I.
La « Villetta Nadir » non aveva nulla che la distinguesse dalle tante altre villette, modeste e ad un
solo piano, disseminate nei dintorni della metropoli. Era tuttavia ben nota da che vi viveva E. I. Sedana:
l’astronomo e filosofo insigne.
Il cancelletto cigolò
lamentosamente e un individuo indistinguibile nel buio della notte ne uscì
allontanandosi in fretta.
Quello che era accaduto nella villetta
non fu possibile chiarirlo così presto come sarebbe stato utile. Il Sedana la mattina seguente fu trovato dalla
domestica svenuto nel corridoio, nella posa di chi sia stato arrestato
in un inseguimento da una visione terrifica.
Ricuperati i sensi era sopravvenuta
una febbre altissima; e medici e discepoli, al capezzale del vegliardo che non
riconosceva nessuno, tentarono invano di dedurre e di capire.
Nessun segno di violenza era emerso da un attento esame
della villetta. Solo si era potuto accertare la presenza fino a tardi di un
visitatore con cui lo scienziato doveva aver appassionatamente dissertato su
argomenti molteplici, come appariva dal tavolo dello studio carico dei libri e
dei trattati più diversi.
La domestica andava a coricarsi di solito verso le dieci;
non senza però prima entrare nello studio del maestro
a lasciargli il termos colmo di un tè molto lungo ma bollente, di cui
l’astronomo aveva contratto la consuetudine nelle lunghe notti di veglia negli
osservatorî.
Nel suo studio di « Villetta Nadir » non c’era più il freddo
né più la snervante immobilità sulle lunghe poltrone girevoli sotto l’oculare
dei gran cannocchiali, ma c’era ancora, là come nelle terrazze degli
osservatori, l’indagine del Mistero, la corsa del pensiero alla conquista
dell’Universo — e il tè, che stimolava le energie del vegliardo infaticabile,
era rimasto.
Era stato trovato non bevuto, e anche questo concordava con
l’ipotesi di una discussione serrata e drammatica.
D’altra parte la circostanza di una visita di cui la
domestica non sapeva niente, iniziatasi cioè oltre le
dieci, non era insolito. Frequentemente discepoli e amici avevano potuto constatare la facilità di ottenere, personalmente dallo
scienziato, l’accesso a « Villetta Nadir ». E una
volta dentro, anche ai visitatori più riguardosi, era accaduto con facilità di
dimenticare il trascorrere delle ore.
Solo elemento, quindi, eccezionale in quell’ultima
conversazione, restava il suo carattere di strabiliante vastità, nella quale,
sotto la pressione di un interesse supremo, dovevano essersi alternate quasi
tutte le branche del sapere.
Ora chi mai era stato visitatore; solo, come indicavano una
sola poltrona spostata oltre quella del maestro, una
sola calligrafia sulla lavagna oltre quella del maestro; capace di originare
siffatto fervore sapendo mantenervisi all’altezza per
ore e ore?
Nessuno era informato del passaggio di personalità
scientifiche straniere nella metropoli. Mentre solo la natura di quel
visitatore, o meglio, solo la natura delle idee da costui esposte delle ipotesi
da costui prospettate, poteva servire a chiarire l’essenza dei
formidabile spavento provato dal vegliardo. Era stato
infatti compreso che uno scienziato giunto all’apice della saggezza non
può aver paura né di ombre né di creature; giacché solo le idee che non pesano
ma possono pur dare la follia; solo i ragionamenti che non lasciano traccia e
possono tuttavia apparire più terribili della rovina stessa che fanno
intravedere, potevano aver abbattuto il maestro per nessun altro lato
insidiabile.
Ma i libri compulsati erano stati
molti; le formule ammucchiate sulle lavagne troppe, per poterne discernere,
attraverso l’eterogeneità, il movente complessivo.
Solo una serie di formule derivate da quelle moltissime
della chimica organica, che nel quadrinomio dell’Azoto, Ossigeno, Carbonio e
Idrogeno racchiudono il segreto della materia vivente, parevano
aver predominato. Però con quale intento?
Era curiosa e innaturale la calligrafia dell’estraneo che
aveva vergate queste formule, dissimile da quella di tutte le persone da
tavolino, precisa, geometrica, quasi tipografica, senza l’oscillazione e il
chiaroscuro più tenue: da prodigioso fanciullo o da
inumano essere senza età, senza cuore e senza nervi. E
che poteva dunque il visitatore ignoto, da quelle formule che stavano alla base
della vita, aver fatto lampeggiare di tanto terribile alla mente dello
scienziato da tramortirlo e sconvolgerlo?
Questo si chiedevano gli intimi.
Tra cui non mancarono i romanzeschi e i fantasiosi che inducendo, dallo
sconvolgimento del vegliardo, qualche sua accertazione
di disastri imminenti, misero in fermento le specole e i laboratorî; alla
ricerca di eventuali comete in marcia contro la Terra,
o di possibili epidemie e disgregazioni biologiche imminenti.
Passarono così al capezzale del Vegliardo che delirava
alcuni giorni. E durante questi gli avvenimenti
incalzarono.
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