XIII.
Rose gialle.
Il giorno di Natale fu preceduto da
una larga nevicata. I monti tutti bianchi stringevano coi loro fianchi coperti
d'ermellino il lago scuro che aveva l'immobilità del piombo.
Rigida era l'aria sotto il cielo
opaco e carico.
Amedeo e Regina erano stati
invitati a passar la festa in casa del babbo, alla fattoria, e vi si trovarono
a mettere i piedi sotto la tavola oltre a Maria Giulia, la madre di Amedeo, e
alla zia Maddalena, qualche vecchio parente abbandonato e don Malachia della
Madonna del Soccorso, che in quella sua solitudine a mezza montagna non aveva
nessuno con cui rompere un augurio.
Gli sposi, che avevano verso il
signor Cresti qualche dovere di riconoscenza, insistettero tanto finchè promise
di lasciarsi vedere anche lui a prendere il caffè e ad assaggiare una fetta di
torta in compagnia. Che cosa voleva fare lassù in quella fredda solitudine del
Pioppino?
Era la prima volta che il Cresti
passava le feste di Natale solo soletto. Gli altri anni aveva sempre accettato
volentieri l'invito di questo o di quello. L'ultima volta s'era lasciato tirare
volentieri al Castelletto da quelle signore.... Ma questa volta cento mila
malanni l'avevano persuaso a non uscire dal suo nido di piccione selvatico.
Oltre a un languore inesplicabile e
a una grande debolezza di gambe si era sviluppata un'affezione di fegato, che
dava al suo volto il colore della tristezza. Non mangiava quasi più, quantunque
le due ragazze facessero di tutto per stuzzicargli l'appetito con cosuccie
tenere e saporite. Però l'umore dell'uomo non era cattivo. - Anzi è fin troppo buono
- dicevano le due donne - ci fa quasi paura.
Il pensiero di dare dispiacere ai
giovani sposi l'aveva indotto ad accettare l'invito e a scendere alla villa sul
far della notte, quando gl'invitati eran già arrivati all'arrosto. Fu accolto
con molti segni di gioia. Don Malachia, che stava bagnando il becco in un
eccellente barolo gli andò incontro col bicchiere in mano; ma Regina volle aver
l'onore di farlo sedere tra lei e Amedeo, mentre il vecchio Bortolo metteva un
altro ceppo di castagno sul camino dell'ampia cucina, che si riscaldò e si
ravvivò tutta d'una nuova fiamma scoppiettante.
Regina non era mai stata forse così
bella come quella sera, quantunque soffrisse un poco, dolcemente, per l'affanno
d'una prima maternità: ma i colori un poco stanchi e attenuati conferivano al
suo volto di barcaiola una gentilezza e una mollezza quasi signorile. Gli occhi
brillavano d'un'interna felicità, che non sapeva sempre nascondersi e sfuggiva
dalle mani dell'istintivo pudore come un uccellino che batte le ali nelle mani
d'un fanciullo.
Amedeo s'era messa indosso la blusa
turchina delle Regate colle filettature bianche e in vita la fascia a rete con
cui Regina aveva avviluppato il suo cuore.
L'amore di questi due figliuoli
continuava a essere la cosa più semplice del mondo: e beati loro che non
avevano ancora imparata l'arte inutile di complicarlo. Essi avrebbero potuto
dimostrare che vero e unico creatore di bene è l'affetto, l'affetto naturale
che scorre quieto, ma inesauribile, a portare i freschi ruscelli della vita,
mentre la passione o è fiamma che dissecca o è un torrentaccio rovinoso che
assorda, strascina, devasta; ma per dimostrar questa verità avrebbero dovuto
studiar tutte quelle cose inutili che guastano quell'unica necessaria. Essi
eran felici appunto perchè non sapevano di che cosa era fatta la loro felicità.
Alla torta si aggiunsero le
castagne fumanti che Maria Giulia scodellò nella tafferia di legno. Al vecchio
barolo si mescolò un nebbiolo dolce spumante; al ceppo fu aggiunta una manata
di sterpi secchi e resinosi che fecero scoppiettare il camino come una
fortezza.
