XV.
Tra il marito e... l'altro.
Il barone Samuele Hospenthal che un
potage troppo sugoso aveva reso più disgustato e più svogliato del solito,
da una settimana non usciva dalla sua camera se non per muovere quei dugento o
trecento passi cadenzati, che gli erano necessari per digerire la sua acqua di
Vichy. Il resto della giornata lo passava rinchiuso a scorrere una quantità di
riviste e di giornali inglesi e tedeschi, a cui mescolava qualche avventuroso
romanzo di Rudyard Kipling, il suo ultimo autore prediletto.
Alla rapida decadenza della sua
giovinezza fisica egli sapeva opporre uno spirito resistente, instancabile,
invincibile davanti a uno scopo, fosse questo l'impianto di una nuova banca o
il piacere di battere un cavallo in una sfida di corsa o quello più modesto di
dare agli amici una colazione superiore alle solite.
Quando ebbe conosciuta la bella
Ersilia Batacchi la prima volta a Cannes in un Casino-Concetto, la sua prima
idea era stata di far di lei una moglie della mano sinistra: ma la resistenza
passiva di lei e quella più cauta del sor Paoleto lo persuase a sposarla
secondo la legge civile e a presentarla al suo mondo misto di uomini d'affari,
di grandi uomini e di oscuri agenti di cambio, di artisti e di vagabondi
internazionali, in mezzo a cui le signore passavano quasi senza vedersi.
«Libera coscienza in fedeltà d'amore» poteva essere il motto della famiglia. Il
contratto era stato pari dalle due parti: egli aveva portato i suoi milioni,
essa la sua vistosa bellezza: egli una tristezza fondamentale su cui a stento
correva qualche sorriso di compiacenza e di critica bonaria: essa una
giovialità senza fine, che avrebbe rallegrata una sinagoga: egli un'esistenza
minuziosa che minacciava di triturare la sua vita: essa una risoluzione pronta
e capricciosa, che travolgeva come un torrente furioso i progetti di suo
marito. Ma giova dire che in questa volontà così diversa dalla sua il barone
trovasse qualche vantaggio, perchè difficilmente osava contrastrare a sua
moglie anche quando il muoversi rappresentava per lui una passività o una
inquietitudine.
La baronessa poco si faceva vedere
nei giorni in cui suo marito stava rinchiuso in camera. Veniva e restava con
lui qualche mezz'ora al mattino, qualche mezz'ora dopo colazione, qualche
minuto la sera, ma gli obbediva volentieri se le diceva di non lasciar soli gli
amici. La malattia di suo marito era di quelle che guariscono più presto quanto
meno si secca il malato: nè ci poteva essere rimorso da parte sua dal momento
che Samuele desiderava di rimaner solo anche per sbrigare un'enorme quantità di
corrispondenza, che gli correva dietro di posta in posta come uno sciame di
mosche a un cavallo accaldato.
Per spedir telegrammi, per impastar
francobolli sulle buste, per mandare a ricevere vaglia postali eragli di
sufficiente aiuto il sor Paoleto suo suocero, un ometto svelto e discreto che
sapeva tacere, quando vedeva l'acqua di Vichy più torbida, e sapeva in un altro
momento raccontare mille storie, aneddoti e reminiscenze della sua vita di
teatro e riportare i piccoli pettegolezzi d'albergo, di cui l'illustre genero
si dilettava nei momenti di lingua meno sporca.
In ricompensa di questi servigi il
barone gli regalava di tanto in tanto sotto forma di gratificazione un pezzo di
venti lire in oro col patto che non dicesse nulla a Ersilia, che avrebbe voluto
tenere il vecchietto goloso e dissipatello più a stecchetto; ma anche questa
piccola frode rendeva il regaluccio più saporito tanto a chi dava quanto a chi
riceveva. Il pezzo d'oro barattato secondo il corso del cambio fruttava un
altro piccolo guadagno, che aggiungeva al piacere del dono il gusto più
squisito della speculazione. I cinquanta, i sessanta, i sessantacinque
centesimi che a seconda dell'aggio il vecchietto guadagnava, gli erano quasi
più gustosi che non le venti lire del suo pezzo d'oro: e non minore era la sua
felicità di quella che fosse la gioia un po' patetica del suo illustre genero,
quando con due righe di telegramma guadagnava alle Borse di Parigi e di Amburgo
le sessanta o le centomila lire sulle oscillazioni dei valori. Il che dovrebbe
ancora una volta dimostrare che la miglior felicità, come la miglior scarpa, è
quella che va bene al piede di chi la porta.
