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Emilio De Marchi
Col fuoco non si scherza

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  • PARTE SECONDA.
    • VI   La grande battaglia
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VI

 

La grande battaglia,

 

Seguirono giorni di pena, di ansietà, di paura. Ezio mostravasi calmo, quasi rassegnato: ma non c'era da fidarsi. Don Andreino, scrivendone al Bersi, non nascondeva le sue preoccupazioni: «Se egli non me lo avesse già dato ad intendere a chiare parole, basta conoscere il carattere di Ezio per ritenere che un giorno o l'altro troverà un estremo rimedio a questa estrema sventura. Nessuno potrà impedirlo: quasi sto per dire poco cristianamente che non si oserebbe dargli torto.

«Ora sta sistemando le cose sue, vuol pagare i suoi debiti, ordinare le carte di suo padre, preparare un testamento. A sentirlo parlare con tanta freddezza ti fa gelo al cuore. Vi son parole di conforto per questi mali? io non ne so trovare.

«Anche mia zia, la marchesa di Villamare, è cieca da dieci anni: ma ce n'est pas la même chose. La marchesa ha settant'anni e dopo aver adoperato assai bene i suoi bellissimi occhi s'è data al buon Gesù. Ezio è un agnostista (uso la parola che il Brunetière adopera in un suo stupendo articolo della Revue des deux Mondes) e a ventiquattro anni non manca il coraggio di morire. Le gest est beau.».

La Bernarda ebbe presto motivo di persuadersi che questi sospetti non erano infondati.

Un giorno, mentre stava accomodando la biancheria, vide entrare nella stanza Ezio, che in pochi giorni aveva riacquistata la pratica della casa. Dopo aver toccato i vari cassetti dell'antico scrigno di mogano, fece scattare un battente e ne ritirò una cassetta di cuoio. Apri l'astuccio, palpò, carezzò colla punta delle dita le canne lucide e brunite delle pistole mollemente tuffate nella loro custodia di velluto, ne levò una piccola rivoltella di cui fece scattare rapidamente il grilletto....

La povera donna fu per corrergli addosso e strappargliela di mano, ma si trattenne, vedendo che il giovine rinchiudeva l'astuccio, collocava questo di nuovo nello stipo, ne ritirava la chiave, mormorando qualche parola secondo l'abitudine che aveva preso di parlare con stesso, quando sapeva di esser solo, quasi per un bisogno di ritrovare nel buio la sua personalità.

La vecchia domestica raccontò quel che aveva visto a donna Vincenzina, che ne parlò a Massimo e a Cresti. Che si doveva fare? mettere a fianco del giovine una persona che lo seguisse in tutti i passi non era possibile, perchè Ezio aveva dei momenti di cupa sofferenza in cui non voleva nessuno accanto a : e a questi succedevano ore di non meno cupa oppressione morale, durante le quali rimaneva disteso sul letto in una muta tetraggine che non sempre le lagrime riuscivano a rompere.

Se una vigilanza era possibile di giorno non era egualmente facile di notte, se anche si fosse trovata la persona capace di assumere un incarico così pericoloso.

Se ne parlò a lungo col Cresti, ma il signor Cresti aveva già troppi pensieri suoi, perchè potesse consigliare o sacrificarsi. Il matrimonio con Flora era stato fissato per la metà o per la fin d'ottobre e allo sposo stava a cuore che il Ravellino per quel tempo, lavato e ribattezzato in Villa Flora, fosse discretamente in ordine almeno nelle sue stanze principali.

La terribile disgrazia di Ezio aveva gettata un'ombra di cattivo augurio sulla felicità del solitario del Pioppino; ma alla fine bisognava che tutti si facessero ragione. Ezio non era mica un suo parente e bisognava anche dire che era andato a cercarla col lanternino. Giudicando dalle apparenze, anche Flora per la prima pareva persuasa di questa necessità. Tutto era possibile tranne il tornare indietro. Se il buon Dio avesse voluto con un miracolo ridonare la vista al cieco, Flora non poteva raccogliere l'eredità di uno scandalo. Tra lor due c'era oggi un orgoglio ferito che non si poteva più medicare, e l'orgoglio divide più della morte.

