell'antro, che serviva a un tempo di cucina e di sala di
conversazione ai pastori che passavano lassù la stagione del pascolo.
Bortolo fu incaricato dalla
Maddalena di stendere della paglia nuova e qualche poco di stramaglia pulita in
una «baita» vicina, che serviva spesso di alloggio ai forestieri e agli
alpinisti che capitavano lassù di proposito o sviati. E intanto la zia mandò Regina
a sciacquare il paiolo al torrente, perchè voleva scaldare due mezzine di latte
e preparar loro un po' di cena prima di mandarle a dormire.
La vecchietta, non più alta
dell'usciolino della sua capanna, pareva essa pure un travicello affumicato,
stretta come era o indurita ne' suoi vestiti senza pieghe e senza colore.
Soltanto la faccia era ancor mobile e gli occhi in quel volto solcato da mille
rughe concentriche mettevan fuori un'anima ancor giovanile e viva come l'acqua
che stilla da un ruvido tufo.
- Se lei mi cerca una chicchera di
caffè, cara figliuola mia, sarei imbarazzata a contentarla - disse a Flora che
stava immobile ad asciugare i piedi davanti alla pietra del camino - Acqua
fresca, latte fresco, polenta calda e castagne fin che ne vuole e anche dei
caciolini di capra, se ne ha voglia: ma in compenso di quel che ci manca, qui
non bazzica mai il dottore e non si sa che cosa sia la malinconia che fa dolere
la testa ai signori. Dovrebbe lasciar giù tutto e venir a stare con noi tre o
quattro mesi: vedrebbe queste braccia diventar belle e grasse - e la donna
stringeva nella mano l'avambraccio della signorina come se andasse in cerca di
polpa. - E non avrebbe questa ciera lunga e spaventata come se avesse visto il
lupo. Ci ha già l'amoroso?
- Perchè? - chiese Flora con un
atto quasi sdegnoso.
- Quando le ragazze non sono
allegre, gatta ci cova. Ci son passata anch'io cinquantanni fa: ma poi le cose
vanno a posto e addio buon tempo!
Bortolo entrò con un fascio di
legna minuta. Regina riportò il paiolo coll'acqua della fonte: la fiamma fu
suscitata e il tugurio si riempì d'una luce d'oro che ridestò tutte le mosche
appiccicate ai travi. La rugiada presa e la frescura della notte rendevano
piacevole anche quella vampata in cui presto cominciò a muggire il latte.
- Amedeo non tarderà a picchiare
all'uscio - disse Regina - Non può far dormire gli asini in compagnia di quelle
belle signore. Zitto... non vi pare di sentire un suono di campanelli?
Stettero un istante ad ascoltare e
veramente un tintinnio di campanelli, a cui si mescolava una voce d'uomo,
veniva su per il sentiero della sorgente.
- Nascondiamo la testa nei
grembiuli e voi, babbo, voltatevi di là - disse Regina, avvolgendo la testa di
Flora e la propria.
- Zi' Maddalena, siete ancora lì? -
gridò la voce di Amedeo di fuori.
- Chi comanda? - chiese alla sua
volta la zia Maddalena, che si divertiva allo scherzo come a' suoi tempi
migliori.
- Son Amedeo con due amici. Li meno
in stalla.
- Sei tu, Deo? menali e vien subito
che ti dò una bella cosa... - Voi fatevi costà - disse alle ragazze - e vediam
se vi conosce. Voi, Bortolo, fingete di rimestare nel paiolo.
Due minuti dopo Amedeo ritornò
fischiando.
- Come state, zi' Maddalena?
cent'anni che non vengo a trovarvi e voi non scendete mai.
- Ho a fare, Deo. Entra. Ci ho qui
della gente venuta ieri da Bergamo.
- Da Bergamo? buona sera alla
compagnia - disse Amedeo, chinando il capo per poter infilare l'usciolino.
