Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Emilio De Marchi
Col fuoco non si scherza

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA.
    • XVIII.   Pentimento
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

XVIII.

 

Pentimento.

 

Il Cresti arrivava al Castelletto ch'era già notte fatta. Di mano in mano che si avvicinava alla casa delle Polony andava crescendo in lui il dolore della ferita, che durante il giorno e le scosse della battaglia pareva assopito.

Era partito, anzi fuggito, davanti a una ruvida domanda: - Che c'entra lei? - e ritornava col puntiglio di dimostrare che intendeva non entrarci per nulla, per il passato per l'avvenire, per debiti per crediti, e di lasciare a ciascuno la sua libertà di dire e di fare quel che credeva suo diritto. Era un gran colpo per un uomo che si era pasciuto di così lunghe speranze: ma è inutile far conto sopra le nespole che non vogliono maturare nemmeno sulla paglia: c'è da far stridere i denti e null'altro.

Stava per mettere la mano sul martello della porta, quando si sentì stringere il braccio. Era Flora, che, seduta nell'oscurità, aspettava da tre ore che da Lugano arrivasse qualche notizia. Riconobbe subito il passo dell'amico e infilando il braccio nel suo, lo accompagnò in casa.

- E così?

- Tutto bene: niente di grave: umore allegro, ma un assoluto bisogno di quiete e di silenzio. -

Vennero incontro le altre donne col lume e tutte si rallegrarono delle buone notizie. Flora, un po' più pallida del solito, si mostrò tuttavia perfettamente tranquilla, guarita e persuasa. Pregò Cresti di sedere, di riposare, di prendere qualche cosa, almeno un caffè: ma il signor cavaliere col pretesto che le sue donne l'aspettavano a casa, Dio sa con quanta ansietà, chiese subito licenza e senza accettare nemmeno un bicchier d'acqua, si ritirò da una casa in cui non aveva, a parer suo, più alcun diritto di entrare.

Non era una vendetta, ma una legittima difesa. Promise di mandare altre notizie di mano in mano che arrivassero, e augurando la buona notte a tutti, senza guardare in viso a nessuno, ritrovò al buio la strada del Pioppino, e rientrò nella sua solitudine, dopo una lunga e perfida giornata, come un capitano, che dopo una tremenda disfatta, pianta le tende in qualche luogo sicuro. La stanchezza fisica gli procacciò subito un tal sonno che potè dormire tutta la notte.

Dormiva ancora, quando l'Angiolina gli portò il caffè in camera la mattina verso le sette.

Insieme al caffè sul vassoio c'era una lettera che un ragazzo aveva portato poco prima... una lettera di Flora.

Ne riconobbe subito la scrittura larga ed energica sulla busta di carta verde: ma non osò aprirla subito.

Dopo che ebbe lentamente sorseggiato il suo caffè amaro, alzando la voce come se parlasse a qualcuno un po' sordo, disse: - Eccomi a lei, signorina. Immagino quel che mi deve dire. -

Immaginava: ma le sue mani secche ed abbrustolite dal sole tremavano tanto nel toccar la lettera, che dovette aspettare che passasse anche questa morbosità. Passò lentamente: tornò la ragione e poichè quando un dente fa male, è meglio strapparlo se non c'è altro rimedio, con una curiosità coraggiosa corse cogli occhi sulla lettera e vide.... ch'erano due, l'una nell'altra: e quest'altra non era finita, ossia finiva con dei punti sospensivi come se fosse stata bruscamente interrotta.

Nella letterina accompagnatoria la contessina Polony diceva:

«Caro Cresti, mi dicono che stamattina io ho pronunciato parole dure e scortesi contro il migliore de' miei amici: e devo pur credere, perchè non posso dubitare de' testimoni. Ma io non ho coscienza di nulla, glielo giuro, mio buon amico. Quando mi hanno richiamata ai sensi, tornai in me stessa come chi si sveglia da un sogno grave e fastidioso, di cui conserva l'impressione e lo spavento, ma non ricorda più i particolari. Flora, sveglia nella sua coscienza, non avrebbe mai osato dire una parola cattiva al suo buon Cresti, all'amico di casa, al benefattore, proprio in un momento in cui stava scrivendo la lettera che chiudo in questa. Non è tutta la risposta che le dovevo e non trovo opportuno questo momento per darla: forse nemmeno lei la vorrebbe da me in queste condizioni: ma glie la mando come un documento per dimostrarle, mio tenero amico, che se una parola cattiva è uscita da questa bocca, non è Flora che l'ha detta, ma una febbre o una suggestione misteriosa, che mi tolse ogni responsabilità. Non saprei spiegar tutto adesso; ma certamente io ho attraversata un'ora pericolosa della mia vita, come la Sonnambula del dramma, che a fosco cielo e a notte bruna, scende per il ponticello del molino.

