IV.
Da quel punto mortale dove, per il semplice fatto di
restarvi illeso, veniva consacrato all’immortalità,
Zeta Otto orgogliosamente parlò.
— Mio creatore, mio dio, mio maestro e padrone: così ti ho
chiamato nei primi giorni d’intelligenza. Ma
unicamente padre, ti chiamo adesso.
Non più maestro né padrone da poi che proprio questa notte
ho avuto conferma di poter essere io maestro a chicchessia e padrone di tutti.
« Narcisio Falqui;
su questa soglia che per tutti significa fine e che per me al contrario
significa l’inizio di una straordinaria potenza; guardami, ascoltami.
Come padre geniale io ti amerò e ti onorerò: ma come volontà eventualmente
opposta alla mia non ti preferirei certo a un destino.
Al mio destino che da questa notte mi appare meraviglioso.
« Tu, da principio, mi avevi creduto uno schiavo buono, tutt’al più, al trastullo e allo stupore dei tuoi simili.
Hai sbagliato. Le parti s’invertono; e quest’alba che
poteva segnare l’inizio di una vittoria per te conquistata da una legione di
schiavi ai tuoi ordini, segnerà sempre una vittoria, anche per te, se vuoi, ma
unicamente asservita con tutti gli schiavi che verranno, al trionfo mio.
Indignazione e rabbia: queste furono le prime espressioni
dell’altro cui questo discorso era rivolto. Poi una crescente commozione aveva
dissolto quel furore e il volto si era bagnato di lagrime. In una esultante quanto dolorosa tenerezza, il prigioniero, che
non poteva non solo varcare ma neppure avvicinare la soglia mortale, torcendosi
le mani, singultante e sorridente, si era buttato
addirittura a ginocchi.
— Figlio!... — egli a scoppi
gridava. — È questo dunque il miracolo che ho suscitato!...
Questa creatura!... E l’ho fatta io!... la sua potenza!... la sua prodigiosa
potenza!... il suo trionfo!... io!... Creatura mia!... mia!... Se Zeta Otto
aveva una deficienza qualsiasi questa stava solo in quel non so che di inumano
e di rigido in lui che è già stato notato e che adesso gli impediva, con un
gesto, con un’inflessione della voce, di dare sfogo alla commozione che
l’invadeva. Il suo dire si era infatti troncato
nonostante continue progressioni fosforoscenti nelle
sue inespressive pupille si alternassero a testimonianza della ridda emotiva
nei suoi pensieri.
Con i lembi del vestito a brandelli che sotto la violenza
del bombardamento elettrico in quella soglia, si dissolvevano e fumavano
attorno alle sue membra insensibili, veramente egli sembrava un nume in una aureola.
— Padre — egli disse — se ti è dolce come a me questo nome
che ti do, calmati, perché oramai è tempo solo di fatti. Oramai mi sono
mostrato troppo; e dicerie e inchieste presto faranno trapelare il mio trionfo,
il quale si preannuncia troppo grande acciocché non
possa sembrare anche pericoloso. Ciò m’impone di accelerare. Anche
nel progetto originario tuo, l’inizio era progettato prossimo. Ma ciò che nel tuo progetto era una tranquilla disposizione,
nel mio diventa una necessità urgente per la quale richiedo: 1°,
l’immediatezza; 2°, varie modifiche al primo predisposto, così da esaurire in
dieci giorni un compito previsto di un mese.
— Io so, virgola per virgola, tutte le tue disposizioni:
alle banche per lo svincolo dei capitali accantonati da tempo;
ai fornitori per l’inoltro dei materiali; alla Corporazione dei Meccanici per
il pronto invio di operai specializzati. So, parola per parola, gli ordini
immagazzinati nelle bocche delle macchine fonoregistratrici:
per i capisquadra, per i fonditori, per i tornitori, per tutti. Vanno bene; ma
mi occorre farvi inserire le modifiche che determinano le celerità da me
richieste.
— Tu sai che sarebbe vano opporsi. Tu sai che ho i mezzi per
ottenere tutto quello che voglio con la forza. La prigionia cui di sorpresa ti ho costretto ti dice che nulla ho tralasciato. Annuirai. Con
le buone? Con le cattive?...
Quelle parole non avevano ubriacato solo colui
che le pensava e le diceva. Avevano, col metallismo
del loro tono e della loro logica, affascinato anche colui
che le udiva.
Il demone della coordinata esagitazione
già aveva diffuso il suo contagio, e tutto quello che accadde fra quell’uomo che aveva pianto e riso in ginocchi, e quella
creatura sua la quale nella propria immunità aveva vinta
la morte e sublimata la vita, non è più gran che.
I laboratorî si popolarono di operai,
i motori e le macchine funzionarono, e, nella livida alba del 29 maggio che
sorgeva, l’aria, attorno agli Stabilimenti Falqui si
empì di sordi o laceranti frastuoni.
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