Così il buon Cresti procurava di far in modo che la logica non impedisse la sua felicità; la quale era veramente grande, saporita, luminosa. Finalmente gli pareva di aver trovata la parola lungamente cercata che spiegava l'enigma intorno a cui si era logorata la sua mente per tutti gli anni della vita. Tutte le parti dell'indovinello si schiarivano negli elementi parziali di quella parola che le riassumeva. Dite «amore» e la vita è la cosa più facile del mondo.

E Flora?

Flora viveva come una sonnambula. Quel suo povero cuore s'era quasi spezzato del tutto alla vista del cieco che veniva titubante, col viso alto e pallido, spento.... Quello non era più il suo Ezio, ma il cadavere di Ezio che camminava.

Un sacro orrore si era impadronito del suo spirito e andava continuamente scompigliando i suoi pensieri e i suoi affetti. Non sapeva più che cosa desiderare per per il disgraziato. Arrivavano momenti in cui non capiva nemmeno i ragionamenti più semplici e le dimostrazioni che la mamma andava ripetendo per la centesima volta. - È una grande disgrazia - diceva la signora Matilde alla figliuola - ma dal momento che egli non ha avuto occhi per te quando ci vedeva, non c'è motivo che tu perda ora i tuoi a piangere quel che non si può riparare. Ciascuno ha i suoi doveri nella vita, e come hai rinunciato a lui quando era felice e trionfante, devi per un motivo ben più nobile e santo rinunciare, a lui, ora che hai promesso il tuo cuore e la tua mano a un galantuomo che ti vuol bene. Cresti non ama veder questo tuo abbattimento. Per quanto grande sia la disgrazia di Ezio, tu non gli puoi giovare colle tue lagrime.

- Io non piango, mamma - diceva Flora.

- Non piangi, ma fai peggio. Non parli, non mangi, non capisci nulla.

- Dicono che egli si ucciderà.

- A Ezio non mancano le ragioni per vivere, se nella sua coscienza c'è ancora qualche cosa che non sia orgoglio e vanità. Ma comunque sia, o mia cara, che giova il tuo piangere?

- Io non piango mica, mamma.

- Che gli giova il tuo soffrire? egli deve essere contento di sapere che hai trovato in Cresti un onesto e sincero protettore. Settembre è quasi per finire e troppe cose abbiamo a preparare, perchè abbia a perdere il tuo tempo in questa malinconia senza rimedio.

- Tu hai ragione, mamma. -

Pareva persuasa di queste ragioni: ma scrivendone di ad pochi giorni a Elisa d'Avanzo essa tornava a girare ancora intorno alla sua dolorosa idea: «Dicono che se Ezio avesse la fede delle nostre madri e la nostra, troverebbe la forza di sopportare la sua sventura: e per invocarla questa fede la zia Vincenzina ha fatto celebrare un triduo alla Madonna del soccorso. Ci siamo andato ieri per la prima volta sull'albeggiare, e ho cercato di portare lassù quanto c'è di meno cattivo nell'anima mia. La buona Regina mi persuase ad accostarmi alla Santa Comunione e volentieri seguii i consigli di un'anima semplice per mettermi anch'io in quello stato di semplicità che provoca la grazia. Ho bisogno di tutti i soccorsi del cielo, mia cara, perchè questa povera testa non afferra più certe ragioni e non sa più che cosa credere e che cosa pensare. Che faccio io per salvare un'anima in pericolo? Ora egli parla di stabilirsi in un suo fondo del basso milanese, dove potrà, dice, attendere all'amministrazione delle cose sue, vivere in pace, solo, senza dar noia a nessuno: ma tutti sentiamo ch'egli cerca i mezzi per meglio ingannarci e che il suo viaggio sarà ben più lungo e più triste. E intanto mi parlano di nozze...»

