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Ciro Kahn
L'uomo di fil di ferro

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  • PARTE PRIMA L’INCUBO
    • VI. Sentimenti nuovi e intrigati.
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VI.

Sentimenti nuovi e intrigati.

Dopo tutto, ciò che aveva detto Al riassumeva l’opinione comune della folla. Resta perciò poco chiaro perché la giovanetta non avesse potuto sfoggiare ancora una volta la solita indifferenza.

Si preoccupò comunque di telefonare a suo padre per avvertirlo della visita. E poiché per due giorni di fila non ebbe altra risposta che il miagolio caratteristico della fonoagenda, così il terzo giorno, 31 maggio, si decise ad affidare la comunicazione addirittura alla fonoagenda.

A voce chiara scandì: « Per Narcisio Falqui. Papà, arriva A. Sempre antipatico. Te lo condurrò ad ogni modo costà la sera del primo giugno. Viola ». La fonoagenda non appena interrogata avrebbe fedelmente ripetute, all’altro capo, quelle esaurienti parole.

Nessuna inquietudine la pungeva. Non era la prima volta che suo padre restava applicato ad esperimenti delicatissimi durante i quali ogni comunicazione col mondo veniva abolita. E meno di meno pensò di troncare i suoi studi per andare personalmente lei ai laboratorî.

Con questa buona volontà, per la domenica, primo giugno, riuscì infatti a completare la prima dettatura di tutti i suoi appunti. Allora si concesse un po’ di riposo.

Andò a pranzare fuori in un’antica trattoria con buone vivande naturali invece dei soliti alimenti sintetici in pillole. Trascorse un’oretta al Conservatorio ad ascoltare alla radio un po’ di musica classica trasmessa da Melbourne, ove un’orchestra di fama mondiale eseguiva tutto Strawinsky.

Verso le tre fece ritorno a casa. Si vestì, si sarebbe detto, con insolita civetteria, e alle quattro e mezza puntualmente era sul molo di Napoli che attendeva.

Fu il Neptunes invece che arrivò con il notevole ritardo di tre quarti d’ora; e prima che passassero altri tre o quattro minuti per le operazioni di ormeggio e per l’elevazione da terra dei ponti girevoli di sbarco si fecero le cinque e venti senza che Al spuntasse.

Dio! pensò Viola — s’è impermalito ed è sceso a Gibilterra. Addio, lontana possibilità di spillargli denari ». E il suo disappunto troppo vivo le impediva di accorgersi di due cose. Una entro lei, la mortificazione non tanto per il cattivo servizio reso a papà quanto per l’inutilità della sua toeletta quel giorno studiata con insolita civetteria. L’altra fuori di lei: la vicinanza di un giovanottone bruno con gli occhi blu scuri dall’espressione franca il quale la scrutava perplesso.

Questo era Al. Ma siccome a bordo, non si sa perché, quella mattina si era comprato un elegante vestito fantasia da passeggio con calzoni corti, ultima moda, tutto una pioggia cangiante di scacchi rossi blu e gialli, ora appariva così diverso, leggi: così simpatico, da non riuscire riconoscibile a sua cugina.

Mentre questa a sua volta aveva dismesso il solito « intiero » a culotte arieggiante il vestito dei meccanici, grigio a righe, apparendo del pari irriconoscibile ad Al che in fonoradiovisione l’aveva sempre vista in quel pratico abbigliamento da maschietta.

E si era invece vestita come una damina: in gonne plissé a mezza gamba color coda di pavone, con camicetta di seta a fiori di pesco. Un semplice cappellino di carta spumante in foggia di ghirlandella di fronde aghiformi di pino faceva, con la sua verde vaporosità, travedere e risaltare il biondo dei capelli. Acciocché poi tutta quell’armonia di tinte e di linee non risultasse sprecata si era tolto lo spolverino di carta arancione; e l’indumento le pendeva, dall’avambraccio inguantato di bianco, più luminoso di una pennellata di sole.

All’attonito Al la giovanetta era apparsa perfetta come una diva del fonocromofilm.

I loro sguardi finirono per incontrarsi con insistenza.

Viola? Possibile? Davvero?

Ma poiché per esplicarsi vicendevolmente il motivo di quelle esclamazioni di sorpresa avrebbero, questa volta, dovuto dirsi solo cose gentili; e poiché fra di loro non ve n’era tradizione, riuscirono non solo col non dirle, ma, come sempre succede in questi casi, con l’ostentare tutto il contrario.

Olàchiarì Al di malumore — facciamo subito il patto di parlarci il meno possibile, noi due. Non ho mica la patente di educatore per l’infanzia antipatica, io.

Bravo! era proprio quanto stavo per proportiaccordò Viola — quella patente che tu non conseguirai mai ce l’ho io, e mi rincrescerebbe sciuparla con i testoni.

Dopo di che, esauriti in questa brillante maniera i convenevoli e i saluti del caso, uniti e scontenti presero posto nella elettroauto.

Egli accentuò la propria espressione di tedio finché, lungo tutte le vie della gran città portuaria, il loro panorama fu incasellato dalle innumeri antenne e dall’intrico dei cavi aerei per i treni teleferici, per le tranvie sopraelevate, per le gru mobili degli arsenali; contro un cielo ove transitavano aeroveicoli di tutti i colori commerciali; fra sfondi architettonici che oscillavano e si mutavano come le quinte di un vecchio teatro al continuo spostarsi dei ponti girevoli e dei colossali specchi neri immagazzinatori di sole.

Ed ella lo ripagò quando imboccata l’autostrada si offrì loro, tra i campi che traversavano, la visione di tutta una congerie di rete termiche, di vetrate cromatiche, di tubazioni d’acqua senza fine tra una fattoria e l’altra.

Fino a che anche questa mimica non li stancò.

E allora Viola; con le mani inchiodate al volante, ma tutta sbirciatine e curiosità per il suo taciturno compagno, si abbandonò intiera a tante romanticherie, iniziatesi a sua stessa insaputa nel suo cervello fin da tre giorni fa, e che ora si precisavano palesandosi singolarmente suggestive.

Si è che la giovinetta aveva solo vent’anni e in più un’indole troppo delicatamente femminile perché, con tutta la sua prosaica laurea in Fisica-Chimica, dovessero sfuggirle i troppi ricorsi, le troppe coincidenze sentimentali che quella prima venuta di Al Falqui in Europa le offrivano.

Venticinque anni prima, un altro Falqui, anch’esso giunto dal Canada ricco come questo, non aveva avuto il primo burrascoso benvenuto giusto da una Falqui come lei, dai capelli biondi e dagli occhi di madreperla come lei?

E stava il fatto che al giovanottone di allora, pieno di arie e di prevenzioni come questo, quel benvenuto era stato fatale. Viola conosceva quella storia assai bene, perbacco, perché proprio lei per prima al mondo non poteva non conoscerla, come vedremo.

Intanto erano giunti a Roma che ancora non erano le sette. Ma le strade della smisurata metropoli erano così folte di popolo che la macchina impiegava più adesso a compire un chilometro che non cento poco prima. Ed era la solita folla domenicale di operai, di piccoli borghesi e di villici inurbatisi, che sostavano in stupore davanti a ogni vetrina o, sordi a tutti i richiami, si piantavano in mezzo alle vie con il naso per aria.

Velivoli dell’ « Anonima Réclames Luminose » stavano cospargendo tutto il cielo al di sopra dei grattacieli, delle torri, delle cupole, delle antenne, di un opaco gas argenteo. Ora questo vasto schermo aereo era stato appena completato che un raggio, cento raggi di luce vi conversero da terra.




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