PARTE SECONDA.
I.
I coniugi Hospenthal.
Dopo la brutta scena sulla strada
di Cadenabbia, Ersilia aveva dovuto fare di necessita virtù, raccogliere in
fretta le sue robe più necessario e farsi portare in una barchetta di nascosto
al vicino Tremezzo per prendere il battello di mezzodì senza dar conti a
nessuno. Suo padre che l'accompagnava non cessava di ripetere: - Te l'avea
dito, benedeta! -
Gli ordini del barone erano stati
precisi, perentori. Non cercassero di commoverlo, badassero a non comparigli
davanti, perchè sentiva una gran voglia di schiaffeggiarli tutti e due:
andassero a Milano in attesa di ordini ulteriori. Egli avrebbe fatto in modo
che non avessero a morir di fame, ma non calcolassero più oltre sulla sua
dabbenaggine e sulla sua misericordia. Ogni pazienza ha un fine.
Convenne obbedire nella speranza
che la tempesta passasse a poco a poco anche questa volta, come erano passata
molte altre.
Il barone non era stoffa da
tiranno, ma vedendosi così oltraggiosamente tradito, il suo primo movimento fu
quello d'un uomo semplice e primitivo, quasi direi d'un animale offeso che
risponde coll'impeto naturale dell'istinto e della gelosia. Sotto la prima
eccitazione egli s'era lasciato trascinare a una provocazione, a un gesto, che
forse oltrepassarono le sue intenzioni; e ciò rese più gravi le circostanze e
portò alle armi. Ma ultimo e languido discendente d'una antica stirpe di
banchieri e di uomini d'affari, che avevano sempre coltivate le sedentarie arti
della speculazione pratica e positiva, Samuele Hospenthal non era uomo nato per
far l'Orlando furioso. Troppo forte parlava in lui il senso logico delle cose,
che tra mille ragioni sa sciegliere la più solida, cioè quella che contiene
tutte le altre: e troppo bene vedeva quel che sia la commedia umana per
desiderare l'onore di ammazzare e molto meno quello più discutibile di farsi
ammazzare in un mondo in cui la vita è tutto e la morte un cattivo affare. Ma
una volta in ballo, ben doveva ballare; un duello non rimedia, ma placa; non
giustifica, ma soddisfa: non restituisce l'onore, ma rinforza l'orgoglio: non
fa un eroe, ma impedisce che un uomo si avvilisca del tutto.
Anche Ersilia sulle prime non aveva
creduto che le cose dovessero andare fino alle estreme conseguenze: e se alle prime
ingiunzioni obbedì prontamente e si ritirò sottomessa, non era tanto una paura
che avesse di lui e de' suoi furori, quanto un'astuzia per disarmarlo più
presto, facendogli sentire l'incomodo della sua solitudine.
Venne a Milano, dove non rimase che
il tempo di riempire il baule e dopo aver scritto quattro righe supplichevoli,
andò a nascondere la sua umiliazione in una casa di campagna presso Vigevano,
dove il barone aveva dei fondi umidi. Il vecchio Baracchi, che in queste
circostanze era il Talleyrand della situazione diplomatica, rimase a Milano più
stordito che impaurito di questo brusco avvenimento, che sperava potesse finire
in un lieto embrassons nous... Ma quando arrivò la notizia che il barone
si doveva battere e battersi alla pistola, il sor Paoleto cominciò a capire che
questa volta il caso era più serio.