Il nostro Cresti accettò e assaggiò
qualche cosa, prese parte al brindisi che si fece in onore del futuro erede,
applaudì a certi versi in dialetto rustico che don Malachia recitò sul tema: Che
cosa è Amore.
Eran versi scritti da un antico
compagno di scuola del prete, morto all'ospedale dopo una vita agitata di
congiure, di combattimenti e di studi che gli avevano procurata qualche
celebrità sui giornali di un tempo. Amore in quei versi di schietta vena
vernacola era definito un angelo, un demonio, una furia, una carezza, un
sospiro, una croce, una delizia, un fiato di Dio. La rima semplice e naturale
che risonava con un accento di ironica malinconia sulle labbra del vecchio
prete fece ridere la brigata: ma strinse un poco il cuore malato del nostro
amico. Quella stessa mattina aveva ricevuta una lettera della signora Matilde
da Torino in cui gli faceva gli auguri per le feste e gli dava qualche notizia
dei parenti. Massimo era ancora a Parigi; Ezio in viaggio per l'America; Flora
aveva cominciato le sue lezioni; tutti speravano che si sarebbe lasciato vedere
anche lui qualche volta o a Torino o in Riviera.
Ma egli si sentiva malato, molto
malato.... Mai il suo spirito era stato così pesante, così vuoto di volontà,
così ottuso in tutti i suoi sensi.
L'idea che un nuovo anno stava per
cominciare e che avrebbe dovuto stendere la sua povera vita sul tempo come
sopra una croce gli faceva parer bella l'idea di chiudere gli occhi per sempre
e di sottrarsi per sempre alle sensazioni. Della morte non poteva avere un
concetto molto chiaro nemmen lui come nessun filosofo osa dire di averlo: ma
credeva che i morti riposano senza desideri e questo era già per lui un soave
invito. La bufera aveva schiantata la vecchia pianta, che dopo aver perduto a
poco a poco le sue foglie, stava per irrigidirsi del tutto ai venti gelidi
dell'inverno.
Questo freddo sentiva spesso
scorrere come un'acquolina gelata nella midolla delle ossa, e lo sentì in un
modo straordinario quella sera di Natale quando, uscito dalla casa riscaldata
di Bortolo, si trovò sulla via esposto ai colpi della brezza notturna coi piedi
nella neve. Era nevicato durante il giorno, ma ora il cielo ripulito da un
vento asciutto del nord lasciava vedere le stelle, che parevano rimpicciolite e
anch'esse tremanti di freddo.
Costeggiò il giardino delle ville
silenziose, passò sotto i portici del paese tutto deserto, quantunque dalle
finestre e dagli archi delle botteghe uscissero i bagliori o i rumori delle cene.
Passò oltre, fuori delle case, rimbacuccato in un vecchio tabarro, toccò la
chiesa parrocchiale e cominciò lentamente la salita che mena al Pioppino.
Sonarono in quell'istante le undici
al campanile della chiesa.
Prese a salire per la strada e per
la scalinata che biancheggiavano in mezzo ai muretti, soffermandosi ogni qual
tratto per raccogliere insieme alle fonte i pensieri dispersi. Avrebbe detto
che il nebbiolo spumante del vecchio Bortolo gli fosse andato alla testa, tanta
era la confusione di idee e l'oscurità mentale da cui si sentiva quasi coperto.
Quel prete l'aveva fatto ridere
colla sua frottola d'Amore, di cui ora ritornava a sonargli nell'orecchio il
ritornello:
Amor d'Amor l'è pader,
Amor l'è el cap di lader...
Chi si fida, guai! esso vi porta
sempre via qualche cosa, o la ragione, o il cuore, o la pace, o il sonno,
quando non vi porta via tutta la vita.
