II.
Martino valutò ad occhio e croce un
centomila lire e si fece attentissimo sebbene non con ciò decadesse il
suo terrore. « Infatti — pensava — costui adesso mi
propone d’ingaggiarmi come spia e di dar ricovero alle sue macchine umane; ed
io, sia che rifiuti o accetti, sia tradisca lui o i miei simili, farò sempre
una brutta fine ».
Ma l’automa vestito di cuoio, il
quale non era che Zeta Otto, aveva letto con la sua potenza ipnotica tutto quell’ingenuo pensare e si affrettò a chiarire.
— Voi restate libero dei vostri sentimenti per ciò che
concerne la mia gente; non avrete mai nessun obbligo verso di me e guadagnerete
ugualmente la somma che vedete solo che diate ricovero per un po’ di giorni ai
due esseri umani che avete visto trarmi su dalle
acque.
Martino era rimasto a bocca aperta: nonostante tutto
l’automa che gli parlava emanava una potenza, una dirittura e uno splendore
mentale che lo soggiogava. Se quelli eran gli automi,
aveva pensato Martino, erano più simpatici di tanti cristiani; e avrebbe
risposto senz’altro affermativamente ove non ci fosse
stata in lui l’esitazione d’altro genere.
— E cosa posso fare di quei due morti?
— aveva infatti obiettato.
— Molto bene — fu tutta la risposta di Zeta Otto. — Che
titolo di studî avete?
— Il Diploma di Contadino — Martino balbettò.
— Ancora bene; siete quindi una persona
istruita e capace di capire i fenomeni dell’ipnosi; vero? Seguitemi.
Fu così, in circostanze mai e poi mai prevedute,
che il povero figliuolo mise piede sul barcone e varcò
quell’uscio con tanto di scritta « Spogliatoio » sì
insistentemente contemplato da lontano.
Adagiati in un angolo giacevano i due corpi dell’uomo e
della donna; rigidi e lividi in viso.
L’ortolano, che si era tolto riverentemente il cappello,
ristette a guardare con curiosità; ed ormai si riteneva tal personaggio
romanzesco ed importante che una sorta di coraggio gli era venuto non solo per
impedirgli di aver ancora paura degli automi, ma per farlo forte di assistere
anche alla seguente impressionante scena.
Zeta Otto entrando si era chinato sui due corpi immoti
riuscendo con una delicatezza inimmaginata a
sollevare fra le sue dita metalliche le loro palpebre e a scoprire il bianco
degli occhi roteati. Dopo di che con un asciugamano si era dato a fregare
energicamente i volti attorno agli zigomi, ed in breve il miracolo di un tepore
e di un rossore vitale trasparì entro le livide epidermidi, mentre le palpebre,
perduta la loro rigidità, si richiudevano.
Nuovamente Zeta Otto le sollevò e questa volta apparirono le pupille. — Ti ordino di
svegliarti — egli impose, con tono di certezza assoluta, alla donna
fissandola. — Padre, ti ordino di svegliarti — parimenti
comandò all’uomo.
Le labbra dei due allora si dischiusero per un sospiro
mentre qualche fremito agitò le loro membra.
Zeta Otto si volse all’ortolano che aveva assistito commosso
alla scena e porgendogli il denaro chiese: — Avete visto? Non si tratta che di
aver cura di loro se non proprio quanta ne ho avuta io, macchina, quanto ne può
un uomo per i suoi simili, senza mai chiedere il loro nome o comunque
senza rivelarlo. Accettate?
— Accetto — annuì l’uomo soggiogato dalla forza degli
avvenimenti. E poco dopo correva a casa a far
preparare degli indumenti asciutti e delle bevande bollenti.
Completamente svegliata ma intirizzita di freddo la donna,
più giovane e quindi più resistente del suo compagno, si era riavuta per prima.
Sorpresa si guardava in giro.
— Viola — l’automa spiegò — questo accanto
a te è tuo padre. Vi trovate entrambi in Roma sani e
salvi. Si tratta di farvi vivere nascosti fino a che io non vi conquisti
la più assoluta garanzia di libertà: specialmente per tuo padre che oggi
sarebbe massacrato dalla folla inferocita se sapesse.
— A questo scopo vi ho trovato un rifugio presso buona
gente. Ho dato una buona ricompensa e credo potrete
vivere tranquilli. Ad ogni modo farò sorvegliare le adiacenze dai miei automi
ed un segnale: due sciarpe, una rossa e una nera, sospese
come ad asciugare, serviranno ad avvisarmi che tu o tuo padre avete bisogno di
me. Ciascuno di voi due troverà nelle proprie tasche delle borse di caucciù con
abbondante denaro.
— Mi hai rimproverato acerbamente la prigionia che ti ho
imposta. Non potevo farvi fuggire, te e tuo padre, assieme agli operai perché
oltre al pericolo delle bombe permaneva per lui il pericolo di venire riconosciuto e giustiziato.
— Vi ho quindi fatti cadere entrambi in catalessi e vi ho chiusi in una cassa metallica a prova di bomba ma non
impermeabile. Le esigenze hanno impostò il vostro trasporto entro le acque del
Tevere, ed entrambi lo avete superato fin qui...
— Mi hai rimproverata per tanti giorni
la prigionia cui ti ho costretta, ed hai pianto. Sa solo Dio se io avrei voluto darti non sofferenza, ma una infinita
felicità... Addio! ».
La fanciulla vinta da un fascino
strano era rimasta immota:
— Zeta Otto... — ella cominciò con
la dolcezza e il tono di chi debba dire un commosso ringraziamento.
— ...ti detesto! — invece, con una violenta convulsione di
tutta la sua volontà, si costrinse a terminare.
L’automa si era fermato con lo splendore di un’assurda
speranza nei suoi occhi; ma sentendo così, senza più voltarsi, senza più parole
uscì.
Vide Martino che sopraggiungeva a guidare i due esseri
affidatigli; non vide dietro a sé la fanciulla che si
era affacciata con tutti i segni più contraddittorî della simpatia e
dell’orrore, della gioia e del rimpianto. Seguito da tutti i suoi schiavi, di
nuovo si era immerso, mitico ed immortale, a riprendere la sua marcia in fondo
alle acque del fiume.
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