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Emilio De Marchi
Col fuoco non si scherza

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  • PARTE SECONDA.
    • IX.   Fascio di lettere
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IX.

 

Fascio di lettere.

 

 

FLORA A ELISA D'AVANZO.

 

«Da una settimana siamo qui in un villino lungo la bella strada marina, che da Albenga va ad Alassio, un luogo solitario in mezzo al verde con un terrazzo che dà immediatamente sul mare, al quale si scende per un rozzo scalo tagliato nella roccia.

«Dalla mia finestra vedo a levante diradarsi l'azzurra linea degli Appennini, e a ponente un promontorio roccioso su cui domina un'antica chiesa in rovina.

«Alle nostre spalle in mezzo ai boschi d'olivi, di lecci, e a gruppi di pini o una serie di poggi sparsi di casolari e di ville. Davanti è il mare ampio quanto ne può bere l'occhio avido, il mare che batte e freme senza posa sulla spiaggia biancheggiante e contro gli scogli.

«È novembre: ma qui è primavera e par che tutto rinasca, l'anima e i fiori.

«Dalla villa staccasi una specie di molo naturale fatto di grossi massi anneriti dal tempo, sui quali vanno spesso i ragazzi dei pescatori a specchiarsi nell'acqua, quando la marea è più bassa, in cerca di conchiglie e di frutti di mare; e mentre scrivo vedo Ezio che va a raggiungere un sassolone sporgente a foggia di sedia curule, dove suol passare molte ore, solo, quasi prigioniero del mare, a capo nudo, sotto il raggio carezzevole del sole, colla faccia rivolta allo sconfinato specchio delle acque di cui sente i mobili bagliori balzellargli sul viso, esposto agli sbuffi delle brezze che gli portano ora gli acri odori del pesce, ora il profumo tiepido dei giardini, ora il fiato resinoso di un vicino cantiere di cui sentiamo i tonfi dei martelli sulle stive sonore misto al grido dei fanciulli che giocano sulla spiaggia.

«Qualche volta Ezio porta con sè fin a quel suo trono il violino e cerca di raccogliere i discorsi dell'onda, che ora mormora umile sulla sabbia, ora striscia lunga e faticosa, ora sospira gonfia o minaccia le pareti dello scoglio, fiera di segreti rancori.

«Il nostro povero cieco, nella oscura sua solitudine, impara a distinguere queste varie voci, a raccoglierne gl'intimi sensi che vengono dalle lontane luminosità dello spazio e dalle oscure profondità dell'abisso e dice che vuol un giorno comporre la gran Sinfonia del mare, che non fu ancora scritta.

«A queste emozioni esterne mescola le sue, abbandonandole al ritmo del flusso lasciandole cadere e portar via, obliandosi in questo vasto campo di forze combattenti come un soldato ferito, ma non a morte, che nel mite crepuscolo d'un giorno di battaglia si addormenta in un sogno di vittoria. Dal momento ch'egli potè vincere la disperazione con un atto di pazienza, spegnere l'ira nelle lagrime, indugiarsi in una speranza, Ezio non è più quello di prima. La feroce ribellione morale ha ceduto il posto ad una calma o per dir meglio, a una tristezza più tranquilla, a una volontà nuova di esser buono per meritarsi i benefici del proprio dolore.

«Mentre prima era così indifferente per tutto ciò che riguardava il male degli altri, ora dice che gli pare di sentire nella sua miseria tutte le spine delle miserie umane....

«Ma egli ha molto bisogno di noi: oh guai se gli mancassimo in quest'oscuro deserto in cui va brancolando in cerca d'una via! Ecco perchè, a dispetto di tutti i vostri rimproveri, non so pentirmi d'aver contribuito la parte mia a quest'opera di pacificazione e di salvezza morale. Per quanto la mia condotta possa parere ingrata ed egoista verso Cresti e verso mia madre, sento che il mio posto è qui accanto a lui, dove Dio mi ha posta.

«A Cresti non potrei dare un cuore, di cui non sono padrona, nè egli lo vorrebbe più. Mia madre non può voler da me più di quanto io possa fare.

«Questa mia breve assenza dal Castelletto deve aiutarci tutti a formarci una convinzione.