«Battersi? - pensava - un uomo come
Sam battersi, e alla pistola? a che scopo? valeva la pena di far colpi in aria
per una quistione ch'era meglio mettere a dormire? e non avrebbe potuto l'adirato
genero provvedere al suo onore, se proprio ci teneva tanto, con qualche altro
ripiego meno drammatico e alla sua età, via, anche meno ridicolo? Un uomo di
quarantacinque anni, mezzo invalido, che scende in campo contro un giovinotto
di ventiquattro per una quistione di donna, aveva tutta l'aria allampanata di
un barone di Monchausen in pantofole, a cui tutti dovessero augurare la mala
fortuna, mentre si sarebbe provveduto così bene, se si fosse partiti tutti
insieme per un bel viaggetto, per luoghi ignoti, dove non potessero arrivare le
ciarle dei quattro gatti, a cui si attribuisce l'onore di rappresentare il
mondo. Si era tanto parlato di un viaggio in Svezia, Norvegia e capo Nord che
al sor Paoleto pareva un errore imperdonabile, da parte del barone suo genero,
di non aver saputo cogliere il momento per sottrarre la povera Ersilia alle
tentazioni. Un duello invece, se nove volte su dieci riesce bene, capita la
volta che le paga tutte: e se il povero Sam, miope come una formica, si
pigliava una palla nello stomaco chi ci guadagnava Dio benedeto? Lui no,
perchè non c'è nulla di più stupido come barattare una rendita di cento mila
lire con un funerale di prima classe. Non ci guadagnava la povera Ersilia, che
restava compromessa per tutta la vita: e molto meno ci guadagnava l'altro bel
giovinetto, che probabilmente aveva creduto di scherzare. E poi prima di morire
bisognerebbe almeno fare un piccolo testamento: e c'era a temere che il barone
in un momento di esaltazione mentale avesse piuttosto distrutte le buone
intenzioni del suo cuore per lasciar parlare unicamente i risentimenti
dell'uomo oltraggiato».
Queste apprensioni, questi sospetti
non potevano lasciar quieto un uomo così tenero della sua prole come il sor
Paoleto. Violando la consegna, fece una corsa sul lago per vedere d'impedire
una catastrofe: ma il barone era già partito e non si sapeva per dove. Il
pensiero della figliuola rimasta a Vigevano, in aria cattiva con tutto il caldo
d'agosto, lo richiamò indietro e s'incontrò con lei alla stazione di Milano.
Ersilia, coll'aiuto segreto del Bersi, era stata avvertita da un telegramma che
si dovevano battere: sperava che suo padre avesse a portare qualche migliore
notizia.
- Si devono battere, lo so, ma non
so dove... Forse si son già battuti...
- Si ammazzeranno?
Perchè si devono ammazzare, benedeta?
i duelli non si fanno mica per ammazzarsi, cara mia. Non è mai morto nessuno di
questa malattia. Pim, pum, un po' di polvere negli occhi della gente, l'onore è
salvo, e embrasson nous... -
Belle parole, degne di
quell'amoroso padre, ma Ersilia ne fu atterrita.
- Si batteranno alla pistola? -
L'idea che questi due uomini fossero per uccidersi per colpa sua, la sgomentò
siffattamente, che per poco non cadeva in deliquio sui gradini della stazione.
Il Bersi nel telegramma aveva taciuto la gravità e le condizioni dello scontro,
che suo padre aveva creduto di attenuare con quel suo pim pum...
- O Dio, o Madonna, io muoio... -
Il babbo fu appena in tempo a
sostenerla e a ricoverarla in una piccola sala del buffet, dove fece portare
subito un'acqua di tutto cedro ben calda e un bicchierino di cognac. Ci volle
tutto un fazzoletto di bucato per asciugare le lagrime di un'infelice creatura
che si stemperava in un dolore disperato. Ersilia si accusava, si condannava, si
accasciava, si scomponeva i capelli colle mani al pensiero che forse uno di
quei poveretti fosse già morto per lei. A suo marito essa voleva bene
sinceramente, riconosceva volentieri il gran bene che aveva ricevuto da lui:
avrebbe voluto dimostrargli che un capriccio d'un'ora non guasta la fedeltà del
cuore: avrebbe voluto correre, precipitarsi fra i due combattenti, ricevere
essa i due colpi come la moglie del Padrone delle Ferriere...
- Tu mi devi condurre là -
proruppe, quando potè porre un freno a' suoi singhiozzi.
- Là, dove? hanno detto che
andavano in Svizzera, ma la Svizzera è grande, angiolo mio. E se andassimo a
casa dove a quest'ora possono essere arrivate delle notizie? Sam ci deve pur
scrivere... - E fatta accostare una vettura di piazza, ordinò al cocchiere di
tornare in via del Gesù.
Sulla porta trovarono il fattorino
del telegrafo. Ersilia strappò di mano al ragazzo il foglietto giallo, l'aperse
con furia nervosa e lesse a voce alta: - Sano e salvo. Bagliani alquanto
ferito. Arrivo alle tre. - Il telegramma era diretto al suo segretario, che
sentì subito sotto le quattro parole una buona disposizione da parte
dell'adirato genero.