*
* *
Fra le molte lettere che il sor
Paoleto portò in camera una di queste mattine in cui il barone rimase ritirato,
l'occhio strologato dell'affarista ne sceverò una d'una scrittura poco
commerciale, chiusa in una busta profumata, color carne, su cui svolazzava un
piccione d'argento entro i ghirigori azzurri d'un'elle maiuscola.
Vecchio frequentatore di alberghi e
di maisons garnies, non del tutto refrattario a qualche umile
distrazione, il banchiere fiutò nell'acuto profumo di sapone Windsor una di
quelle seduzioni, che per chi si lascia prendere si risolvono, alla fine, in un
conto da pagare aux ordres de madame. Mise in disparte la letterina e quando
ebbe pazientemente percorsa tutta la corrispondenza utile, mentre il segretario
tornava per la seconda volta alla posta, gettò un'occhiata svogliata anche al
piccione svolazzante, aprì la letterina galante dall'acuto profumo di sapone e
credette di decifrare in un ghirigoro sotto una mezza dozzina di righe non
troppo solide nell'ortografia il nome di Liana, un nome di guerra che
probabilmente minacciava guerra a qualcuno.
La lettera diceva: «Caro Barone,
il mondo ride di te che sei uomo di troppa buona fede e di sublime
confidenza. Se vuoi vedere come la tua bella moglie t'inganna con un falso
amico traddittore trovati la mattina tra le dieci e le undici alla Pasticceria
Omoboni di fianco al Coiffeur.»
Samuele Hospenthal, uomo riflessivo
e filosofo quanto è necessario per non dare alle cose del mondo più peso che
non abbiano naturalmente, sulle prime prese la cosa in ridere e credette di
vedere in questa letterina lo sfogo d'una gelosia e d'una vendetta di donna;
diversamente che poteva importare a Liana che la moglie d'un banchiere di
passaggio andasse a mangiare delle sfogliate tra le dieci e le undici nella
bottega d'un pasticciere? Evidentemente un senso d'odio contro il falso traddittore
aveva messa la penna in mano alla misteriosa donna dal piccione svolazzante.
Chi poteva essere il falso amico traddittore?
Eran presto contati sulle dita i
suoi amici: ma si guardò bene dal fermarsi a far delle indagini. Nella sua
esperienza di uomo pratico e positivo il barone credeva di conoscere sua moglie
più di chiunque, quando diceva di fidarsi più del temperamento che della virtù
di una donna.
La virtù come ogni meccanismo
morale, è suscettibile di composizione o di scomposizione, e, simile a un
orologio in mano a un ragazzo, di rado la virtù nell'opinione di una donna
segna l'ora giusta. All'incontro il temperamento è il metallo stesso del
meccanismo, che non si muta se non si distrugge. Ersilia era vana, desiderosa
di piacere e amava provocare gli adoratori per quell'ambizione che nella sua
antica povertà le aveva insegnato a provocare gli applausi del pubblico: ma era
troppo scarsa di cuore e di immaginazione per accendere una passione in casa
sua e per sacrificare la sua felicità agli intrighi d'un romanzetto d'amore.
Troppo attaccata ai vantaggi della sua ricca posizione sociale, era troppo
egoista per non essere abbastanza savia: ed era appunto perchè la sapeva
virtuosa per interesse, che suo marito le permetteva di concedere agli
adoratori tutte le frangie e tutti i frastagli della sua civetteria. Purchè
fosse salvo il suo diritto, nel suo ipocondriaco egoismo non vedeva mal volentieri
che gii amici lo sollevassero qualche volta del peso di far divertire una donna
insaziabile di passatempi, come su una festa da ballo uno stanco ballerino cede
volentieri a' suoi compagni una dama troppo pesante. Questi patti di reciproca
tolleranza, se non erano stati esplicitamente discussi, si osservavano ormai da
troppo tempo, perchè una delle due parti avesse a non trovarli utili e
legittimi.
La bella Ersilia sapeva che, se
fosse venuta meno agli obblighi suoi con scandalo e incomodo di suo marito, non
aveva più a sperar grazia presso di lui. Conosceva troppo bene l'ostinazione
morale di quel filosofo per arrischiarsi ad un giuoco così pericoloso. La
divisione assoluta, la perdita d'ogni diritto d'assegno per lei e per suo padre
era ciò che l'avrebbe aspettata al di là d'un tradimento.