«E dopo? - tu mi domandi. - Dopo ciascuno riprenderà la sua posiziona naturale e sarà fatta la volontà di Dio. Il romanzo non avrà il lieto fine che piace ai buoni lettori, non avrà quel fine che doveva avere e che è nella struttura stessa delle cose di quaggiù. Può essere che io torni a bussare al tuo uscio per cercarti i mezzi di vivere e di rendere meno tristi gli ultimi anni di mia madre. Il lavoro oggi non mi fa più paura, e purchè Dio accolga il mio voto di rendere la pace a lui, sarei pronta a rinchiudermi anche in un monastero e a dare questa mia vita in sacrificio.

«Non potrò esser sua, lo so. Vedo troppo bene l'abisso che ci divide. Nè egli oserebbe chiedermi un'elemosina, nè io oserei oggi umiliarlo colla mia carità. Tra me e lui c'è troppo orgoglio ferito e una tenebra che non saprei attraversare senza paura. Ma come tu hai potuto essere fedele a un'ombra, lasciate ch'io resti fedele al mio sogno. Si sposa qualche cosa di più di un uomo, quando si sposa il suo ideale. Se, per un cuore che ama, è nulla la distanza che divide i vivi dai morti, e tu lo sai, io non devo temere nessun'altra distanza, se Ezio vivrà come ha sempre vissuto in questo piccolo cuore.

«Monaca o vestale, io ne avrò sempre abbastanza di questa fiamma: ed egli deve sapere che a questa fiamma potrà sempre accendere la lampada della sua vita.

«Lasciatemi dunque in pace e non vogliatemi condannare coi criteri borghesi che giudicano ogni vita umana come una calza che si mette sui ferri e che deve andar bene a un piede.

«Dopo sarà come prima: e forse meglio».

 

*

* *

 

Qualche giorno più tardi, ripigliando la penna, scriveva di nuovo:

«Qui la nostra vita continua tranquilla con una stagione mite e serena.

«Abbiamo fatto una buona amicizia con una famiglia di signori americani, certi Jameson, che occupano una villa poco distante.

«Son due ragazze della mia età che viaggiano col loro padre, un dotto filosofo dell'università di Boston, che sta compiendo non so quali studi comparativi sui dialetti d'Italia. È gente assai a modo, che ama il nostro paese, che fa volentieri della musica: e spesso si fanno piccoli quartetti sotto la direzione d'un maestro che vien tre volte la settimana a dar lezione di violino a Ezio. Io siedo al pianoforte e ho una bella occasione per sciogliere lo scilinguagnuolo nel mio inglese che le amiche mie trovano quasi elegante. Anche Ezio fa grandi progressi, quantunque sia obbligato a imparare tutta la sua musica a memoria: ma superata la fatica, dice che egli si rende padrone delle sue note, che parlano e piangono con lui.

«Di tanto in tanto fa la sua comparsa nel piccolo golfo un yacht d'un altro ricco americano, amico dei Jameson, che soggiorna a san Remo, e che ci porta a fare delle piacevoli escursioni fino a Genova e alla Spezia.

«Per caso si chiama anch'esso «Morning star» Ezio si trova subito nel suo elemento e impara, nella varia distrazione e nella compagnia di persone così buone e intelligenti, l'arte preziosa di dimenticare quel che non serve più a nulla.

«Io resterò qui finchè la mamma verrà a prendermi, cioè non più tardi della metà di dicembre. Prima avrà luogo un avvenimento di cui ti dirò i graziosi particolari quando mi sarà permesso di farlo.

«Dopo non so quel che faremo, cioè, se torneremo al Castelletto o se resteremo qui tutto l'inverno, o se verremo a Torino a bussare al tuo uscio. Questa ultima sarebbe la mia proposta. Ho bisogno di lavorare per consolidarmi e per fortificarmi nella realtà. Sento che non mi manca nè il coraggio nè la fede: anzi, se devo essere sincera anche con me stessa, mi pare di aver trovato finalmente in me, la persona che prima era sempre fuori di casa. L'idea che potrei andar monaca ospitaliera o missionaria e stendere l'opera delle mie mani alle più lontane miserie mi esalta qualche volta con giubilo interiore come una poesia. Non sempre sono stata buona nella mia vita e ho bisogno di espiare qualche peccato d'inconsiderazione anche per la pace di chi ha creduto troppo in me. Ma non posso abbandonare mia madre. A lei devo rendere tutto quello che non le ho dato. Lavorando per lei, per rendere più agiata la mia vecchiezza, mi sembrerà di lavorare per il cielo. Tu mi devi aiutare. Cerca, cerca intorno a te una scuola, un'istituzione, una famiglia dove possa far fruttare quel poco che so.