- Ho detto io che tutto andava a
finire in niente? Pim, pum, un po' di polvere in aria e poi: «Sano e salvo,
l'altro alquanto ferito.» Ma sarà cosa da nulla, una scalfittura. -
Ersilia stette un istante col
telegramma in mano in un'attonita sospensione, in cui non mancava un senso di
contentezza. Poichè il duello doveva avere un esito doloroso per qualcuno,
meglio così... - pareva che le dicesse il cuore.
- Dio, Dio, non sapevo che si
potesse soffrir tanto a questo mondo! -
Mai forse era stata così sincera
come in questa esclamazione. Oscillando sempre incerta nella sua debolezza
morale, tra la inconsapevolezza del suo fallo e una tenerezza esaltata per i
due poveretti ch'essa aveva scagliato l'un contro l'altro, si martirizzava in
un supplizio di accuse e di giustificazioni: si pentiva con un sgomento più di
paura che di persuasione: piangeva senza capire essa stessa che significato
avessero le sue lagrime. Soffriva insomma davanti a questa dura contrarietà
della sua vita come una bambina che dopo essere stata distratta tutto il tempo
della scuola si vede costretta dalla mamma severa a ripetere un quesito astruso
d'aritmetica, che è sicura di non capire anche se glielo danno risolto. Le idee
di bene e di male erano così liquefatte nel suo spirito di bambina maleavvezza
che era un pretendere troppo il volere che ella separasse l'un dall'altro o
scoprisse qualche verità nel dolore che la faceva soffrire.
Questo solo le risultava, che mai
le era parso di voler bene a suo marito come in questo momento. Guai se non le
avesse perdonato! non avrebbe potuto resistere nella sua disperazione.
- Egli non immagina che tu sia qui,
e sarà bene che per il primo momento ti faccia desiderare, povareta! Se
dice che arriva, è perchè ha delle buone intenzioni; e in verità adesso, che è
tutto finito bene, sarebbe assurdo mantenere dei rancori, e amareggiare questi
pochi anni che abbiamo da stare al mondo. Anche lui non o senza torti, lo sa
bene. Quando ti ha sposata, sapeva bene che tu non eri una mammalucca e che
potevi essere sua figliuola. La colpa è anche sua se ti lascia esposta. Non
puoi sempre vivere di acqua di Wichy, povareta, come vive lui: e poichè
tutto è finito con un «alquanto ferito» stiamo allegri e ringraziamo la
Provvidenza che non sia avvenuto di peggio. E non pensare a quell'altro, che
tra due o tre giorni starà benone. Alla sua età si è come gli scarabei. Puoi
tenerli infilzati un mese su uno spillo che non muoiono mica ve'...... Sicuro
che non lo devi più vedere: oh sì, sarebbe troppo sfacciato, se osasse
comparirti davanti. Tu devi ora tutti i riguardi al povero Sam: gli devi
mostrare che gli vuoi bene, che sei pentita sinceramente, fargli qualche
carezza, povero figliuolo: e vedrai che ti regalerà qualche cosa. Non gli dico
che sei a Milano: tienti nascosta e non uscire se non quando te lo dico io.
Mezz'ora dopo il sor Paoleto
riceveva nelle sue braccia l'amato genero, che arrivava da Como, fresco e quasi
ringiovanito, come se uscisse allora da una cura ricostituente. Parlava ne'
suoi occhi un nuovo piacere, quasi un nuovo coraggio, che se non si sentiva
padron di casa, aveva la soddisfazione di chi gode un bell'appartamento, di cui
ha pagata regolarmente la pigione. Per la prima volta da che era andato vicino
a un pericolo mortale sentiva il piacere della vita, come se avesse ereditato
inaspettatamente il diritto e il piacere di vivere. Gli spasimi di tre giorni
d'agonia, le scosse date al freddo tronco della sua vita intirizzita, avevano
mosso in lui una nuova linfa, che prometteva una fioritura di affetti più
naturali e più disinteressati.
Si lasciò abbracciare dal vecchio
suocero, si lasciò condurre da lui fino alla vettura, lasciò ch'egli parlasse e
si congratulasse: non ritirò la mano ch'egli volle baciare e quando gli parve
di aver vinta la grande emozione del primo incontro, domandò con voce, in cui
tremava una timida emozione: - Dov'è lei?
