VI.
— Io sono Zeta Otto. Non ci sarà nessuno che possa recarmi
offesa oltre me stesso.
— Milioni di Amper-ora di energia
elettrica, migliaia di tonnellate di esplosivo, centinaia di vagoni-cisterna di
liquido infiammante hanno carbonizzato e gessificato
le campagne all’intorno dell’Urbe; ma non hanno potuto arrestare né me né i
miei legionari.
— Noi siamo la passione e l’ardimento umano fatto ferro:
siamo inarrestabili e inconsumabili; siamo fatali e
perpetui come il ritorno delle stagioni, come l’alternarsi dei giorni e delle
notti, come il divenire e l’andare delle stelle.
— Non siamo calati da un altro pianeta; non stiamo apparendo
vostri nemici. Ci ha fatti un uomo a sua immagine e simiglianza
utilizzando il patrimonio comune di cultura umana. Siamo perciò figli vostri;
vostri continuatori. Come tali non abbiamo arrecata
altra offesa che quella che avete suscitata voi stessi. Siamo innocenti come le
creature che nascono.
— Siamo però delle creature e come tali abbiamo
da chiedervi tre cose: cittadinanza umana; libertà di moltiplicarci;
compatibilità reciproca. Non vogliamo modificare le vostre leggi e le vostre
istituzioni; ma al contrario vi daremo il concorso del nostro lavoro per le
opere d’interesse comune. Non chiediamo in cambio che delle officine per noi.
Ritornino pure le vostre autorità che sono fuggite; e cercheremo di non far
cosa alcuna che vi danneggi.
— Non vi sottrarremo pane né aria: partiremo dalla Terra
quando sarà la nostra ora. Partiremo per estendere, di mondo in mondo
nell’Universo, il costume, la legge e... il pensiero dei padri ».
Ci fu un lungo silenzio fra la folla raccolta nel tramonto.
Zeta Otto era stato sincero ed una
cosa sola egli aveva cercato di ottenere; l’assuefazione negli uomini al fatto
compiuto. Per questo aveva parlato con mitezza ed aveva accennato al suo
progetto di esulare con tutti i suoi schiavi in altro pianeta non appena ne avesse escogitato il modo. Insomma, aveva mirato a
guadagnarsi una cordiale tolleranza.
E l’assoluto, il profondo silenzio con cui la folla aveva
accolto il suo discorso non era un sentimento glaciale
di diffidenza. Era la pietrificazione di chi ha assistito al miracolo.
Altro è sentire parlare di prodigio, altro è constatarlo.
Non c’era dubbio: quell’uomo era
una macchina. Ma quella macchina era un uomo. Si muoveva, pensava, agiva, parlava.
Le donne sentivano le loro viscere
commuoversi per amore materno di lui. L’istinto materno che c’è in ogni donna in loro era ritornato primitivo e favoloso. Ogni donna
desidera che il suo figlio sia il più forte; ed ora
avevano là davanti il modello di un sogno fatto realtà. Le
loro viscere si commuovevano per il desiderio di progenie come lui; di
un’umanità come lui.
Ora, perciò, una di loro, pianse e gridò: — Battezzatelo
come un cristiano e sia figlio di tutte noi. Non è questo il figlio che hanno
atteso fino ad oggi tutte le creature?
Il cielo nel tramonto si tappezzava di porpora. E la folla udiva e restava allibita.
Poi fu un uomo che si distaccò da una figlia pallida e
bionda che era rimasta tutto quel tempo aggrappata al
suo braccio. Si dimenticò dì questa figlia per aprirsi ferocemente un varco
verso l’uomo-macchina gridando: — Figlio mio!
La folla allora riconobbe il volto di questo
uomo che le fotografie avevano in quei giorni reso noto a tutti e sentì
un brivido collettivo come un gran vento mistico squassare le immobilità e
tramutare le estasi in fanatismo.
— Viva. Viva. Viva Narcisio Falqui!
» fu il primo grido della folla delirante.
L’uomo raggiunse demente e dimentico la sua macchina che era
una creatura per inginocchiarlesi ancora una volta
davanti piangendo.
Il nome dell’inventore gridato dalla moltitudine era stato
un ponte sonoro gettato fra l’umanità e il miracolo. Così, per questa via,
l’entusiasmo poté trovare il modo di convergere su quella cosa indefinibile che
era una macchina ma anche un uomo: «Viva. Viva. Viva Zeta Otto! ».
E altri padri si dimenticarono dei
figli. E i figli dei fratelli. E
le donne degli uomini.
Il prodigioso automa, da dietro il freddo vetro dei suoi
occhi carichi di potenze magnetiche, vide tutta la sterminata folla
inginocchiarsi come già Narcisio Falqui davanti a
lui.
Qualche ora dopo Viola sospendeva una sciarpa nera e una
rossa, bene in vista, nell’orto.
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