«Tu, che hai potuto vivere così bene col tuo morto nel cuore potrai insegnare anche a me come si viva d'un dolce pensiero.

«Ora Ezio parla della eventualità ch'egli possa accompagnare questi signori americani in un lontano viaggio. Se don Andreino Lulli si lascia persuadere ad andare con lui, il viaggio potrebbe spingersi fino in America e durare parecchi mesi. Mi si parla anche d'una prodigiosa scoperta fatta di recente da uno scienziato di laggiù, certo dottor Gibbon, che guarisce di cecità coll'applicazione dei così detti raggi chimici. Le Riviste dei due mondi hanno discorso a lungo di questa meravigliosa terapia e può essere che anche questa volta la scienza trionfi della nostra incredulità e della crudeltà della natura. Se questo viaggio si farà, io l'accompagnerò col pensiero: ma nè i prodigi della scienza nè i miracoli di Dio potranno cambiare i nostri rapporti.

«Neque nubent! - è scritto sulla nostra bandiera, che procuriamo di tenere alta e asciutta al di sopra di questo mare agitato. Entrambi dobbiamo rispettare il nostro onesto orgoglio. Se un'umana dignità impedisce a lui di mendicare nel suo misero stato una limosina, un sentimento non meno dignitoso toglie a me di trasformare il padrone del mio cuore in un umile beneficato. Oltre il rispetto che devo a me stessa, mi salva il pensiero che deve un gran rispetto all'uomo innocente che ho condannato. Tu sai di chi parlo.

«Ti ha scritto ancora? ti ha confidato il mistero del suo cuore? povero Cresti; povero innocente! io non potrò mai trovare la parola che lo risani: ma digli che nel mio «convento» sarà sempre accesa una lampada anche per lui.

«Cresti mi ha insegnato a credere nella bontà degli uomini, una dottrina che ha così pochi maestri. Un uomo come lui ogni cento, e l'umanità non avrebbe bisogno di altri benefattori. Tu, che hai saputo consolare te stessa, saprai trovare anche per lui la parola che tocca e sana. Oh, non è colpa nostra se la bufera ci porta come le foglie d'autunno! E siamo foglie al vento tanto più leggere quanto più sottili e gracili sono le nostre radici nella terra. Ma la luce e il cielo ci attirano, cara Elisa...

«Ma io faccio delle eterne divagazioni come se fossimo in vacanza. Scrivo, scrivo, qualche volta senza capire io stessa quel che penso, colla furia di chi sta dipanando una grossa matassa, di cui si potrà fare poi quel che si vuole. Non ne avrai sgarbugliate mai di più difficili.

 

Ama la tua FLORA.

 

«P.S. - È arrivato stasera don Andreino irreprochable nel suo tout-de-même color «barbagliata» e pare che il viaggio per l'America sia deciso. Condurrebbero un cameriere che fu già altre volte a servire negli alberghi inglesi. Così tra il passato e l'avvenire metteremo la stesa delle acque. Il contino è sempre quel piccolo uomo inamidato che sai: ma non oso più ridere nè di lui, nè di altri, nè di nessuna cosa, dopo che ho visto quanta ricchezza di cuore può nascondersi sotto un plastron d'englisch fashion».

 

*

* *

 

Verso la metà di novembre Massimo Bagliani scriveva a Matilde Polony:

 

Carissima amica,

 

«Dodici anni or sono, credo, un giorno di ottobre bello come una primavera, io Le scrivevo una di quelle lettere che segnano una data storica nella vita di un uomo. Se ne ricorda? aprendole tutto il mio cuore, La pregavo allora di sapermi dire quel che di me pensava sua sorella Vincenzina e come sarebbe stata accolta una mia timida e rispettosa domanda.

«Molte, troppe dolorose vicende passarono su quella mia lettera, che appartiene ormai ai palinsesti, ed è inutile che io rifaccia qui la storia del mio lungo esilio, de' miei dolori e dei rancori, che mi tennero per questi dodici anni quasi diviso dal mondo.

«Ma la Provvidenza, alla quale da vecchio mazziniano impenitente continuo a credere, volle che io ritornassi a rivedere il mio paese e la tomba, dirò così, in cui stavano rinchiuse le mie giovanili illusioni. Non tutti i fiori sono seccati su questa fossa, e ora non so più resistere a cogliere quel bene che mi è stato per una via quasi miracolosa conservato. Vincenzina le avrà scritto su questo argomento meglio che io non sappia fare con questa penna strapazzata dai protocolli. Era possibile non rivederci più e dimenticarci per sempre: non era nè umano nè giusto che potessimo incontrarci senza ritrovare in noi le antiche disposizioni.

