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Emilio De Marchi
Col fuoco non si scherza

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  • PARTE SECONDA.
    • XI.   Addio....
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XI.

 

Addio....

 

Nuovi pensieri gli fecero ben presto dimenticare questo episodio. Andreino aveva letto bene nell'intenzione che spingeva il suo disgraziato amico a intraprendere un viaggio lungo e forse avventuroso, pel quale mancavagli il lume dagli occhi, che è il piacere più vivo di chi va in cerca di nuovi orizzonti. Più che la speranza di ritrovare nei miracoli del dottor Gibbon la grazia della vista, lo menava lontano il pensiero di mettere tra lui e Flora un lungo intermezzo di silenzio, un impedimento materiale, uno spazio insuperabile, nel quale egli potesse svincolarsi e spogliarsi del nuovo fascino che la vicinanza di lei esercitava sul suo spirito stanco e bisognoso.

Ezio aveva paura della sua debolezza morale, la quale spesso si adagia a vivere della vita degli altri ed è non meno vorace nel suo parassitismo di quel che sia il più feroce egoismo.

Dal giorno che lo zio Massimo, leggendogli qualche malinconiosa lettera della zia Matilde, aveva richiamato la sua attenzione su questo nuovo pericolo e sugli obblighi che aspettavano Flora a casa sua e sui diritti che il vecchio amico del Pioppino vantava sopra di lei, era entrata nel suo cuore la convinzione che ora toccasse a lui il dovere di essere il più forte perchè non poteva rispettare in nessun miglior modo Flora, se non col restituirle la libertà d'essere fedele a' suoi doveri.

La sua sventura non gli dava altro diritto oltre a quello che si risolve nel meritare le lagrime dell'altrui compassione. Voler di più sarebbe stata nella sua meschinità fisica un'abbietta usurpazione, una violenza che avrebbe deturpata la santità del dovere.

Toccava a lui, toccava a lui essere non solo il più forte per conto suo, ma sorgere difensore non chiesto della naturale debolezza di lei, già inclinata al sacrificio, già trascinata da mille memorie, già fin troppo intenerita da troppe lagrime.

Poichè gli amici Jameson parlavano di voler essere per le feste di Natale nel seno delle loro famiglie, Ezio pensò di approfittare del loro replicato invito e affrettò con Andreina segretamente i preparativi del viaggio. Egli era persuaso che Flora l'avrebbe seguito col pensiero... ma ogni parola di addio non poteva essere tra lor due che uno strazio inutile o una volgare menzogna.

Il silenzio o l'eloquenza del sacrificio.

Il Morning Star, il grazioso yackt dell'amico americano era venuto a prendere i vicini Jameson per una gita notturna da farsi al chiaro di luna e a cielo stellato, una gita che doveva spingersi questa volta fin quasi alle coste di Marsiglia. Ezio e Andreino Lulli furono invitati a prendervi parte. Donna Vincenzina e Massimo, occupati nei preparativi del loro matrimonio si scusarono e approfittarono di quest'occasione per far una corsa a Genova a finir certe spese.

Flora rimase quel giorno sola a custodire la casa e a preparare la cena.

Dalla terrazza della villa si poteva vedere il Morning Star ancorato nella piccola baia: e se dalla sera si doveva arguire la notte, il viaggio di quei signori sarebbe stato delizioso. Col canocchiale Flora potè assistere all'imbarco degli amici quando salivano a bordo, mentre il sole cominciava a discendere dietro il promontorio, su cui l'antica chiesa diroccata sfolgorava in una gloria d'oro, versando nel seno tranquillo delle acque un tesoro infinito di gemme.

Poco dopo vide spuntare a bordo un primo lume e dalla finestrella della stiva accendersi il fuoco della macchina, mentre un leggero sibilo e un pennacchietto di fumo annunciavano la prossima partenza. Poi credette di veder sventolare qualche cosa di bianco, a cui ella rispose agitando il fazzoletto: e stette a seguire il corso del piccolo legno finchè, rimpicciolito, scomparve dietro la punta di terra,

Allora si ritirò dalla loggia mentre già cominciava a imbrunire: e per far venire l'ora in cui gli zii sarebbero tornati da Genova, accese le candele e sedette al pianoforte a evocare dalla tastiera reminiscenze musicali a cui mescolava le sue improvvisazioni come scaturivano naturalmente dalle dita.

Una tenera frase di Chopin, venuta da a frammischiarsi tra le note d'un confuso rondò, volse l'animo suo a un senso misterioso di malinconia, che richiamò immagini riposte di cose morte e lontane. Pensò alle tristi giornate del Castelletto, a sua madre, agli amici di laggiù: e intanto che le mani illanguidivano sugli avori, gli occhi si fissavano inerti alla fiamma della candela.

- Signorina, un lettera per lei - disse la cameriera entrando - l'ha portata una ragazzina.

Era una soprascritta grande, di mano inesperta, una vera scrittura di bambina di scuola. Chi poteva essere? Aprì la carta, e lesse nella prima riga: «Scrivo... colla manina di Sabinetta.»