La mamma se la vedeva spesso comparire in camera, di notte, pallida e agitata perchè diceva di aver udito un colpo nell'aria dalla parte di Villa Serena. Le prime volte che aveva tentato di varcare il cancello della villa dopo il suo incontro con Ezio, s'era sentita respingere da una forza invisibile. Il suo cuore era diventato un garbuglio di sentimenti, di desideri, di paure, di sgomenti, in cui non sapeva raccapezzarsi. Una specie di ripugnanza fisica urtava collo spirito avventuroso del suo carattere. Temeva di essere avara o crudele con un poverino così disgraziato, ma non vedeva in qual modo avrebbe potuto essere pietosa. Ora l'idea del suo matrimonio con Cresti le si presentava come un grottesco assurdo, ora rifugiavasi in questo destino con un senso di sollievo, cedendo volentieri al dovere, come chi approda su uno scoglio che salva da un naufragio.

Una mattina la zia Vincenzina le mandò a dire che aveva bisogno di parlarle. Venisse subito per una comunicazione urgente, ma non dicesse nulla per ora alla mamma.

Il giorno prima Ezio s'era fatto condurre dai barcaiuoli a Lezzeno in cerca di un vecchio notaio Morelli, che aveva goduto la fiducia del babbo, ed aveva avuto con lui un lungo colloquio.

Ora il notaio scriveva con riservatezza, per avvertire la signora Bagliani, che il giovine aveva dettato un vero testamento, come se fosse alla vigilia della morte. All'Istituto dei ciechi poveri di campagna aveva lasciato il grosso della sua sostanza, cioè le rendite del suo fondo di Brentana: una somma era destinata per la pubblicazione delle memorie di suo padre: venti mila lire come regalo di nozze a Flora Polony, oltre a molti altri ricordi e regali a parenti e ad amici.

Il buon notaio sentiva il dovere di rompere in questo caso i suggelli della circospezione professionale, perchè gli era parso di comprendere che il disgraziato giovine meditasse un sinistro proposito. Vedessero i parenti quel che si poteva fare per salvarlo.

La zia Vincenzina prima ancora di parlarne a Massimo e a Cresti, seguendo un segreto istinto del cuore, aveva voluto discorrerne a Flora, in cui sentiva una naturale alleata.

La fanciulla giunse alla Villa verso lo due, e dal vialetto dei carpini fece seguo alla Bernarda che corse ad avvertire la signora. La zia disceso subito e risalendo colla fanciulla il giardino, le diede a leggere la lettera del notaio e si consigliò con segreta ansietà su quel che si doveva fare.

Flora lesse e impallidì: però dopo un istante, senza smarrirsi, riprese: - Lasciami questa lettera, zia, gli parlerò io. Sì, sì, gli devo parlare. Non si può abbandonare un'anima che soffre. Non c'è nulla che vale più d'un'anima. Dov'è? andiamo subito da lui: forse ho già tardato troppo. -

 

*

* *

 

Parlava ora con una calda animazione, senza tremiti, senza lacrime.

Il suo volto si era rianimato come sotto il riflesso d'una fiamma interiore, che fosse balzata all'improvviso dal suo cuore coperto di cenere, ma non spento. Dopo aver tentennato un pezzo tra oscuri viottoli, le pareva di vedere finalmente aprirsi una strada luminosa davanti a , la strada diritta che menava alla mèta, la sua strada, insomma!

