Tanti erano stati i morti che non c’era casa che non avesse
un lutto. Ma la vita nuova si annunziava così piena di
stupore che solo le madri restarono indimentiche a
piangere i figli. I figli superstiti, le fanciulle dai
leggiadri corpi, i bimbi dagli occhi perpetuamente sbarrati sulle meraviglie, i
vecchi e gli adolescenti, gli operai e gli intellettuali, gli uomini d’affari e
i poeti a poco a poco discesero nelle vie a contemplarli da vicino, questi
conquistatori della loro metropoli; questi nuovi invasori delle cento volte
invasa Roma e cento volte riassurta a capitale
d’imperi; questi nuovi barbari calati giù dalle lande del sogno, dalle nuvole
del Mito.
Ed erano rimasti percossi d’ammirazione
davanti alle schiere degli uomini-macchina; inoffensivi perché così comportava
la loro consegna; ma potenti, ma infaticabili, ma inarrestabili.
Suddivisi in plotoni di dodici, gli automi che non avevano
necessità di sonno né di riposo avevano camminato senza posa per tutte le vie,
per tutte le piazze, per tutti i vicoli moltiplicando la
loro presenza; assurgendo per effetto di questa illusoria moltiplicazione da
circa 1900 a cui si erano ridotti dopo la battaglia, a un numero che le
fantasie elevavano di ora in ora.
Anche tra di loro vi erano i feriti e i
mutilati; quelli in cui un braccio si troncava a metà in un groviglio di
ferraglie contorte otturato momentaneamente con blocchi di mastice; quelli di
cui un occhio di quarzo era stato incrinato da chi sa quale violenta
esplosione; quelli che zoppicavano; ma erano tutti tranquilli e del resto
sapevano che il loro capo stava approntando un loro ospedale nell’officina di un
garage sotterraneo.
Questo ospedale restava presso il Colosseo
e fin dal mezzogiorno la folla stupefatta che guardava da dietro le finestre
aveva visto convergervi automi che si trascinavano carponi od altri che non
potevano camminare affatto e venivano portati sotto le
ascelle dai compagni come leggeri pupazzi di cartapesta. Alcuni portatori
portavano ancora sulle spalle veri cumuli di bracci, di gambe, di busti e di
teste. E lo spettacolo, nonostante si trattasse di ordegni meccanici, aveva pure un suo aspetto
raccapricciante, così che notevole folla avida di emozioni si era a poco a poco
radunata all’ingresso del garage.
Senza saperlo gli uomini stabilivano i primi rapporti
pacifici con gli automi i quali lasciavano fare.
Dentro il garage un altro automa
tutto vestito di cuoio, distinguibile dagli altri per la statura più bassa e
per la rifinitura del suo volto che, ove non fosse stato per certe lucentezze
metalliche qua e là, sarebbe apparso realmente umano, con occhi fosforescenti,
da cui si dipartiva un ignoto fascino magnetico le cui conseguenze dovevano
emergere ulteriormente, osservava i pezzi, faceva svitare, faceva cambiare
bracci ammaccati con bracci integri, faceva guarire in pochi minuti tutti i
feriti meno complicati lasciando accatastare in speciali casse blindate i resti
inutilizzabili da sottrarsi allo spionaggio industriale e bellico.
A guardia delle casse vegliavano altri automi indifferenti
ai richiami ed ai lamenti che ne venivano fuori. Solo in un caso si dovette
assolutamente far tacere una testa ancora attaccata a
un pezzo di corpo sfracellato la quale, chi sa per quale guasto, si dava a
quando a quando a digrignare tutti i comandi già trasmessi durante la battaglia
della sera avanti. E ciò avrebbe potuto ingenerare
equivoci.
L’interesse degli uomini per gli automi era a poco diventato
frenesia. Così che, nonostante il riposo domenicale e l’assenza di operai, nonostante l’insufficienza dei servizi e la
deficienza di energia elettrica, qualche giornale poté uscire in edizioni
straordinarie.
E quel che si lesse fu quel che si legge
nei giornali: l’interpretazione dei sentimenti pubblici; dimenticato cioè il
rancore e l’allarme di ieri per far posto alla nascente idolatria del domani;
l’invito a recarsi al comizio che il misterioso capo degli automi, Zeta Otto,
aveva fatto bandire dai suoi automi per lei sei del pomeriggio fra i marmi e le
colonne del Foro.
Nessuna offesa, infatti, in quel luogo di tesori storici
incalcolabili sarebbe mai piovuta dai velivoli contro gli automi.
Ed alle sei una moltitudine enorme che palesava nel proprio nervosismo tutti i segni della stupefazione
pronta a trasformarsi in cieca passione, in delirante dedizione, in
incondizionato applauso si andò stipando fra le rovine del Mito Passato per
assistere alla natività del Mito Futuro.
Con il loro passo metallico alcuni legionari di ferro
scortarono fra le vestigia dei palagi antichi il loro
capo.
Arrampicatosi ai piedi della più perfetta colonna del mondo
l’immortale Zeta Otto dagli occhi di fiamma con voce di sonorità inaudita disse
parole di Mito.
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