- Sì, da Bergamo. Son due figliuole
di quest'uomo venute a cercar marito all'alpe del Giosuè.
- Fate la burla a dir che son di
Bergamo. Questa che ride sotto il grembiule non è di Bergamo. Questi è Bortolo
e questa è... so io chi è: e se vuol maritarsi all'alpe del Giosuè, buona
padrona. Io ho di là alle capanne dell'albergo tre grazie di Dio...
- Voglion giusto pigliar voi...
quelle là... - fece la Regina, scoprendo il capo, tra le matte risa di zia
Maddalena e di Bortolo.
- Voi non state male vestita in
quella maniera - disse Amedeo, arrossendo un poco di gioia - e fu un bel
pensiero il vostro d'esser venuti. Ma chi vedo? anche la signorina venuta a
piedi per questi sassi? e voi, Bortolo, tenete mano al sacco? bravi! se il
maggiordomo dell'albergo mantiene la promessa, ora vi porto da fare un brindisi
in compagnia.
- Voi forse immaginate che vi faccia
dormire nella stessa baita - entrò a dire la zia Maddalena, facendosi tra i due
promessi sposi e guardando in faccia ora all'uno ora all'altra con una
espressione di soddisfatta allegrezza. - Niente affatto: finchè il sor curato
non avrà detta la sua, voi non direte la vostra.
- È venuto anche il signor Ezio -
disse bonariamente Amedeo a Flora, che fatta rossa in viso dal calor vivo della
fiamma, potè nascondere il suo interno patimento. - E pare che non perda il suo
tempo colla bella cantante, un pezzo di donna che mi ha stancato due asini... -
Risero tutti a questa facezia, tranne Flora che fissò gli occhi tristi nella
brace.
In mezzine di terra fu versato il
latte, mentre Bortolo toglieva dal canestro i cartocci e il pane.
Amedeo uscì a prendere la bottiglia
che gli aveva promesso il maggiordomo. Ciascuno mangiò secondo il suo appetito;
ma l'aria frizzante e la lunga camminata non dissero nulla a Flora, che solo
per cortesia e per non parere selvatica in mezzo a gente così buona, trangugiò
a stento una goccia di latte.
Sentendosi quasi soffocare in quel
basso tugurio, si mise a sedere sulla porta da dove l'occhio correva sulla
prateria, che il raggio della luna scoloriva in un verde pallido e molle. Nella
conca, oltre il torrentello, nereggiavano le capanne dell'albergo, da cui
venivano schiamazzi e risate allegre con un frequente pizzicare di mandolini. A
un tratto s'intese una voce chiara ed educata di donna cantare con comica
vivacità la canzonetta del Funiculì funiculà.. una voce da teatro,
distesa, che in quel vasto silenzio alpestre correva a riempire la valle e a
destare gli echi addormentati del monte.
Flora rispose al brindisi di
Amedeo, bevendo un sorso di vin bianco in una pulita ciotola di legno: (la zia
Maddalena non aveva altra cristalleria) e quando Bortolo cominciò a pisolare,
mostrò anch'essa il desiderio di stendere le gambe stanche sulla paglia. La
vecchia accompagnò le ragazze su per una scaluccia aperta, che metteva in un
fienile esposto alla luce della luna e le lasciò colla buona notte.
Regina preparò due tane nel
giaciglio, spiegò una coperta di lana e fattosi un covo, si addormentò presto
sulla sua felicità.
Anche Flora si distese e si
rannicchiò nella paglia e cercò di sprofondarsi, di annientarsi nel suo
giaciglio, invocò il sonno, il riposo, l'oblio, chiuse gli occhi, ma non potè
dormire.
