Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Ciro Kahn
L'uomo di fil di ferro

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA L’INCUBO
    • IX. L’Accademia.
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

IX.

L’Accademia.

La sezione romana del Partito Nazionale dei Meccanici era entrata in subbuglio; questo partito costituiva l’estrema destra accentrando in sé Faristocrazia e le classi agiate le quali, da un incremento di meccanizzazione, non si prospettavano che benefici.

Costituivano invece gli agrari il partito di sinistra; mentre tutte le Corporazioni Operaie, compresa quella stessa importantissima dei meccanici, stavano al centro con l’interesse che mai avesse a prevalere o l’uno o l’altro dei due partiti estremi. Avevano accolta con indifferenza la notizia di una nuova offensiva ideologica contro i meccanicisti. Le ideologie non facevano presa sulle Corporazioni Operaie, soltanto preoccupate di non fare alterare le condizioni materiali dell’esistenza. Quasi alla materia non presiedesse l’idea.

Ma i meccanicisti che ritenevano di adunare in loro, nella loro ansia di progresso e di perfezione scientifica, anche l’aristocrazia del pensiero, all’annunzio che alla testa della nuova offensiva si poneva uno scienziato famoso si erano indignati.

Erano accorsi numerosi all’Accademia occupando tutto lo spazio riservato al pubblico, cominciando una gazzarra con ostruzionismo e impedendo ai reporter della fonoradiovisione di montare le loro macchine.

Colluttazioni ne erano sorte; e un giovanottone bruno riconoscibile quale un agrario dal colore del suo vestito era divenuto là dentro, per l’energia della sua boxe, il loro nemico più odiato.

Fu in questo modo che essi dimenticarono il vero oggetto della loro avversione e che il vecchio Sedana potè fare, quasi inavvertito, apparizione alla tribuna.

— Illustri colleghi, signore e signori! — egli cominciò con voce così debole che risultò non a tutti udibile nonostante i fonomoltiplicatori dell’aula. — Quello che io debbo urgentemente comunicare nella sede più adatta a dare alle mie parole risonanza mondiale, non è una teoria, non sono dei pensieri; si tratta di un fatto. Vi prego quindi, non di cessare il baccano, ma appena di sospenderlo per soli dieci minuti.

E la speciale psicologia delle folle è così strana che finì per sembrare più udibile la voce bassa che non il gridio dei tumultuanti.

—        La sera di mercoledì scorso, 28 maggio — aveva ripreso il vegliardo indifferente a tutto — dal mio studio di « Villetta Nadir » ho sentito verso le undici bussare alla porta. Sono andato ad aprire e ho introdotto un visitatore che dal vestito si rivelò per un operaio meccanico. Aveva la fronte e la testa...

Tutto il seguito di questa descrizione, del resto al lettore già nota, fu perduta nel baccano il quale aveva attinto un’intensità eccezionale e quindi transitoria. Quando fu possibile udire nuovamente qualcosa lo scienziato diceva:

— ... voce singolarmente precisa e atona ha soggiunto: « Mi presento qui perché sono alla vigilia di una gran decisione e mi occorre di venir esaminato nelle mie capacità intellettuali le quali sembrano molto potenti ».

— Il mio interlocutore appariva sprovvisto di ogni capacità di eloquio mondano; sorta di tipo grezzo e vergine.

— Ero stato tuttavia punto da quella proposta di un esame motivato con ragioni di una goffa immodestia. « Ebbene, risposi, l’accontento; mi dica quali sono le quattro operazioni ».

— Mi colpì l’assoluta tranquillità della sua risposta, quasi gli fosse sfuggito il sarcasmo. Era perplesso ma non volli tuttavia dismettere il mio fare canzonatorio: « E Napoleone chi era? », continuai.

— Come prima così adesso non rilevò il sarcasmo. Ma questa volta la risposta non fu breve; mi citò le più autorevoli biografie, le monografie, le opere storiche attinenti, loro edizione, data di pubblicazione, numero della tale e della tal’altra pagina...

— Io non sono uno storico. Per controllarlo dovevo portarlo su altri campi. L’interruppi, gli dissi di parlarmi della fisica stellare. E non compresi che ormai ero stato preso nel suo giuoco. Quando la cosa ricominciò: numeri, date, editori, con i riferimenti più svariati mi diedi a controllare. Per la maggior parte avevo le opere citate nella mia libreria. E presto il mio tavolo fu ingombro di centinaia di volumi senza che io avessi potuto cogliere inesattezze notevoli.

— Ero stupito. Ma finora non avevo saggiato che la memoria del mio visitatore. Il mio stupore doveva accrescersi quando anche ne esaminai l’intelligenza dandogli a risolvere dei problemi complicatissimi. Singolare era il senso della misura e dello spazio che lo sconosciuto palesava scrivendo alla lavagna; in virtù del quale mai incorreva in ciò che accade anche al matematico più abile: di disporre male le proprie equazioni e di dover cancellare e riscrivere più piccolo.

