V.
Triste incontro.
La sera del giorno successivo i nostri
viaggiatori arrivavano a Villa Serena. Andreino aveva mandato avanti un
telegramma a Cresti che avvisò le persone di servizio e fece aprire la casa.
Per evitare a Ezio il su e giù del battello a vapore, ad Argegno avevano presa
una barca con due buoni rematori che in breve tempo li portarono alla punta del
Barbianello, dove giunsero sull'ora d'uno splendido tramonto.
La vecchia Bernarda, che non aveva
quasi più lagrime per piangere, quando vide dalla punta spuntare la barca e
riconobbe le persone, come se vedesse venire non una barca ma un mortorio,
esclamò: - Povero il mio Ezio! ha fatto bene la sua mamma a morire. -
Il Cresti, che passeggiava da
un'ora coll'orologio in mano, inquieto, colla febbre indosso, al cenno che
Andreino fece da lontano col fazzoletto, vide farsi oscura l'aria. Amedeo e il
vecchio Giosuè, che spiavano dalla terrazza della darsena, si mossero dicendo:
- Son qui. -
Cresti non aveva detto nulla al
Castelletto di questo ritorno per risparmiare a quelle donne la tristezza del
primo incontro. Le cose eran andate in modo che egli non sapeva nulla del
viaggio di Flora a Lugano e credeva che la fanciulla ignorasse la disgrazia
toccata ad Ezio. Ma Flora, alle prime mosse aveva saputo strappar la verità di
bocca ad Amedeo che il Cresti volle condurre alla villa per avere un aiuto
pronto e intelligente. Prima che la barca uscisse dal Barbianello, Flora era
alla casa di Regina al torrente. - Accompagnami - le disse - non possono tardar
molto. È inutile che mi facciate dei misteri. So tutto. -
Regina mormorò qualche parola di
commiserazione e uscì con lei. Per non lasciarsi vedere da Cresti, che avrebbe
potuto mandarle via, le due ragazze si trattennero in disparte dietro il casino
svizzero, da dove, senza essere viste, potevano dominare il lago.
Flora era delle due la più
tranquilla. Mentre Regina non poteva frenare le lagrime e cercava di soffocare
i singhiozzi nell'angolo del suo grembiule, la figliuola del colonnello Polony
guardava fissa innanzi a sè come forse aveva spiato suo padre dall'alto del
poggio, cinque minuti prima di comandare l'ultimo assalto.
La barca approdò non alla darsena,
ma alla riva aperta, a' piedi della scala. Andreino saltò per il primo a terra
e porse la mano a donna Vincenzina. Cresti, Amedeo, Giosuè scesero loro incontro:
ma nessuno seppe trovare la parola che valesse a rompere un silenzio così
doloroso. Aiutato da Massimo e da Andreino, Ezio, che nel toccare la soglia di
casa sua sentiva venire incontro tutte le belle cose della sua giovinezza,
discese dalla barca, si fece dare il bastone e quando gli parve d'essere
orientato, disse: - Lasciatemi, ora son pratico.- -
E venendo avanti col passo misurato
e cauto del cieco, raggiunse la rampa della scala, sentì sotto la mano il
ruvido della cinta e cominciò a salire.
- Son fioriti gli oleandri - disse
quando fu in cima, dove si fermò un istante colla faccia rivolta verso la stesa
del lago di cui sentiva l'ampiezza aperta ed il mormorìo pieno di seduzioni. I
parenti seguivano a pochi passi di distanza colla stanchezza di chi torna da
una battaglia perduta. Cresti non vedeva gli scalini, tante erano le lacrime
che gli velavano la luce.
*
* *
Quando ebbe respirato un poco il
soffio del vento, il cieco piegò verso il boschetto delle magnolie dove s'era
avanzata ad aspettarlo Flora. Pallidissima, ma rigida e forte accanto al tronco
di un albero a cui appoggiava la testa, la fanciulla addolorata guardava con
occhi spasimanti.
Regina, nascosta fra gli alberi,
s'era lasciata cadere in ginocchio e pregava a voce alta, perchè la Madonna
desse a tutti la forza di sopportare quel gran male.
Ezio veniva abbastanza sicuro,
guidato dal sentiero sabbioso che strideva sotto i suoi piedi nell'ombra già
folta del viale che aveva per sfondo la luce del lago; quando, parendogli di
udire una voce, si fermò, alzò il bastone come spada e domandò in modo di
scherzosa esclamazione: - Chi va là? -
Flora non rispose, ma si precipitò
verso di lui che si sentì chiuso nelle sue braccia. Egli sentì le sue labbra
sulla fronte, sentì l'affanno della muta angoscia e credette per un istante che
la morte più volte invocata venisse davvero non senza qualche conforto. Tutti
si strinsero davanti a quella scena improvvisa in un sacro raccoglimento, come
se in quei due giovani cuori vedessero soffrire tutta la natura umana.
Il silenzio che seguì per circa un
minuto fu così religioso e profondo che la voce di Regina uscì come un mesto
suffragio, come la preghiera del sacrificio.
- Vedi, Flora, come mi hanno
conciato? - fu il primo a dire il poverino, che si sforzava di mantenere nello
spirito e nella voce la pacatezza dell'antico elegante: - Addio, maschere,
Flora! nemmeno Pomponio Labeone l'avrebbe prevista. -
Essa rispose con tutte le sue
lacrime, che Ezio sentì cadere così spesse e così calde sul viso che, dimenticando
sè stesso si fece a consolarla. - Povera Flora - disse commovendosi, mentre
lasciava scorrere la mano tremante nel fitto dei folti capelli, come se
cercasse con quella carezza di darle un segno dell'antica fratellanza: - Ti
faccio piangere troppo, povero cuore. So che mi volevi bene, povera Flora, è un
castigo grosso... ma ci vorrà molta pazienza. Ti conterò tutte le fandonie che
mi hanno dato a bere in questi quindici giorni. Fu una cura di bugie: ma ora
non c'è più dubbio. Sono orbo, orbo come una talpa. Però son contento di essere
a casa mia... Dove siamo? dammi la mano, Flora, così... Questa è la porta di
casa, ecco il primo gradino. Qui ci sarà la Bernarda, immagino, nascosta in
qualche cantuccio. Dove sei tu? credi che non ti senta piangere, mia vecchia
trottola?
- Son contenta di vederla, sor
padron.. - fece per dire la povera donna; ma le rughe del vecchio volto
s'irrigidirono in una contrazione nervosa, quasi in una smorfia di pianto
trattenuto.
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