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Ciro Kahn
L'uomo di fil di ferro

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  • PARTE SECONDA IL MITO
    • IX. La città dei dementi.
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IX.

La città dei dementi.

In quella stessa notte gli aeroplani militari del Governo di Marco Mundus ricoprivano tutta la città dì manifestini.

Il numero di questi era così grande che non fu possibile non leggerli.

— O idolatri di Roma, tutto il mondo è contro gli automi. Una Santa Alleanza è stata concordata questa mezzanotte del 13 giugno fra tutte le Potenze. Una grande offensiva contro i vostri idoli è imminente. Il Comitato Scientifico Internazionale ha escogitato un acido gassoso di spaventosa efficacia il quale corroderà tutto ciò che vi è di metallico. Inoltre non ci è più possibile garantire per zone neutre la Città del Vaticano e le estensioni archeologiche. Il Papato e tutta l’umanità ci approva. Il pericolo di lasciare cadere gli uomini in servaggio delle macchine ci impone di essere spietati ed energici.

— Diamo perciò, a partire dalla mezzanotte del 13 giugno, 48 ore di tempo alla popolazione per evacuare la città. Passato questo tempo tutta la metropoli sarà considerata zona di guerra.

— Roma è eterna. Cento volte ha saputo risorgere sempre più meravigliosa dalle sue rovine. Risorgerà anche questa volta; tutto il mondo lo vorrà.

— Allora, quando contemplandola col nuovo splendore della nuova risurrezione, gli uomini la ritroveranno custode perpetua di una civiltà eterna come il suo nome; saranno beati coloro che potranno dire: anche io ho combattuto e son risorto con Lei.

Ogni lavoro civile fu perciò immediatamente sospeso.

Le fanciulle dell’aristocrazia e del popolo corsero le vie con abbigliamenti stile-automa bandendo l’arruolamento per donne ed uomini di tutte le età. Cedettero i loro corredi per ricavarne indumenti militari e maschere contro i gas; cedettero le loro calzature per ricavarne guantoni isolanti e cinghie per strumenti bellici; cedettero i loro gioielli per suscitare un esempio ed un entusiasmo; cedettero le loro lenzuola per ricavarne scafandri cerati contro l’effetto corrosivo degli acidi; cedettero le loro suppellettili per ricavarne i chiodi e la legna da ardere.

Gli uomini corsero spontaneamente alla caccia di tipi idonei al comando che potessero agire da ufficiali; offrirono forti ricompense ai militi dispersisi nella città purché si tramutassero in istruttori delle nuove reclute.

Erano vuoti i magazzini militari, senza attrezzi le caserme, senza medicine gli ospedali, senza scorte di viveri la città, senza armi i depositi, senza aeroplani gli aerodromi, senza energia elettrica gli impianti. Ma una folla impazzita ed esasperata coordinò la propria demenza e sfruttò la propria esasperazione.

Alle dieci vi erano già i primi plotoni; a mezzogiorno i primi ufficiali; nel pomeriggio i primi servizi militari. Tutto questo di spontanea volontà, indipendentemente dai lavori e dalle misure difensive che gli automi stavano escogitando per proprio conto.

Uomini e donne scavarono larghe trincee nelle strade per farvi cadere le tanks e le autoblindate, elevarono barricate, eressero impalcature e finte case e finti ostacoli per trarre in inganno le artiglierie, organizzarono sotterranei a tenuta stagna per la protezione contro i gas e i velivoli.

Nei grattacieli non c’era un ascensore o un montacarichi che funzionasse, ma i pesanti cannoni vecchio modello per il tiro antiaereo furono ugualmente elevati a centinaia di metri sulle terrazze e sui giardini pensili.

I tranvai erano immobili e la metropolitana senza più convogli, ma furono ugualmente trasportati da un capo all’altro della città carriaggi ed ordegni guerreschi diversi.

Non c’era alcuno che si facesse illusioni sull’efficacia bellica di quei vecchi cannoni con scarsa dotazione di proiettili; superati mille volte dai moderni mezzi elettrici dell’esercito regolare; ma la città che non aveva più elettricità aveva i musei, le reliquie delle vecchie fortificazioni, i depositi dei fucili di settanta anni fa. E tutto ciò che in un modo o l’altro poteva servire a una difesa fu preso e messo in opera. Vennero i professori di storia a insegnare artiglieria e gli antiquari ad insegnare il maneggio delle antiche armi.

Dove c’era qualche antidiluviano motore a scoppio fu fatta requisizione di benzina e di oli e con quello dello zolfo e della pece furono escogitate miscele che potessero sostituire il fuoco dei lanciafiamme.

Tutto ciò era un regresso bellico, indubbiamente, ma dove non arrivava più la materia suppliva l’idea, la frenesia, l’esaltazione.

— Roma è ripiombata indietro nei secoli — si gridava nei comizi — e ritornerà se è necessario ancora più indietro; fino al tempo dei miti, quando erano i destini che vincevano la forza e le avversità! Siamo noi i glorificatori di Roma che vogliamo fatta capitale di un nuovo impero di creature inconsumabili!

A mezzanotte scadde una metà delle 48 ore concesse dall’ultimatum quando già un gran lavoro di camuffamento era stato iniziato dalla popolazione insonne. E la città, l’indomani, aggiornò con i tetti e le vie tutte striscie, striscie di colori diversi allo scopo di disorientare gli aeroplani; era questa l’estrema toeletta di guerra. Scritte di « Viva Zeta Otto! » pendevano ovunque.

Da una finestra del suo alloggio in Campidoglio Zeta Otto osservò tutto ciò immobile e pensieroso.




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