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Ciro Kahn
L'uomo di fil di ferro

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  • PARTE PRIMA L’INCUBO
    • X. Un uomo.
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X.

Un uomo.

Lo svenimento di Viola era stato di breve durata e nel primo vago ritornare della conoscenza aveva avuto confusa impressione di essere sostenuta da due braccia salde contro un petto ampio. II ricordo degli ultimi avvenimenti le era alquanto ritornato; si era rammentata di suo cugino Al e, tuttora intontita, aveva immaginato fosse lui a trasportarla in quel modo. Questo pensiero le era riuscito di una dolcezza, imprevista a cui aveva pre­ferito abbandonarsi senza chiedere, senza indagare.

Ed era invece Zeta Otto quello che la sosteneva osservandone pensosamente il volto, il quale, sbiancato dall’emozione, sembrava ancora più delicato, più evanescente. Un pallido volto di uno di queste effimere creature umane che un niente può cancellare per sempre dal mondo; e che tuttavia, appunto da questa fragilità, ricavano qualcosa di prezioso, più e più di tutte le cose inconsumabili.

Il peso di questi pensieri nuovi dovette parere grave all’automa che accelerò l’andatura, discese dalle scale e giunse a un noto uscio vetrato con la scritta « DirezionePrivato ».

Depose la fanciulla su un divano, le elevò di fronte un paravento che le mitigasse l’effetto diretto dei ventilatori, le accomodò sotto il capo il cuscino di caucciù fra i meno enfi e i più soffici che trovò; e si ritirò discretamente.

Solo allora, quando il rumore dei suoi passi si attenuò nella distanza, la fanciulla in dormiveglia aprì gli occhi: — Al!... —  ella chiamò debolmente.

E solo allora una sensazione di durezza e di gelo perdurante attorno al suo corpo la colpì; quasi dall’inverosimile contatto di una statua. Con uno scatto si levò a sedere sorpresa di trovarsi nella Direzione di suo padre. E in quel momento, dal di del paravento, vide giusto suo padre che era stato avvisato da Zeta Otto ed accorreva.

La fanciulla si rifugiò nel suo abbraccio come contro un ignoto pericolo. Ma passate le prime effusioni non poté non accorgersi che il piacere di lui nel rivederla dopo una lunga separazione e il pericolo corso era stato presto fugato. Distratto, più intento al fracasso che giungeva dai laboratorî che alle parole di lei, aveva troncato con un riso improvviso la storia di Al.

— Ah, era Al quell’altro con te? Allora han fatto bene a ributtarlo via. Abbiamo ben altro a cui pensare, qui!

— È vero, si lavora qui! Dunque, papà, hai già completato il modello Z. 2?... Se tu sapessi come io condivido la tua gioia!... Sebbene mi dolga che questo basti a farti dimenticare di me! — rimarcò con dolce rimprovero la fanciulla.

E le sembrava suo padre ora così smagrito; felice, certo, ma anche tanto preoccupato, che ella risentiva più pena che gioia.

Narcisio Falqui, cinquantenne, era di alta statura, ma il lungo lavoro piegato sui tavoli da disegno, il lungo scervellarsi sui più complessi problemi di meccanica avevano curvato la sua persona e lasciato sul suo volto un’espressione di trasognamento che lo invecchiava al di del vero.

Le preoccupazioni di una vita intensa avevano precocemente imbiancati i suoi capelli; le veglie alla luce artificiale avevano consumato la vivacità antica dei suoi occhi; la consuetudine dei cibi sintetici, graduati per lo stimolo al massimo delle energie mentali, avevano logorato il suo controllo nervoso e muscolare. Frequenti tremiti, gesticolazioni imprevedibili, scoppi di riso e silenzi repentini si alternavano senza transazione.

— Sì. Si lavora: è venuto il momento dei Falqui... Sss!... degli Zeta volevo dire! E che Al se ne ritorni da dove è venuto. Facciamo senza di lui, ora!

Anche Viola aveva detto quella stessa cosa, quella stessa mattina. Ma ne sentiva adesso dispiacere.

— Gli Zeta!! — continuava suo padre. — Una falange che correrà

Sicuroprovò ad entusiasmarsi con uno sforzo di volontà Violadovrebbe essere finalmente il tipo « schiavo » di cui hai mantenuto il segreto pure con me, cattivo!

Ma s’interruppe a un improvviso cenno di suo padre. — Tu perciò non sai chi ti ha salvata. Uno Zeta, sì... Tu eri svenuta... Non hai ringraziato...

Si era alzato in preda a grande agitazione, si era rivolto a un inserviente che passava perché pregasse Zeta Otto di venire.

Ringraziare, pregare, papa, un automa, uno « schiavo »? — aveva interrogato la fanciulla che cadeva di stupefazione in stupefazione.

Ma una mano di suo padre contro la sua bocca le aveva impedito di proseguire. — Silenzio!... che non abbia udito!... Schiavo a lui, mai!

E Viola con un grande spavento che sentiva insorgere in sé rimirò suo padre che si sforzava a un’espressione sorridente e deferente, presso l’uscio, mentre nel corridoio si approssimava un passo preciso e meccanico.




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