- Non dirgli che ti ho parlato - soggiunse la zia Vincenzina - ma fingi d'essere venuta qui da te, a caso. Eccolo che esce ora in compagnia di suo zio. Va loro incontro e procura di scoprire i suoi pensieri. Noi vi raggiungeremo poi: oh si, dobbiamo combattere tutt'insieme questa grande battaglia. Va, e che la Madonna ci aiuti tutti, cara la mia figliuola! -

Flora andò incontro ai due che scendevano lentamente per il viale della darsena. Quando fu loro vicina cinque passi, fece un segno colla mano allo zio Massimo perchè tacesse e sentì Ezio che diceva; - No, no, miei cari. Io non voglio essere di carico a nessuno; la mia disgrazia non dev'essere la disgrazia di tutti. Per quanto non dubiti del vostro affetto e del vostro coraggio, penso che laggiù a Brentana, lontano dal mondo, mi sarà meno difficile rassegnarmi al mio destino. -

Il volto del giovine parve a Flora molto dimagrato. La barba bruna, che aveva dovuto lasciar crescere, faceva comparire ancor più pallida la tinta del suo viso, che nelle linee acute e corrette del profilo aveva un non so che di freddo e di marmoreo sotto la cornice nera d'un berretto d'astracan alla Russa, che gli copriva il capo e parte della lunga cicatrice.

L'immobilità degli occhi, oltre a dare a tutta l'espressione di quel viso affilato una rigidezza statuaria, versava sulla fisionomia, un così luminosa ed aperta, quasi un velo di triste oscurità. La voce già così balda e dominatrice, risonava come depressa in una lenta estenuazione piena di lacrime segrete e di rancori, che si manifestavano in bruschi scatti di tutta la persona e nel modo con cui agitava davanti a il bastone che gli serviva di guida. Vinto, prigioniero, incatenato nella sua sventura, il vincitore di ieri trascinava non umilmente la sua miseria: e non era difficile scorgere ch'egli pensava di procacciarsi una suprema rivincita, quasi quasi una vendetta, nell'estremo castigo che andava segretamente preparando a stesso.

- Ecco quà la nostra Flora - disse lo zio Massimo, quando la fanciulla con un gesto del capo ebbe acconsentito.

- Flora? - esclamò Ezio con una dolente cantilena - beato chi la può vedere! Credevo che mi aveste dimenticato voi altre del Castelletto. Anche Cresti non si vede quasi mai.

- Si teme di disturbare - mormorò la fanciulla.

- Vado a vedere se è arrivata la posta - interruppe lo zio, obbedendo ad un richiamo che donna Vincenzina gli fece da lontano.

 

*

* *

 

Quando i due giovani sentirono di essere soli caddero e si indugiarono in un pensiero oscuro, che avvolse come una nube tutta la loro vita. Il silenzio che ne seguì parve a entrambi più pesante della pietra d'un sepolcro. Ezio sentì la necessità di uscirne per compassione di tutt'e due, per rispetto a e anche per quel senso orgoglioso di ribellione che non era ancor morto in lui e su cui andava facendo gli ultimi conti.

- Stanotte credo di aver avuta un po' di febbre e sento volentieri il caldo del sole - Riprese a dire, mentre sedeva sul muricciuolo di sponda, voltando le spalle ai raggi. Flora gli si fermò accanto, in piedi.

- Stavo dicendo a questo sant'uomo di mio zio che mi pare arrivato il momento di sistemare la nostra reciproca situazione. Oramai ho perduta ogni speranza ch'io possa ricuperare i miei occhi di prima. Se fosse, come volevan farmi credere, un fenomeno di debolezza nervosa, a quest'ora dovrei provare qualche miglioramento, mentre invece mi pare di scendere sempre più in un sotterraneo. È un po' dura, ve', Flora, ma è così... - E vinta anche questa amarezza, continuò, con una voce più rinvigorita: - Dunque ho pensato di farmi portare a Brentana.

- Fin laggiù?

- Per me ormai laggiù o quassù è lo stesso. Laggiù sentirò a cantare le rane.

- In quella tristezza? qui c'è chi ti vuol bene.