Non le giovava di richiamare tutte
le vecchie ragioni che l'avevano persuasa a rinunciare a quel che essa credeva
un diritto del suo cuore, ma che non era in fondo che un audace desiderio del
suo orgoglio. Non aveva già fatto capire alla mamma, a Cresti, e ad altri che
essa era morta a questo passato? non le giovava nemmeno l'inventare ragioni
nuove o ingegnosi sofismi per dimostrare a sè stessa che nulla era mutato nel
destino antico della sua vita e che il soffrire, come faceva lei, poteva parere
ormai a ogni persona ragionevole una debolezza ridicola d'un orgoglio non meno
ridicolo; ma che servono le dimostrazioni a un cuore che non vuole sentirle? Al
contatto crudele del male il suo cuore era arrivato a un tal punto di
sofferenza che non l'avrebbe spaventata nemmeno l'idea di morir lì, nella
paglia, quella notte stessa, come una mendicante a cui si è rifiutato per
crudeltà un misero tozzo di pane.
Nella quiete assoluta della
solitudine alpestre le pareva di sentir martellare il suo povero cuore così
dolorosamente che più d'una volta si pose a sedere sulla paglia come per
cercare un sollievo: poi sentendo che là dentro le mancava il respiro,
scivolando adagino presso Regina, che dormiva con una lenta pesantezza, spinse
l'usciolino e venne a sedersi sulla scaletta di legno, provando nella
freschezza dell'aria notturna un subito ristoro.
La luna alta nel mezzo del cielo,
col disco nitido e vivo diffondeva su per le vette sassose e per le pieghe
aspre dei monti la sua luce, che attenua le linee più pesanti in una leggiera
trasparenza quasi di cose che si sognano. Il paesaggio dell'alpe pareva
palpitare come animato dai segreti spiriti della natura. Una punta rocciosa, in
fondo, forse il Legnone, resa diafana dal tocco dei raggi, si alzava come
un'aspirazione al cielo blando e casto, senza una nuvola, seguita a poca
distanza da altre vette minori, che avevano nel tremolìo molle dell'aria e
della luce una trepidazione di cose vive: spettacolo bello e sacro da strappar
la preghiera a chi non avesse avuta la morte al posto della fede.
Le casette sparse, coi tetti
bagnati d'una luce così bianca che pareva neve, versavan l'ombra sul verde
prato e parevano anch'esse addormentate in un pensoso raccoglimento. Tratto
tratto si svegliava una campanella con due tocchi sonnolenti, a cui rispondeva
da lungi il belato pauroso d'una capra. Sottili fischi uscivan dall'erba, ma
sui fuggevoli suoni incombeva il gran silenzio dell'ora notturna, un silenzio
che pareva piovere anch'esso dalle remote scaturigini dell'infinito.
È l'ora sacra in cui pare che
l'anima resa più diafana riceva nel profondo silenzio delle sue acque il
riflesso delle cose invisibili che passano e s'increspano all'alito degli
spiriti che non possono più nè morire nè dormire.
È l'ora in cui i desideri sepolti
bussano al cuore delle fanciulle che vegliano e i sogni fanno ridere i bambini
che dormono.
La notte serena versa le sue
rugiade anche sui fiori del male, assopisce il rimorso indomabile, ristora le
speranze affrante, rinnova i voti traditi. Quando più dormono le cose fuori di
noi e come sottili profumi si sprigionano le più recondite memorie di vite che
ci aspettano e ronzano intorno a noi sensazioni di oscuri mondi ignoti che
ignorano il nostro sole, i nostri uccelli, le nostre rose, i nostri dolori,
dove da cause più sottili derivano vite più delicate e fragili.
Il luccichìo del torrente che
serpeggiava in mezzo alle erbe folte della prateria risvegliò a un tratto in
Flora la sensazione fisica d'una lunga e acre arsura che la tormentava da un
pezzo, confusamente percepita, ma non riconosciuta nell'oscurità del suo
patimento morale. Si mosse, discese i pochi scalini spezzati, e battendo il
sentiero per cui era venuta nel salire, si avviò verso la sorgente da cui
quella striscia lucente d'acqua che serpeggiava nell'erba era alimentata.