Ma se il sistema aveva dei vantaggi
per le due parti contraenti, riusciva qualche volta pericoloso agli ingenui,
che, poco esperti di economia domestica e di bilanci compensatori, si fidavano
alle apparenze e cedevano all'esca d'una passione. Per un pelo il Bersi fu per
abbruciarsi le ali alla fiamma di questa candela più luminosa che ardente; e
ora si sentiva in obbligo di avvertirne Ezio Bagliani dalle ali più leggiere.
Ma pare che questa volta il giuoco di far saltare il fuoco nelle mani finisse
col danno dei giocatori.
Da parte di Ezio c'era già stato un
precedente pericoloso a Nizza. L'incauto intervento della gelosa Liana, la
scenata ai giardini pubblici, l'animo presuntuoso, caldo, prepotente del
giovine, fecero sì ch'egli, entrato nella partita quasi per passatempo, si
sentisse impegnato seriamente nel cuore e nell'onore. In lei il puntiglio di
vincerla sopra una rivale, la giovinezza dell'amante, un senso di amor proprio
e di curiosità insoddisfatta la condussero questa volta più in là di quel che
era utile e nello stesso tempo onesto.
Al punto in cui erano arrivate le
cose nè egli, come s'è visto, sapeva arrendersi ai buoni consigli della
prudenza, nè essa sapeva resistere alla forza della passione. Acqua lenta,
placida, trasparente, contenta di riflettere in pace le cose, una volta che
s'era avviata per la china sentiva con terrore la forza del gorgo che
l'attirava; ma non vi poteva più contrastare. A molte donne fantastiche questo
finire in spume nelle vertigini di un abisso piace più che lo stagnare inerti
nella placida palude della virtù casalinga. Essa avrebbe voluto andar fino
all'orlo della cascata e poi tornare indietro; ma non si urta colle leggi della
gravità.
Ecco perchè il mondo, ossia la poca
gente che stava a pigliare il fresco nelle poltrone, cominciò a ridere, a
pigliare scandalo e gusto tutte le volte che la strana baronessa andava a
comperare marrons glacés alla pasticceria Omoboni e a scegliere saponi e
cosmetici dal vicino Coiffeur.
*
* *
Il barone avrebbe finito col
gettare nel cestino il roseo biglietto, se il bisogno di riflettere non
l'avesse trattenuto a sofisticare sul caso. Gli capitava spesso d'essere
infelice per troppa riflessione, che è il castigo di chi pensa bene.
Sonò il campanello e alla cameriera
che accorse domandò se la signora era in camera.
- Nossignore, è uscita mezz'ora fa
- rispose la ragazza.
Eran le dieci e mezzo all'orologio
del caminetto. Che una signora esca al mattino, sola, senza una necessità, da
un albergo, senza avvertire, poteva essere una cosa poco naturale. Ma la
giornata era così bella....
- Ha detto quando ritorna?
- Nossignore.
- Esce tutte le mattino a
quest'ora? - -avrebbe voluto domandare ancora, ma o gli parve di chiedere
troppo a una cameriera o lo trattenne lo sgomento di saper troppe cose in una
volta.
- Va bene - e licenziata la
ragazza, tornò a passeggiare per la stanza. Ma poco dopo gli parve che non ci
fosse aria abbastanza e uscì per discendere in giardino. Ai piedi della scala
s'incontrò in Bühler che passeggiava nell'atrio in compagnia del commendatore
Zuccani. Li schivò, uscendo da un'altra porta sulla piazza dell'albergo, dove
rimase un pò di tempo a strologare l'aria, incerto su quel che doveva fare di
sè.
Finalmente seguendo il primo impulso,
si mise lentamente per il viale di acacie che costeggia il lago e lo risalì di
malavoglia, giocherellando con una sottile bacchettina sui sassolini del
terreno. Andò così fino a uno dei capi del paese dove tra le molte botteguccie
del solito olivo lavorato e del solito corallo di Napoli svolazzava sopra una
tenda rossa la scritta in grandi parole bianche: Pasticceria Omoboni.
Nella bottega arredata con qualche
gusto cittadinesco non c'era in quell'ora che un vecchio signore esotico seduto
davanti a un bicchierino di cognac in compagnia di una bellissima giovine,
vestita con una estrema eleganza in chiaro, che rosicchiava con grazioso
appetito un piatto di pasticcini usciti allora dal forno.