Aveva un bell'aiutarsi colle
ragioni positive del buon senso e con quelle ineluttabili della necessità; ma
da quel dì che Flora era stata perduta, la vita s'era smontata come una
chitarra dalle corde rotte. Egli aveva creduto in principio che il sacrificio
potesse avere in fondo qualche dolcezza e che un amore potesse trasformarsi in
un altro come si muta il vino, mutandolo di botte: ma il miracolo della
trasformazione tardava troppo a compiersi e c'era a temere che il suo vecchio
vin buono s'alterasse in un corrosivo e velenoso aceto.
Si fermò ancora una volta per
ascoltare una voce vicina a lui che ripeteva:
Amor l'è el cap di lader...
Chi aveva parlato così forte? non
c'era nessuno sulla strada che saliva sempre più incassata nei muri. Forse quel
benedetto nebbiolo...
Allo svolto del muro spuntò la
cappelletta dell'Immacolata, innanzi alla quale ardeva la lampada che le due
vecchie ragazze facevano accendere quando avevano una grazia speciale da
domandare alla Madonna. Da qualche tempo l'olio era consacrato a invocare la
salute del povero padrone malandato nelle gambe: e Cresti sapeva anche questo.
Al comparire di quel bagliore
rossiccio che, battendo sul muro, veniva a cadere e a morire sulla strada
bianca di neve, il vecchio cuore accartocciato si dilatò come sotto il soffio
d'una tenera commozione.
Quelle vecchie povere ragazze, a
cui l'Amore non aveva mai detto nulla, amavano lui come si ama un figliuolo. In
quella lampada ardeva lo spirito di una tenerezza femminile, quasi materna: e
si sarebbe detto che anche la pallida Madonna, meschinamente dipinta sul muro,
si commovesse in un raggio di bellezza al tremare della fiamma.
Cresti era stato in sua vita un
tranquillo miscredente, pel quale la vita non aveva valore se non in quanto è
fenomeno di consumazione. Tollerante e rispettoso delle illusioni altrui, egli
si era tenuto pago a questa discreta persuasione che c'è vita fin che c'è olio
nella lucerna; ma dacchè Flora gli aveva stracciato il cuore, al cospetto del
suo dolore, andava dubitando che nella fiamma possa entrare qualche cosa di più
sottile e di sensibile che non si compera alla bottega e che crepita e vibra
nel fuoco stesso che alimenta.
Non soltanto olio ardeva nella
lampada che le due ragazze avevan fatto accendere per lui... ma la luce veniva
dalla fede di due cuori addolorati come il suo, una fede che penetra il mondo e
alimenta - forse - tutto ciò che splende negli occhi degli uomini e sugli
altari di Dio.
La scintilla che si sprigiona dalle
pietre battute è ancora questo spirito che pare assiderato nel sasso, ma che,
evocato, va dalla selce a riscaldare la povera cenere dei freddi pensieri...
Qualcuno andava ripetendo accanto a
lui queste sue riflessioni con voce così netta, che a un tratto si fermò per
guardarsi intorno e per cercare chi veniva dietro di lui. Per un momento pensò
che fosse don Malachia che tornasse anche lui per la medesima strada al
Santuario. Ma non c'era nessuno. Non cessò per questo la sua meraviglia, anzi
crebbe quando scorse ai piedi della cappelletta, dove diluivasi sulla neve
ammucchiata la luce rossigna della lampada, un bel mazzo di rose gialle
fiorite, di quelle belle rose rêve d'or che egli aveva regalate il Flora
il primo giorno della sua convalescenza.
Come potessero fiorire delle rose
in quel mucchio di neve era un miracolo inesplicabile. Che la Madonnina le
avesse fatte sbocciare al calore della lampada? che le due donne le avessero
segretamente coltivate e messo lì per invocare un divino soccorso?
Era un miracolo inesplicabile...
Provò a toccar colla mano il
meraviglioso cespuglio e vide ch'eran rose vive e vere spuntate lì nel mucchio
della neve come un pensiero di fede che esca da un'anima intirizzita...
La mattina chi passò per primo
presso la cappelletta trovò il povero signor Beniamino Cresti morto sulla
strada colle mani distese al mucchio di neve. La lampada sul finire mandava gli
ultimi guizzi, lottando cogli splendori d'una nitida alba d'inverno.
FINE.
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