- Lo so; ma non posso pretendere che altri si sacrifichi per me. La mia madrina mi vuol bene, certo: e ora c'è anche questo sant'uomo dello zio Massimo, che si offre di stare con me: ma io non devo dimenticare che l'una ha già sacrificato alla mia casa forse più di quanto è giusto che una donna sacrifichi al suo dovere: e l'altro... non è alla sua età e con qualche vizio di cuore che si possono cambiare gusti e consuetudini... - E dopo aver fatto di nuovo un piccolo sforzo sopra stesso, come se saltasse una dolorosa idea intermedia, uscì a chiedere: - E il vostro matrimonio quando si fa? Sono un po' in collera con Cresti e un poco anche con te, Flora, perchè ho saputo di questo vostro matrimonio quasi per caso dalla Bernarda... -

Flora, saltando anch'essa con supremo sforzo alcune idee intermedie, troncò il discorso tedioso, uscendo a chiedere: - «Non ti pare che qui l'aria sia troppo forte? -

Il vento di sud cominciava a muovere lo acque del lago, che luccicavano in infinite piccole increspature e a fremere nelle foglie degli antichi platani.

- Forse hai ragione. Dove siamo? Quando mi distraggo perdo facilmente la trebisonda del giardino, il braccio a questo pover'orbetto. -

Flora stese la mano e strinse quella del giovine ancora irrigidita da un resto di febbre.

- Tu hai freddo - essa balbettò.

- Sempre, dacchè non vedo più il sole - rispose, appoggiandosi col peso alquanto inerte del corpo al braccio della fanciulla.

- O Ezio, tu devi aver molto coraggio... - prese a dire Flora carezzevolmente.

- Perchè? per chi? Flora? - chiese egli soffermandosi.

- Per te, per i tuoi, per noi tutti...

- So che mi volevi bene, povera Flora - si abbandonò a dire imprudentemente l'infermo, lasciandosi prendere e trascinare dall'onda di quella soave compassione ch'era venuto a cercarlo. - Mi hai perdonato, Flora, il male che ti ho fatto? Io non avrei attirato sopra di me e sopra di noi questo castigo, se avessi ascoltato i buoni suggerimenti del cuore.

- Non pensare al passato e a quel che non si può più fare - disse la fanciulla con animo sostenuto, persuasa di essere in quel momento quasi la voce di Dio: - Tu devi vivere, Ezio, non per ricordare quel che è scomparso, ma per quel che puoi fare ancora di bene: e nel bene che farai a te e agli altri troverai la forza di sopportare il male. Non devi credere di aver perduto tutto, fin che ti resta un cuore che ti vuol bene: e noi siam qui tutti intorno a te non di altro occupati che di volerti bene e di aiutarti a sopportare questa sventura. Quanto potrai vedere attraverso al nostro amore, lo vedrai come prima, forse più bello di prima. La luce non è soltanto negli occhi: anzi quella che viene dall'amore delle anime è forse più chiara. Noi ti aiuteremo a ricordare, a sperare, a credere. Non lasceremo spegnere le immagini della tua giovinezza, che invecchieranno meno presto per te che per noi, perchè tu le conserverai come un tesoro riposto e non le dissiperai in cose nuove. Qui conosci il paese: sai da dove spunta il sole e dove tramonta: conosci le piante e i fiori che ti circondano e ad ogni primavera sentirai nel profumo degli alberi ringiovanire la terra, rinverdire le siepi, rinnovarsi il piacere di vivere. E intanto noi ti leggeremo i libri più belli, ripiglieremo il nostro Beethoven in cui si può vedere tutto quello che si vuole: insomma tu vivrai di noi, qui, al Castelletto, al Pioppino, pigliando di noi soltanto quello che è più caro. E se sentiremo che ci sono altri infelici nel mondo, chi ti vieterà di ritrovare in essi la tua famiglia? Ma perchè ciò si possa fare, Ezio, è necessario che tu non ci nasconda nulla. Chi nasconde i suoi dolori comincia a disperare. Noi abbiamo troppi motivi per credere che tu c'inganni e stai preparandoci un tradimento. Ebbene, no, Ezio: tu non devi morire.

- Che cosa è il morire davanti a questo soffrire?