Se il barone avesse avuto occhi per
vedere qualche cosa al di là de' suoi pensieri, avrebbe notato che al suo
entrare la bella giovine s'era scossa con un moto quasi involontario. Sedette
anche lui sulla soglia del caffeuccio, all'ombra della tenda rossa in un posto
da dove poteva coll'occhio correre per tutta la strada fin oltre l'albergo e
per tutto il viale del lago. Tutte le botteguccie splendevano in fila nella
chiara e aperta luce del sole: tra le altre, sull'angolo d'una vecchia casa
sporgente sopra una viuzza laterale, luccicava in grosse parole d'oro la scritta
Coiffeur. Le indicazioni erano precise.
La mattina era lucida, arieggiata e
preludiava a una di quelle giornate di lieti colori, di molli godimenti
signorili, di feste deliziose, che il lago di Como offre così volentieri a chi
ha tempo e denaro da spendere.
Per un senso di sincera rettitudine
verso sè stesso il barone confessò che non era venuto nè per fare la spia, nè
per dar la caccia a nessuno e molto meno per il gusto di tormentare sè stesso.
Egli era troppo epicureo nel suo animo freddo e metodico per andare in traccia
di dolori inutili sopra gl'indizi malfidi d'una lettera anonima, molto più che
nella sua languidezza fisica cominciava a sentire che le brighe e le gelosie
d'amore non valgono gl'interessi di quel capitale che una bella donna tien impegnato
o morto.
Mentre col cucchiaino andava
rimestando nella chicchera un caffè mezzo freddo, che non aveva voglia di farsi
bere, correva di pensiero in pensiero, di ipotesi in ipotesi fino ad immaginare
che cosa avrebbe dovuto fare nel caso che Ersilia avesse mancato indegnamente
al suo contratto. Non gli pareva ch'egli dovesse dare in ismanie, perdere
l'equilibrio della vita e molto meno dar spettacolo, come un attore tragico,
del suo furore e della sua vendetta.
Per il suo spirito aritmetico, che
secondo la teoria del Bentham suo filosofo prediletto, metteva il bene
nell'utile, Ersilia cominciava a rappresentare una passività nel bilancio della
sua vita e in questo disavanzo il suo stomaco non era il meno danneggiato de'
creditori. E allora piuttosto che andare incontro agli svantaggi d'un
fallimento, la più semplice della contabilità insegna a venir presto a un
concordato prima che le liti e gli avvocati abbiano a consumare quel che si può
meglio impiegare in economie.
La figlia del sor Paoleto, che egli
aveva sposato per assicurarsi un sano godimento, non meritava il sacrificio di
tutta la sua vita e di quei grandi interessi ch'egli andava fabbricando nel
mondo; forse conveniva sfruttar anche quest'accidente e liquidare in una
composizione amichevole i danni emergenti e i lucri cessanti....
Stava seguendo il filo d'una logica
di cui era tessuta per nove decimi la stoffa del suo sentimento, quando, a
scompaginare le somme, vide comparire non dalla bottega del Coiffeur, ma
da una porticina contigua, Ezio Bagliani, che, attraversata la strada, venne a
cercar l'ombra delle acacie, e due minuti dopo sua moglie usciva dalla bottega,
senza ch'egli l'avesse vista entrare in tutto il tempo ch'era rimasto sulla
soglia della pasticceria. Attraversò anch'essa la strada dove, fingendo
d'incontrarsi per caso, si salutarono......
Il barone, prima ancora che il
ragioniere di casa consultasse i registri della convenienza, si mosse. Un gran
buio sì fece a un tratto nel suo cervello e i numeri scritti col gesso
scomparvero sul fondo della tavola nera. I sottilissimi fili logici, che
legavano l'uomo ai pioli del suo egoismo, non valsero a trattenere il gigante
che si risvegliò in lui in quel momento e che gli diede il senso d'una forza
terribile. Mai s'era sentito così violento in vita sua, tranne una volta a
Nizza, quando si accorse che un conte ungherese gli rubava sul giuoco con carte
false. Gli parve di vacillare su un terreno insidioso e malfermo: anzi tale fu
la confusione de' suoi sensi, che non si accorse che la bella coppia s'era
incontrata in quella de' suoi amici Bühler e Zuccani, che scendevano anch'essi
lungo il viale. Egli sopraggiunse quinto non previsto. La baronessa,
arrossendo, cercò di coprire un improvviso turbamento coll'esclamare:
- Oh ecco il mio gran malato... Hai
fatto bene a uscir con questo bel tempo...
- Permetti una parola, Bagliani? -
disse con voce gelida senza turbarsi il barone, invitando il giovine a seguirlo
in disparte, mentre Ersilia si attaccava, come se cercasse una protezione, al
braccio robusto di Bühler.
