IX.
La sezione romana del Partito Nazionale dei Meccanici era
entrata in subbuglio; questo partito costituiva l’estrema destra accentrando in
sé Faristocrazia e le classi agiate le quali, da un
incremento di meccanizzazione, non si prospettavano
che benefici.
Costituivano invece gli agrari il partito di sinistra;
mentre tutte le Corporazioni Operaie, compresa quella stessa importantissima
dei meccanici, stavano al centro con l’interesse che mai avesse a prevalere o
l’uno o l’altro dei due partiti estremi. Avevano accolta
con indifferenza la notizia di una nuova offensiva ideologica contro i
meccanicisti. Le ideologie non facevano presa sulle Corporazioni Operaie,
soltanto preoccupate di non fare alterare le condizioni materiali
dell’esistenza. Quasi alla materia non presiedesse l’idea.
Ma i meccanicisti che ritenevano di adunare in loro, nella
loro ansia di progresso e di perfezione scientifica, anche l’aristocrazia del
pensiero, all’annunzio che alla testa della nuova offensiva si poneva uno
scienziato famoso si erano indignati.
Erano accorsi numerosi all’Accademia occupando tutto lo
spazio riservato al pubblico, cominciando una gazzarra con ostruzionismo e
impedendo ai reporter della fonoradiovisione di
montare le loro macchine.
Colluttazioni ne erano sorte; e un giovanottone bruno riconoscibile quale un agrario dal
colore del suo vestito era divenuto là dentro, per l’energia della sua boxe, il
loro nemico più odiato.
Fu in questo modo che essi dimenticarono il vero oggetto
della loro avversione e che il vecchio Sedana potè fare, quasi inavvertito, apparizione
alla tribuna.
— Illustri colleghi, signore e signori! — egli cominciò con
voce così debole che risultò non a tutti udibile
nonostante i fonomoltiplicatori dell’aula. — Quello
che io debbo urgentemente comunicare nella sede più
adatta a dare alle mie parole risonanza mondiale, non è una teoria, non sono
dei pensieri; si tratta di un fatto. Vi prego quindi, non di cessare il
baccano, ma appena di sospenderlo per soli dieci minuti.
E la speciale psicologia delle folle è così strana che finì per sembrare più udibile la voce bassa che non il
gridio dei tumultuanti.
— La sera di
mercoledì scorso, 28 maggio — aveva ripreso il vegliardo
indifferente a tutto — dal mio studio di « Villetta Nadir » ho sentito
verso le undici bussare alla porta. Sono andato ad aprire e ho introdotto un visitatore
che dal vestito si rivelò per un operaio meccanico.
Aveva la fronte e la testa...
Tutto il seguito di questa descrizione, del resto al lettore
già nota, fu perduta nel baccano il quale aveva
attinto un’intensità eccezionale e quindi transitoria. Quando fu possibile
udire nuovamente qualcosa lo scienziato diceva:
— ... voce singolarmente precisa e atona ha soggiunto: « Mi
presento qui perché sono alla vigilia di una gran decisione e mi occorre di venir esaminato nelle mie capacità intellettuali le quali
sembrano molto potenti ».
— Il mio interlocutore appariva sprovvisto di ogni capacità di eloquio mondano; sorta di tipo grezzo e
vergine.
— Ero stato tuttavia punto da quella proposta di un esame
motivato con ragioni di una goffa immodestia. « Ebbene,
risposi, l’accontento; mi dica quali sono le quattro operazioni ».
— Mi colpì l’assoluta tranquillità della sua risposta, quasi
gli fosse sfuggito il sarcasmo. Era perplesso ma non
volli tuttavia dismettere il mio fare canzonatorio: «
E Napoleone chi era? », continuai.
— Come prima così adesso non rilevò il sarcasmo. Ma questa
volta la risposta non fu breve; mi citò le più autorevoli biografie, le
monografie, le opere storiche attinenti, loro edizione, data di pubblicazione,
numero della tale e della tal’altra
pagina...
— Io non sono uno storico. Per controllarlo dovevo portarlo
su altri campi. L’interruppi, gli dissi di parlarmi
della fisica stellare. E non compresi che ormai ero stato
preso nel suo giuoco. Quando la cosa ricominciò: numeri,
date, editori, con i riferimenti più svariati mi diedi a controllare.
Per la maggior parte avevo le opere citate nella mia libreria. E presto il mio
tavolo fu ingombro di centinaia di volumi senza che io avessi
potuto cogliere inesattezze notevoli.
— Ero stupito. Ma finora non avevo
saggiato che la memoria del mio visitatore. Il mio stupore doveva accrescersi
quando anche ne esaminai l’intelligenza dandogli a
risolvere dei problemi complicatissimi. Singolare era il senso della misura e
dello spazio che lo sconosciuto palesava scrivendo alla
lavagna; in virtù del quale mai incorreva in ciò che accade anche al matematico
più abile: di disporre male le proprie equazioni e di dover cancellare e
riscrivere più piccolo.