- No, Ezio, tu non devi morire per rispetto al tuo stesso dolore, che è più alto e più santo d'ogni rancore. L'anima è più forte della morte....

- Ma io, cara Flora, non ho più nulla a leggere in questo libro stracciato della mia vita.

- Ma puoi scrivere pagine nuove. Tu non puoi dire che la tua vita non valga nulla fin che non ne hai afferrato il significato ultimo; e meno ancora puoi dire che nulla valga la vita di , se non hai finito di leggere questa, che comincia non quando si nasce, ma quando nasce la coscienza. Hai tu mai avuto tempo di pensare a queste cose, mentre ti divertivi e cercavi di affogare la coscienza nelle distrazioni? Forse è Dio che ha bisogno di te, Ezio, che non ha voluto perdere quel che tu gli devi e gli puoi dare: e se Dio ti vuole, inutilmente cerchi di sfuggirgli. Resta, resta dunque con noi a studiare e ad imparare tutto quello che è bello e utile di sapere: la morte verrà da naturalmente, a suo tempo, buona e pietosa come un sacro epilogo della nostra esperienza....

- Flora, chi ti mette in bocca queste parole? - esclamò il giovine infelice, arrestandosi e aggrappandosi più forte al braccio della fanciulla. Essa pure si scosse un poco meravigliata nell'inseguire l'eco di parole che non aveva mai pensate preparate. Chi aveva parlato in lei?

- Può essere che parli in te qualcuno a cui bisogna obbedire: ma nella morte dev'essere una gran pace, Flora.

- Ma tu lasceresti indietro un'inquietudine eterna. Tu non puoi uccidere in te tutti quelli che ti amano. -

Il tremito lagrimoso con cui Flora pronunciò queste parole disse a Ezio ch'egli non poteva morire senza ferir mortalmente anche il cuore di chi s'era fatto di lui un idolo. Egoista nel piacere, si accorse di non esserlo meno nel suo dolore: ma non volendo arrendersi tutto ad un tratto e confessare il suo torto, cercò ne' suoi stessi mali la sua giustificazione: - Ah tu non sai che significhi avere sulle spalle una testa chiusa e pesante come una palla di bronzo. Senti com'è fredda questa testa senza luce.... -

Flora prese nella mani la testa che il giovine le porse e la strinse a lungo come se volesse col lungo contatto far entrare un poco di calore della sua anima. Vedendo che quasi stava per perdere i sensi, lo sorresse sotto il braccio e lo menò a sedere dietro una fitta siepe di sabine dov'erano alcuni sedili in un spazio erboso. Qui s'inginocchiò sull'erba e tratto il fazzoletto asciugò le piccole stille di sudore freddo che gli imperlavano la fronte e le lagrime che stillavano dagli occhi spenti, come se in essi si riaprisse una nuova fonte di commozione.

Rimasero così un gran pezzo in silenzio, nel segreto di quell'ombra in cui il vento che fuggiva tra gli alberi recava il profumo dei fiori misto all'umido odor del lago che ciangottava contro la ghiaia della riva vicina. Egli avrebbe voluto dire molte cose: ma una stretta convulsa gli serrava la voce nel petto pieno di dolori nervosi. Tremava tutto, agitando le mani sottili e bianche con cui cercava d'invocare pietà e compatimento. Eran troppe le cose che avrebbe voluto dire e più ancora quello che non avrebbe saputo dire e che sgorgavano nuove e impetuose dall'inesplorato fondo della sua coscienza.

Una volta la mano cadde sulla testa di Flora e vi si fermò nel fitto e caldo volume dei capelli. - O Flora, o mia povera Flora, che bene che mi fai. Tu mi scaldi la mano e il cuore. Resta, resta, tu sei il mio sole... Non ti ho mai veduta così bene come ti vedo ora. Come sei bella, Flora!

- Mi giuri che non ti farai del male?

- Sì per te, soltanto per te, lo giuro, Flora.


 

 

 




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