«Tra me e Vincenzina non scendeva che un tenue velo di errori e di falsi giudizi che non fu difficile rimuovere. Una grande sciagura ci sospinse più animosamente verso quella meta alla quale saremmo arrivati per una strada forse più lunga: ma ora la nostra parola è detta e vogliamo che anche il mondo la sappia.

«A togliere qualche ultima titubanza entra il pensiero che solo a questo patto potremo essere utili a Ezio, il quale senza di noi resterebbe senza asilo e senza conforto: e il poverino non ha tardato a dimostrarci la sua compiacenza. Egli troverà nella nostra casa la sua casa, nel vecchio zio un nuovo babbo che desidera soltanto di voler bene a qualcuno. Così, dopo dodici anni, si compiranno i sacri voti, ma non è men buono un vino che è rimasto dodici anni sotto terra. Il vino poi non può che migliorare per una lunga sete. È un romanzetto? è un idillio? una farsa onesta e piacevole? Lasciamo dire: è sempre bello quello che si deve fare.

«Dunque ci sposeremo. Non saranno nozze segrete; ma vogliamo una formalità molto semplice alla presenza di pochi intimi, in qualche angolo alpestre di questa incantevole spiaggia, dove sorga un solitario campanile in mezzo a una macchia verde, dove un modesto servo di Dio funzioni in una logora stola.

«Ma Vincenzina non potrebbe far senza della sua madrina di dodici anni fa. Venga dunque al più presto, cara Matilde, e procuri di trascinare anche il nostro Cresti che ha avuto così gran parte in quest'episodio. È vero che è un po' malato? è vero che il suo matrimonio sarà ritardato fino alla primavera? Dalle poche righe ch'egli mi scrisse e dai silenzi di Flora ho paura che tra lor due ci sia una cattiva intesa. Venga e schiariremo le cose.

«Come Flora avrà scritto, Ezio partirà per un lungo viaggio di mare in compagnia di alcuni amici americani e di don Andreino Lulli. Se non troverà, come gli promettono, la luce, raccoglierà per via forza, salute, distrazioni e.... il desiderio di tornare».

 

 

 

ANDREINO LULLI A ERMINIO BERSI.

 

«Ti avevo promesso di mandarti qualche notizia del nostro disgraziato amico e son lieto di poterlo fare con inchiostro azzurro. Tout va pour le mieux dans le meilleur des mondes. Ho trovato Ezio di buon animo, sereno, pacificato, quasi sto per dire più bello ora che si è lasciato crescere una barba che gli dà l'aria d'un profeta. Chi abbia compiuto il miracolo non so. O bisogna credere alla mano di Dio, o bisogna ammettere che la vita abbia in sè stessa il pozzo delle sue consolazioni. Certo è che in questo miracolo è entrata per molta parte la carità amorosa di questa sua gente, specialmente della cara cuginetta dai capelli rossi, che ha voluto tutto dimenticare per essere la più devota delle infermiere, la più tenera delle sorelle. Su cento casi in cui la donna è la rovina d'un uomo può darsi un caso in cui l'uomo deve la sua salvezza a una donna. Pare che Ezio abbia sentito la medicina di queste carezze.... ed è per sfuggire a questo fascino che mise in campo l'idea d'un viaggio in America. Con me non ha toccato questo tasto, ma si capisce che non vuole essere per Flora nè una catena, nè un castigo. Il passato è irremediabile. Oltre a un orgoglio ferito c'è tra lor due un uomo.... che aspetta al Pioppino. Se nel passato Ezio non ha avuto occhi per vedere il bene che aveva vicino, questa non è una ragione perchè faccia valere oggi la sua sventura come un credito. Ezio è troppo superbo ancora per credere alla sua decadenza.

«Mamà e la nonna non volevano che io lo seguissi in così lungo viaggio: ma si son lasciate persuadere dallo zio, che mi ha dato buone lettere di raccomandazioni e dal cugino il marchese della Roncaglia, che ha impegnato dei capitali in una fabbrica di automobili e spera di trovare in me un non volgare commis voyageur. Bisogna pure che anch'io mi slanci nell'onda dei tempi e che faccia valere quel poco inglese che ho imparato dalla buona miss Multon. Il mondo, mi persuado sempre più, è di chi si muove: e poichè nessuna forza può fermare il destino, meglio è cercare di corrergli davanti.