Per quanto Samuele Hospenthal
mantenesse al di fuori una meravigliosa imperturbabilità e parlasse umile e
discreto, come se proponesse un affare, con tutto ciò gli amici, ai quali non
era ignoto quel che sì poteva dire il segreto di pulcinella, videro o intuirono
che il marito chiedeva una di quelle spiegazioni che gli amanti non sono in
grado di dare.
Unico segno di risentimento di
quell'uomo corretto come una somma giusta era un picchiare nervoso della
bacchettina sul tronco della vicina pianta.
Il giovane sosteneva il noioso
interrogatorio con un viso duro, provocante, in cui passavano dei guizzi
ironici.
Fu un colloquio breve, di due
minuti che parvero una eternità a Ersilia, la quale andava stringendo e quasi
graffiando il braccio del buon banchiere di Zurigo. Questi interrogò cogli
occhi il commendator Zuccani, che, non sapendo che pesci pigliare e non volendo
impacciarsi di cose che uscivano dal suo dicastero, prese a pulire le lenti
degli occhiali.
- Non toccarmi - disse
repentinamente con voce quasi sguaiata il giovine Bagliani, alzando una mano
contro la bacchettina che il barone gli faceva vibrare sopra la testa. - Guai
se mi tocchi! - e prima ancora che il barone avesse idea di nuocere, il
temperamento del giovane la vinse sulle ragioni della prudenza, perchè a un
tratto fu visto strappar di mano all'avversario, romper la bacchettina e
buttargliene in viso i mozziconi.
- Ecco quel che rispondo - disse il
disgraziato trascinato o dalla sua superbia, o da un falso giudizio che
convenga, quando più si ha torto, sopraffare colla violenza le ragioni
dell'avversario. Il temperamento monotono e remissivo del barone potè forse
fargli credere in un vantaggio che la violenza non ha sempre sopra la
resistenza.
Il barone gli fu coi pugni sulla
testa. Accorse il commendatore, mentre Ignazio Bühler trascinava via Ersilia,
che non aveva saputo trattenere un grido. Già alcuni passanti si eran voltati e
stavano a vedere...
- Allora sarà necessario vederci altrove
- disse quasi umilmente il barone, che non potendo impallidire s'era fatto
giallo.
- Dove vuoi, quando vuoi, come
vuoi... - rispose con fredda cortesia il giovine spavaldo, e fatto un inchino,
se ne andò svelto per la sua strada, cioè per quella che aveva davanti.
Il barone si accompagnò al
commendatore che gli si pose ai fianchi, in un rispettoso silenzio per tutto il
tempo che occorse a misurare tre volte innanzi e indietro il viale delle
acacie.
Quando all'orgasmo e ai giallori
della bile sottentrò il giudizio e la visione delle cose, il barone aprì la
bocca e col tono di chi invita un camerata a una partita a domino, disse al suo
vicino:
- Commendatore, posso far conto
anche sopra di lei?
- Ella mi onora, barone - disse
colla sua cantilena il meridionale segretario generale, alzando la barba.
Se Bühler accetta, non desidero di
meglio che di essere assistito da lor due. Essi hanno vista l'offesa,
intendono, forse sanno anche quel che non posso dire. Non desidero che due
cose: far presto e senza rumore.
- Forse sarà bene che ella non
ritorni all'albergo in questo stato d'eccitazione - si arrischiò di consigliare
l'illustre personaggio, pensando alla povera signora, a cui da ventiquattro ore
andava facendo un poco la corte.
- Ci ho già pensato. Prenderò
questo battello che sta per arrivare e andrò a far colazione a Bellagio, dove
resterò a vostra disposizione. Ella intanto, commendatore, mi renderà un primo
favore, se dirà a mio nome a quella signora che vada direttamente a Milano con
suo padre in attesa de' miei ordini. Non bisogna dar spettacolo di sè alla
gente: e, ripeto, più presto che si può, nel miglior modo che si può.
Quando il battello ebbe gettate le
corde, il barone, stringendo la mano del commendatore, gli disse con sorridente
tristezza:
Scusate, cari amici: sono piccole
avventure di viaggio.
- Sul ponte s'incontrò di nuovo nel
vecchio esotico e nella bella giovine vestita di chiaro, che lo carezzava
dolcemente cogli occhi; ma Hospenthal aveva l'itterizia ne' suoi.
Ezio intanto era corso in cerca del
Bersi e insieme mandarono un telegramma ad Andreino Lulli.
Poichè si era venuti ai ferri corti
voleva amici fidati, discreti, gentiluomini provati, che non gli lasciassero
fare una cattiva figura.
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