Corse a vedere in fondo al foglio. Era lui, Ezio. Che aveva a dirle? purchè le aveva fatto scrivere? Il cuore ebbe un primo sussulto. Capì subito e le mani le caddero un istante sui ginocchi. Stette così cogli occhi chiusi, finchè le parve che la breve vertigine fosse passata, poi mormorò: - Doveva esser così. -

 

*

* *

 

La lettera, scritta sotto la dettatura di Ezio dalla manina di Sabinetta, continuava: «Quando riceverai questa mia, io sarò già lontano da te, lontano per non tornare troppo presto. Sbarcheremo forse a Marsiglia io e Andreino, da dove c'imbarcheremo più tardi sopra un piroscafo della Navigazione francese. Gli amici Jameson ci raggiungeranno per la via di Genova a Barcellona o a Gibilterra, per compiere insieme il viaggio fino a New York. Addio, Flora..

«Ho creduto utile andarmene così, insalutato hospite, per non essere obbligato a ringraziarti. Lo zio Massimo che è a parte della congiura ti dirà quel che è inutile che io ti scriva. Addio, Flora...

«Starò lontano forse due, forse tre o quattro mesi, ma non tornerò se non quando mi sentirò ben sicuro di me stesso, più fermo in quella persuasione che dev'essere d'ora in poi il fondamento della mia vita.

«Pomponio Labeone non sa trovare le belle frasi; ma non può andarsene senz'invocare anche da lontano la benedizione di Flora, che dev'essere come il fascio di luce che lo accompagni attraverso a questo deserto di tenebre.

«Tu sai perchè vivo, sai perchè parto, sai quel che sono e quel che posso essere, perchè tutto quello che resta in me di non morto non è che l'opera delle tue mani: ma l'uomo non paga il suo Creatore.

«Parto adunque tuo debitore nella cara idea che io non potrò mai pagarti del tutto, che ti dovrò sempre qualche cosa e che dovrò vivere fin che tu potrai vantare qualche credito sopra di me.

«Addio, Flora...

«Troverò quel che mi promettono al di dell'Atlantico? La luce del sole, tu dicesti una volta, non è che un raggio di una luce più universale che penetra gli spiriti delle cose: in questa luce potrò sempre trovare me stesso.

«Addio, Flora. Fa che io abbia presto a Barcellona o a Gibilterra la tua assoluzione e la notizia che tu hai ripreso a camminare serenamente per il tuo sentiero, lieta di te stessa. Tu mi insegnasti a tenere asciutta, sopra i flutti amari, la bandiera del dovere.

«Baciami caramente la mamma e stringi per me due volte la mano al tuo Cresti.

«Addio, Flora... Addio, Flora... Addio, Flora!

 

EZIO».

 

*

* *

 

Doveva esser così!

Dal momento che essi non potevano camminare sulla medesima strada, era bene che si dividessero prima che la forza morale della loro resistenza li abbandonasse.

Ezio aveva risparmiato con questa specie di fuga clandestina un'ora di inutili spasimi e di dubbiezze; ma il cuore della donna non poteva rimanere impassibile davanti all'ultima parola di un lungo dramma, che aveva riempiuto or bene or male tutti gli anni della sua vita.

Tutto ciò che finisce, anche un grande dolore, lascia dietro di una specie di vuoto in cui pare che l'anima si sprofondi. Ma per Flora finiva con questa scena tutto il dramma della sua giovinezza e cominciava la stagione in cui non si aspetta più nulla.

Era bene che tutto fosse finito con dignità, con ragionevolezza, colla coscienza d'aver voluto il bene; ma la sbiadita bandiera del suo dovere sventolava sopra una grande rovina.

Sentendosi soffocare da un improvviso senso di scoraggiamento, uscì di nuovo sulla terrazza e corse coll'occhio verso la punta del promontorio, dietro il quale era scomparso il piccolo legno.

In quel momento una stella cadente attraversò lo spazio e parve spegnersi nelle acque.

Ah sì: la tela cadeva sopra un dramma assai triste e inconcludente. Ezio, fuggendo davanti a lei, per timore di intralciare la via de' suoi doveri, aveva inconsapevolmente portato con la ragione del suo sacrificio. essa poteva tornare indietro a dar la vita a speranze deluse, poteva continuare a fabbricarsi delle illusioni. Con parole crude si dovrebbe dire che essa non poteva restituire a Cresti l'elemosina che Ezio sdegnava di ricevere.

Nessun epilogo poteva essere più triste; ma la storia dei nostri mali non è mai ragionevole. Era a sperare che il tempo rinnovasse in lei nuovi desideri di bene; ma intanto non poteva proibire a stessa di piangere.

Le lagrime scendevano mute e calde, mentre gli occhi cercavano le stelle nel cielo.

La notte si faceva sempre più oscura su quel mare oscuro, che nella sua placidità conteneva la forza di tante tempeste.

Piangeva ancora in silenzio, quando le parve di sentire parlare nel giardino. Credendo che fossero gli zii di ritorno, si asciugò in fretta gli occhi e il volto e cercò di raccogliere tutte le forze di cui aveva bisogno in quel momento.

- Venga avanti, signora - diceva la cameriera, precedendo col lume una signora imbacuccata in una mantiglia pesante da viaggio, col volto coperto da un fitto velo.

- Signorina! - chiamò la ragazza, entrando nel salotto.

- Chi è? - chiese Flora, fissando gli occhi sulla signora forestiera.

- Sono io - disse questa, levandosi il velo dal viso.

- La mamma, la mia mamma? - gridò Flora allargando le braccia. - Oh sei tu? - e se la strinse e vi si appoggiò tutta. Aveva bisogno di chi la sorreggesse.

- M'hanno scritto che potevi aver bisogno di me e son partita subito.

- Sì, sì: ora non vivo che per te, mamma. -


 

 

 




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