«Sento che anche tu ti dai alla grande agricoltura e che pensi di migliorare il nostro cavallo friulano incrociandolo all'ungherese. È una trovata: e se al mio ritorno vorrai mettermi a parte dell'impresa, sarò lieto di concorrere nei limiti delle mie forze alla prosperità di questo ramo dell'industria nazionale.

«Gli automobili avranno un grande avvenire: ma un bel cavallo sarà sempre un bel cavallo.

«Il mio rispetto a donna Carolina a cui auguro eterna la luna di miele.

tuo DREINO.

 «P.S. Sai chi ho visto di sfuggita da queste parti? ho cercato di non conoscerla, ma essa fece di tutto per tentarmi. Liana, la bella spagnuola dagli occhi grandi e vendicativi. Pare che abbia abbandonato il suo vecchio protettore e che sia diretta a Monte Carlo per tentarvi qualche altra fortuna».

 

 

 

REGINA A FLORA.

 

«Carissima signora Contessina,

 

«Poichè il suo ritorno al Castelletto da quel che sento sarà ancora ritardato, non voglio aspettare più oltre a darle le nostre notizie.

«Noi stiamo tutti bene grazie al Signore: e io sono proprio tutta felice. Il mio Amedeo non potrebbe essere più buono con me e sebbene d'inverno ci sia poco a fare e i guadagni siano scarsi, cerchiamo di far bastare quello che c'è.

«Ho ripreso la scoletta. Quest'anno è cresciuto il numero dei bambini che in questa nuova casa al torrente si trovano più al largo: e se Dio mi conserverà la salute spero di averne ancora di più l'anno venturo.

«La mamma vien spesso a trovarmi e mi tiene in ordine la casa: ma ogni domenica andiamo noi a desinare da loro.

«Amedeo aiuta un poco i giardinieri della Villa nei lavori delle serre e così ripara un poco ai danni della stagione morta. Per fortuna non ha vizi. Si figuri che non fuma più e ha smessa l'abitudine di dire certe parole di cattivo cristiano che mi davano dispiacere.

«Che il Signore ci benedica.

«Vedo di raro la sua signora mamma, ma so che sta benino. Anche il signor Cresti non scende quasi mai dal Pioppino. Pare che questi freddi gli abbiano procurata un po' d'influenza.

«Quando vedo dalla finestra villa Serena tutta chiusa, penso alla terribile disgrazia che li ha colpiti e non trascuro di recitare un'avemaria per quel povero signore che ne ha tanto bisogno.

«La Madonna gli darà fede e coraggio. Fiat, fiat! il signore sa sempre quel che fa.

«Mi scriva presto, cara signora contessina, e mi dica che lei è sana e contenta.

«Riceva un abbraccio dalla sua

 

Devot. REGINA.

 

 

 

BENIAMINO CRESTI A ELISA D'AVANZO.

 

«Una lampada sarà sempre accesa per me nel suo «convento»?

«Una lampada non è il sole, ma basta a rompere una grande oscurità.

«Grazie a tutte e due. Vedo che tutti i lumini che accendono nel campo santo non bastano a far vivere un morto, ma io devo pur credere alla fede altrui, se anche mi manca una fede mia. Ella, buon'amica, fa appello alla mia filosofia e cerca dimostrarmi che a sopportare i mali della vita è utile talvolta farsene una ragione. Ho creduto anch'io un pezzo a questo sofisma e nella mia selvaggia solitudine mi ero abituato a credere che un uomo non abbia bisogno del fiato di un altro uomo per vivere.

«Sì, io ero abbastanza sufficente a me stesso, finchè vivevo come Diogene in una botte. Ma Diogene ha in sè un cattivo compagno. Ora che ho bruciata la vecchia botte, non so più dove rintanarmi.

«Potrò credere a qualche altra cosa ora che non credo più in me stesso? Voi dite di sì e so che pregate per questo. Per quanto stenti ad ammettere che le preghiere facciano dei buchi nel cielo, siate benedette! Il profumo dell'incenso piace anche a chi non entra in chiesa. Pazienza! io non sono di quei malati che odiano il chirurgo che li ha fatti soffrire e benedico la mano che mi ha fatto un'amputazione necessaria: ma non so se un animale possa vivere senza cuore.

«In ogni modo tenete accese le vostre lampade: scrivetemi e parlatemi di tutto ciò che mi possa far bene».


 

 

 




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