«Amico, benefattore mio, cancelli quell'ora dalla sua memoria e mi renda tutta intera la sua cara amicizia. Se mi abbandonano i migliori, che potrò fare sola nel mondo, forse in balìa di cattivi spiriti? Ora mi par di star bene. Il cuore è tranquillo e non desidera che pace. Gliela offro e gliela chiedo con umiltà; abbia compassione di questa povera rivoluzionaria».

 

*

* *

 

Cresti lesse due volte questa lettera: rilesse tre volte l'altra: le mescolò per leggerle insieme, commentò l'una coll'altra, traendo da tutte due la convinzione che Flora era sincera, che il passato non era tutto morto in lei, ma che non aveva più ragione di vivere, che bisognava veramente aver compassione di lei, volerle bene, aiutarla, aspettare che il frutto maturasse da . Ezio, in qualunque modo la brutta storia andasse a finire, poteva risorgere per Flora, questa nel suo orgoglio poteva rassegnarsi a raccogliere le briciole di una scandalosa cronaca. Se il giovinotto usciva dell'avventura colla testa accomodata, più di prima l'avrebbe legato a quella donna un sentimento di solidarietà, che è quasi sempre castigo degli amanti. Messa alla porta dal marito, non restava ad Ersilia Baracchi altro rifugio che la fedeltà dell'amico che l'aveva compromessa. Per quanto ingenua e inesperta delle cose della vita, Flora aveva troppo ingegno, per non sentire, a cuore riposato, la forza di questa ragione ed era naturale che il buon Cresti, il povero Cresti, il vecchio ortolano del Pioppino, con tutti i suoi difetti, con tutte le sue stravaganze dovesse parere un miracolo di rettitudine in confronto di questi grossi fallimenti e di queste avarie morali. C'era dunque a sperare che il senso logico la vincesse sopra le irragionevolezze della fantasia, cioè che Flora in compenso di quella pace che invocava con tanta umiltà, avesse a offrire forse con orgoglio il suo amore.

L'uomo dubbioso e timoroso stette a lungo nel tepore delle coltri a contemplare e a covare il suo sogno, procurando di sceverare quel che di più sincero poteva essere nel sentimento di Flora da quel che vi poteva introdurre il dispetto, l'interesse, la necessità, la debolezza della donna; e finì col concludere che il mondo è di chi se lo conquista: che invalido capitano è colui, che potendo occupare una buona posizione mentre il nemico dorme, aspetta che il nemico si svegli: che poichè Flora invocava da lui pace e perdono, sarebbe stata una vana crudeltà rispondere con dei puntigli e con delle musonerie.

Saltò dal letto, e fatta una toeletta sommaria sedette a preparare un bollettino di guerra; ma ebbe un grande arzigogolare colla penna prima di infilare una parola. Provò due o tre fogli con frasi che gli parevano sempre troppo banali per sonar bene nel grandioso proclama che doveva riassumere le speranze, i sospiri, le ansie, i tremiti, le aspirazioni e le vertigini della sua vita. Finalmente decise di pigliar la strada più corta che non è sempre la più faticosa. Levata da una scatola una carta da visita, la completò così:

 

BENIAMINO CRESTI

 

avverte la rivoluzionaria che verrà stamattina a far colazione al Castelletto. Al melone ci pensa lui.

 

*

* *

 

Qualche giorno dopo corse la voce che la signorina del Castelletto avrebbe sposato il cavallier Cresti del Pioppino. Le nozze si sarebbero fatte, nulla intervenendo in contrario, ai primi di ottobre, e la luna di miele gli sposi l'avrebbero passata al Ravellino, trasformato in villa Flora.

Per quanto prevista, la notizia piacque a tutti e diede motivo a Bortolo di dire: - Oh, oh! l'anguilla trovò il pescatore. -

 

FINE DELLA PARTE PRIMA.


 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License