— Udii a un antico carillon suonare le 12. E nel mistero della notte e del caso, con quello sconosciuto davanti a me, dal volto celato e dallo sguardo inespressivo come la voce, confesso che mi sentii poco allegro e a disagio.

Nessuno in tutto l’uditorio ebbe coscienza del gran silenzio che si era prodotto, tanto tutti erano intenti alle parole del vegliardo. Della calma avevano intanto profittato i reporter della fonoradiovisione per mettere a punto le loro macchine; e questo significava che tutto il mondo era ora un solo uditorio e una sola curiosità.

— Non mi diedi tuttavia per vinto — l’oratore aveva continuato — avevo controllato la memoria e l’intelligenza; volevo adesso vedere se anche apparisse quella dote che è la condottiera del pensiero: la fantasia. Senza cui qualsiasi grande intelligenza risulta incapace di proporsi mete e direzioni verso cui irradiarsi e brillare.

— Avevo davanti a me le cartelle di un lavoro scientifico a cui sto appunto lavorando. Ne esposi al mio interlocutore le premesse e i punti di partenza. In base a questi avrebbe dovuto riuscire a riimmaginare i miei scopi. Non si prese che pochi istanti di meditazione e poi...

— Ma a che vale continuare? Dovetti riconoscermi vinto. — Non sono più io — balbettai — quello che può esaminarla. Forse è lei che potrebbe esaminare me.

— Nella sua rozza verginità, allo sconosciuto era tuttavia sfuggito che io intendevo con ciò suggerire un commiato. Prese il complimento per una proposta seria; mi chiese: « Ritiene lei che valga più l’individuo attuale o non piuttosto il trionfo nell’Universo di tutto il pensiero e di tutta la vita futura? ».

— Come scienziato sereno e imparziale avrei dovuto rispondere che conta di più la conservazione del pensiero e della cultura, il trionfo definitivo della Vita nel cosmo; non il resto, non gli individui attuali. Ma, non so perché, io non ero più imparziale; al contrario: geloso, ritornato elementare, uomo, di fronte a una domanda che mi sembrava insidiosa. Tergiversai: « Bisognerebbe prima dimostrare che non siano proprio gli individui attuali quelli che garantiscano meglio quel risultato finale ».

—- Ahimè ! Ci vuole così poco a dimostrare la debolezza di essere incapaci di resistere anche a quella cosa minima nell’Universo quale sarebbe uno scarto improvviso di 50° C. nella temperatura della Terra. Bastano poche formule chimiche, bastano poche obiezioni. E lo sconosciuto trionfò.

— Disperatamente, invaso da non so quale urgenza, obiettai: « Sono intanto proprio le formule che lei ha scritto quelle che esprimono la materia vivente, e non vedo, oggi come oggi, chi sia più atto dell’umanità a garantire gli scopi e le mete suggerite da una cultura e da un pensiero appunto umani ».

— « Ma è chiaro! » fu la risposta. « Più atta dell’umanità può essere una superumanità delle membra più resistenti, dalla vita infinitamente più lunga, non suicida ma prodigiosa e geniale ».

— Mi misi a ridere. « Grazie, se non è che questo, allora aspetto! ». Con la sua solita indifferente calma lo sconosciuto che già si era volto per ritirarsi allora ristette, mi guardò con i suoi inespressivi occhi, disse: « Bene. Aspetti. Quindici giorni. O, per farle cosa gradita, anche meno ».

— Aveva già imboccato il corridoio. E sentii che aveva parlato sul serio! Tutto d’un colpo allora valutai quel non so che di inumano, di grezzo, di nuovo in lui cui ho già accennato. E compresi finalmente il perché del mio disagio di fronte a un fenomeno, o a un mostro.

— « Ma lei?... Lei chi è? », gridai lanciandomi dietro a lui, raggiungendolo. E quasi non lo avevo ancora toccato che una percezione di gelo e di rigidità mi paralizzò di orrore. Attraverso la stoffa io non avevo palpato che modanature e sagome metalliche: una perfetta sfera sotto le bende che gli nascondevano il capo, delle laminette al posto degli orecchi, tante piastre connesse al posto delle scapole...

— Poi caddi. Io sono vecchio: e l’orrore provato, lo shock nervoso, la caduta, mi han fatto svenire.

Un immenso brusio si era intanto levato nell’aula ove s’incrociavano i commenti più disparati. A stento fu lasciato modo allo scienziato di concludere.

— Tre punti debbo adesso raccomandare alle commissioni competenti dell’Accademia di voler discutere:

— 1°: Data la possibilità di veder comparire dei superuomini meccanici, vi è da temere che questi tendano a ridurci in servaggio come noi gli animali domestici?

— 2°: Quale accoglienza sarebbe opportuno riservar loro?

— 3°: Decidendo una guerra, in qual modo e con quali mezzi condurla?




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License