— Udii a un antico carillon suonare
le 12. E nel mistero della notte e del caso, con
quello sconosciuto davanti a me, dal volto celato e dallo sguardo inespressivo
come la voce, confesso che mi sentii poco allegro e a disagio.
Nessuno in tutto l’uditorio ebbe coscienza del gran silenzio
che si era prodotto, tanto tutti erano intenti alle parole del vegliardo. Della
calma avevano intanto profittato i reporter della fonoradiovisione
per mettere a punto le loro macchine; e questo
significava che tutto il mondo era ora un solo uditorio e una sola curiosità.
— Non mi diedi tuttavia per vinto — l’oratore aveva
continuato — avevo controllato la memoria e
l’intelligenza; volevo adesso vedere se anche apparisse quella dote che è la
condottiera del pensiero: la fantasia. Senza cui
qualsiasi grande intelligenza risulta incapace di proporsi mete e direzioni
verso cui irradiarsi e brillare.
— Avevo davanti a me le cartelle di un lavoro scientifico a
cui sto appunto lavorando. Ne esposi
al mio interlocutore le premesse e i punti di partenza. In
base a questi avrebbe dovuto riuscire a riimmaginare
i miei scopi. Non si prese che pochi istanti di meditazione e poi...
— Ma a che vale continuare? Dovetti
riconoscermi vinto. — Non sono più io — balbettai —
quello che può esaminarla. Forse è lei che potrebbe esaminare me.
— Nella sua rozza verginità, allo sconosciuto era tuttavia
sfuggito che io intendevo con ciò suggerire un commiato. Prese il complimento
per una proposta seria; mi chiese: « Ritiene lei che valga più l’individuo
attuale o non piuttosto il trionfo nell’Universo di tutto il pensiero e di
tutta la vita futura? ».
— Come scienziato sereno e imparziale avrei
dovuto rispondere che conta di più la conservazione del pensiero e della
cultura, il trionfo definitivo della Vita nel cosmo; non il resto, non gli
individui attuali. Ma, non so perché, io non ero più imparziale; al contrario:
geloso, ritornato elementare, uomo, di fronte a una
domanda che mi sembrava insidiosa. Tergiversai: « Bisognerebbe prima dimostrare
che non siano proprio gli individui attuali quelli che garantiscano meglio quel
risultato finale ».
—- Ahimè ! Ci vuole così poco a dimostrare la debolezza di essere incapaci di resistere anche a quella cosa minima
nell’Universo quale sarebbe uno scarto improvviso di 50° C. nella temperatura
della Terra. Bastano poche formule chimiche, bastano
poche obiezioni. E lo sconosciuto trionfò.
— Disperatamente, invaso da non so quale urgenza, obiettai:
« Sono intanto proprio le formule che lei ha scritto quelle che esprimono la materia
vivente, e non vedo, oggi come oggi, chi sia più atto dell’umanità a garantire
gli scopi e le mete suggerite da una cultura e da un pensiero appunto umani ».
— « Ma è chiaro! » fu la risposta.
« Più atta dell’umanità può essere una superumanità delle membra più
resistenti, dalla vita infinitamente più lunga, non suicida ma prodigiosa e
geniale ».
— Mi misi a ridere. « Grazie, se non è che
questo, allora aspetto! ». Con la sua solita indifferente calma lo sconosciuto
che già si era volto per ritirarsi allora ristette, mi
guardò con i suoi inespressivi occhi, disse: « Bene. Aspetti. Quindici giorni. O, per farle cosa gradita, anche meno ».
— Aveva già imboccato il corridoio. E
sentii che aveva parlato sul serio! Tutto d’un colpo allora valutai
quel non so che di inumano, di grezzo, di nuovo in lui cui ho già accennato. E
compresi finalmente il perché del mio disagio di fronte a
un fenomeno, o a un mostro.
— « Ma lei?... Lei chi è? », gridai
lanciandomi dietro a lui, raggiungendolo. E quasi non lo avevo ancora toccato
che una percezione di gelo e di rigidità mi paralizzò
di orrore. Attraverso la stoffa io non avevo palpato che modanature e sagome
metalliche: una perfetta sfera sotto le bende che gli nascondevano il capo,
delle laminette al posto degli orecchi, tante piastre
connesse al posto delle scapole...
— Poi caddi. Io sono vecchio: e l’orrore provato, lo shock
nervoso, la caduta, mi han fatto svenire.
Un immenso brusio si era intanto levato nell’aula ove
s’incrociavano i commenti più disparati. A stento fu lasciato modo allo
scienziato di concludere.
— Tre punti debbo adesso
raccomandare alle commissioni competenti dell’Accademia di voler discutere:
— 1°: Data la possibilità di veder comparire dei superuomini
meccanici, vi è da temere che questi tendano a ridurci in servaggio come noi
gli animali domestici?
— 2°: Quale accoglienza sarebbe opportuno
riservar loro?
— 3°: Decidendo una guerra, in qual modo e con quali mezzi
condurla?
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