Quando vide la sua persona riflessa
sul terreno, nella gonnella corta, colle due cocche sporgenti del suo zendado
di mandriana, invidiò l'ombra sua e stette a contemplare quel che avrebbe
potuto essere, se Dio l'avesse fatta nascere in una di quelle capanne brune che
toccano coi tetti la terra. Che giova alzarsi se mancano le ali al volo? umile
creatura, nella terra è la tua felicità.
Prima di giungere alla sorgente
entrò in una macchia di esili pioppi, che spandevano la loro ombra sottile e
tremolante sul greto chiazzato del torrente: ma il luogo non era così oscuro
ch'ella non potesse discernere anche nell'ombra il filo dell'acqua che usciva
dalla bocca d'un canale di quercia e versavasi in una barba di spume tra i
ciottoloni e le felci del solco. Scese fino al canale, vi appoggiò la bocca
riarsa e bevette a lungo di quell'acqua sincera che veniva dal cuor della
montagna. Poi si voltò a contemplare la luna che dietro il ricamo delle mobili
piante pareva navigare verso un polo lontano.
Stette un istante inerte ad
ascoltare il bisbiglio dell'acqua che rompeva tra i sassi e che nel silenzio
vasto della valle pareva raccontare le sommesse storie della sua grotta oscura
e meravigliosa, e avrebbe dovuto poi tornare sopra i suoi passi, se una forza
non meno irresistibile di quella che trascina le nuvole nel cielo, non l'avesse
condotta a proseguire oltre il boschetto, verso le capanne nere, che dormivano
nell'ombra, o piuttosto verso la ragione della sua tristezza.
Essa non avrebbe saputo dire se in
quel pauroso desiderio che la moveva fosse più la speranza d'incontrarsi in
Ezio o la paura; se, vedendolo, per caso, uscire da una di quelle capanne sarebbe
corsa a lui, a stringerlo nelle braccia, a redimerlo da una selvaggia seduzione
o se invece sarebbe corsa a rimpiattarsi come una timida fiera dei boschi; ma
non cessava per questo di dirigersi a quella volta, e già le capanne chiuse e
silenziose eran lì a pochi passi, già ne rasentava l'ombra, quando le parve di
udire un rumore, come un frascare vicino.
Si ritrasse dietro una siepe di
spino che cingeva uno di quei casolari.
Qualcuno veniva alla sua volta:
qualcuno entrava nel recinto stesso che chiudeva il casolare deserto e andava a
sedersi sulla soglia d'un usciolino chiuso, dov'erano alcuni grossi tronchi
rovesciati, nell'ombra del piovente del tetto.
Non era lui... ma una donna, la
baronessa... la baronessa che, non potendo forse riposare sul giaciglio
insolito del suo letto di montagna, veniva a far della poesia al chiaro di
luna.
Il cuore di Flora insorse in un
impeto d'ira, ma non ebbe quasi il tempo di formolare un pensiero che da un
ciglione, a cui si appoggiava il muro della capanna, saltò sul prato un
giovine...
Flora celata dalla siepe si trovò
caduta sulle ginocchia come se a un tratto le fossero tolte le forze della
vita, le si ghiacciò il cuore, le si mozzò il respiro. Sentiva che essa non
poteva restar lì, invocava mentalmente da Dio l'aiuto di sorgere, di fuggire:
ma non poteva reggersi.
Finalmente con un atto di estrema
violenza se la comandò questa forza e la trovò: si alzò, si ritrasse con
precauzione, aggrappandosi agli arbusti per non ricadere.
Nessuno saprebbe dire come
avvenisse, come nessuno sa perchè un fulmine si accende e l'altro no. C'eran
delle piastre di selce sparse sul terreno. Flora si chinò, se ne trovò in mano
una che fischiò nell'aria come soleva farle fischiare alla riva, quando faceva
il giuoco del rimbalzello a fior di acqua... e fuggì mentre uno straziante
grido di donna rompeva il silenzio della notte. L'aveva colpita!
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