- Lei... lei, è a Vigevano. Piange,
si dispera e fu lì per morire. Avete esagerato, ecco: ma tutto è bene quel che
finisce bene. Hai pranzato, Sam? -
Il barone si accorse di aver fame.
Dal momento che i padrini l'avevano condotto via dal campo di battaglia con
tutta la sua pelle intatta, sentiva con piacere un'esigenza di nutrizione che
da molti anni non parlava più nel flaccido sacco del suo stomaco ipercloridato.
L'offerta del suocero lo toccò come un piccante aperitivo.
- Dove mi meni?
- Dobbiamo fermarci al Rebecchino?
c'è una cucina sana.
- Mi metto nelle tue mani. Mentre
dò una capatina in Borsa, puoi scendere e ordinare una costoletta.
- Con un risottino bianco... -
Quando la carrozza ebbe passata la
barriera daziaria, il padre che non si era mai sentito tanto padre come in quel
momento, cercò la mano delicata del suo carissimo genero e lasciando cadere due
lagrime, che da un pezzo stagnavano nell'angolo degli occhi, provò a
supplicare: - E di', Sam, non la vuoi proprio vedere quella poverina? me la
vuoi proprio far morire? Se io ti dicessi che vuol bene a te più che a tutti?
- S'è visto..., - brontolò il
barone, diluendo l'amarezza della risposta in un sorriso che non potè essere
del tutto ironico.
- Anche i santi sentono le
tentazioni e si starebbe freschi noi poveri peccatori, se Dio non dimenticasse
volentieri i nostri peccati.
- Sai che ti ho proibito di
parlarmi di Dio e del tuo clarinetto.... Non son cose che si possono risolvere
in una carrozza. Ora vado in Borsa, poi torno al Rebecchino e ti dirò quello
che avrai a fare; ma non voglio essere seccato.
- Il vino lo preferisci bianco,
Sam? - disse il vecchietto, mentre scendeva alla porta dell'albergo.
Mentre la carrozza, continuando la
sua corsa, portava il barone al palazzo della Borsa, il sor Paoleto scriveva
due righe nell'ufficio dell'albergo e le faceva spedire in via del Gesù.
Vedendo il direttore, gli disse: - Il barone Hospenthal verrà qui a pranzo
colla sua signora. Vorrei un salottino solo per noi. -
Il nome del barone non era ignoto
al Rebecchino e le cose furono combinate in modo da accontentare lo stomaco più
schifiltoso. Brodo liscio in principio: costoletta ai ferri con risottino
bianco poco cotto: un quarto di dindo lessato e un fritto di pesce persico
senza maionnese. In quanto al vino, dopo una breve discussione il sor Paoleto
si fermò su un Monte Orobio secco, profumato, un vero tesoro nazionale che se
fosse francese, gl'inglesi pagherebbero venti lire la bottiglia.
Ersilia arrivò cinque minuti prima
che il barone tornasse dalla Borsa, il tempo necessario perchè il padre
diplomatico la mettesse a parte delle cose.
- Gli ho detto che tu non eri a
Milano. Se devo giudicare dall'umore, direi che anche questa volta non è mal
disposto. Ma vuole delle promesse, è nel suo diritto e tu glie le devi fare
solenni e mantenerle poi. È buono, povero Sam; è peccato disgustarlo. Devi
anche riflettere che gli anni passano per tutti e due, senza contar me che sono
già un fico secco e che, quando tu me l'avessi disgustato per l'ultima volta,
si potrebbe andar a sonar la chitarra per le piazze.
Cinque minuti dopo i coniugi
Hospenthal erano nelle braccia l'uno dell'altro. Essa avviluppò così
improvvisamente il suo Sam nelle sue moine, lo intenerì così bene colle sue
lacrime e co' suoi baci, che il furore già non troppo armato del barone si
lasciò disarmare del tutto. Egli aveva bisogno di essere soggiogato. Se a quel
tesoro di carezze e di tenerezze non osava rinunciare senza patimento prima,
quando si sentiva più svogliato e malato, meno sentiva di potervi rinunciare
ora che provava il gusto di vivere come non aveva provato mai.
- Bene, bravi: ecco tutto
finito.... - conchiuse il sor Paoleto. - Non lasciamo venir freddo il brodo.
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