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Vincenzo Sigonio
La difesa per le donne

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  • Cap. 1   Che non si debbe dir male delle donne
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Cap. 1

 

Che non si debbe dir male delle donne

 

Euripide in Medea, e lo cita Giovanni Stobeo nel Sermone 71, di maniera si mostra nimico delle donne, ch’egli dice che qualunque il qual cessa di dir male delle donne sarà chiamato infelice e imprudente. La qual sentenza quanto sia ingiusta e maladetta non mi affaticherò di dimostrarlo: ben dirò che chi maledirà la donna sarà da Dio maledetto, il quale maledice, come è scritto nel Genesi cap. 12, quelli che maledicono le persone pie; ma quanto sia la donna pia nel suo luoco a pieno lo dimostreremo.

Ora qual prudente e saggio uomo può o vuole dire male della donna, la quale merita tanti onori e tante lodi? La quale è, come dice San Paolo nella prima Pistola a li Corinti, cap. 2, la gloria dell’uomo? La quale è, come si legge nel Genesi cap. 1, un aiuto dell’uomo fatto alla similitudine di quello, e osso dell’ossa, e carne della carne dell’uomo? La quale ha portato nuove mesi nel [1v] suo corpo quello? La qual, dico, è, come referisce Giovanni Stobeo nel Sermone 65, la restaurazione dell’umana generazione, senza la quale ella tosto perirebbe? La qual cosa conoscendo l’edificator di Roma, come narra Alberto de Eib nella sua Malgherita poetica nell’orazione 17, e il Casseneo nella parte della Gloria del mondo nella considerazione 38, non dubitò far grandissima guerra con Sabini per causa di aver donne, imperoché egli conosceva che il suo imperio era per durare pocchissimi giorni, s’in quello non fossero state donne.

Ma quanto obligo ha l’uomo alla donna? Non è egli più ubligato alla madre che al padre, dicendo Santo Ambrosio sopra Luca cap. 2: «Tu sei ubligato alla madre l’ingiuria della vergogna, il danno della virginità, il pericolo del parto, il lungo tempo nel quale ella ti ha portato nel suo ventre»? Il che conoscendo li Santhii non giudicarono che i figliuoli fossero molto più ubligati alle madri che a li padri loro, quando con legge statoirono, come scrive Plutarco [2r] nel libro Delle donne illustri cap. 9, che i figliuoli fossero denominati dal nome della famiglia delle madri, e non da quella de li padri? Il che meritamente fu fatto, imperoché anco le madri amano più, come dice Aristotele lib. 8 della Etica, i figliuoli che i padri, avendo cioè esse con più fatica di quelli nel nodrirli e alevarli patite incommodi giorni e notti.

Ma qual uomo da bene vorrà dir male della donna, avendo il santissimo matrimonio il nome da quella e non dell’uomo? Imperoché, essendo il matrimonio di tanta forza che egli costringe l’uomo lasciare il padre e la madre, come dice il Vangello santo, e avendo il nome dalla donna, certo ella non merita esser maladetta, ma è da essere per ciò molto lodata, amata e riverita.

Se la donna anco è cagione della felicità dell’uomo per causa di li figliuoli, come dice Giovanni Stobeo nel Sermone 73, qual uomo sarà così di mente e di giudicio privo che possi dire mai [2v] di quella per causa della quale egli diventa felice?

Ma come potrà mai l’uomo saggio e prudente dir male della donna essendo quella, come nota il medesimo Stobeo nel Sermone 65, insieme con i figliuoli un gran regno al marito? Malediranno forsi la donna gli uomini perché ella sia d’impedimento al filosofare? A questi risponde Musonio, appresso Giovanni Stobeo nel Sermone 65, che la moglie non fu d’impedimento né a Pitagora, né a Socrate, né a Crate, ciascuno de’ quali lungamente stette con quella; e nondimeno non potrai nominare alcuni quali meglio di loro abbiano filosofati. Ma diranno forsi male della donna questi, essendo ella, come scrive il sudetto Giovanni Stobeo nel sudetto luoco, la più cara e la più grata compagnia la quale possi avere l’uomo? Imperoché qual compagno al compagno, overo fratello al fratello, overo figliuolo al padre e alla madre sarà tanto amico e tanto grato come è la moglie al marito? Da chi [3r] la assenza parimente tanto è desiderata come è quella del marito dalla moglie e della moglie dal marito? Overo qual presenza sarà più atta a levare la tristezza overo ad accrescere il gaudio overo a mitigare la calamità di quella della donna? Che cose sono istimate esser communi se non quelle della moglie e del marito? Per le qual cose tutti giudicarono che l’amicizia dell’uomo e della donna sia antichissima di tutte l’altre; per questo si vede nell’istorie che le moglie hanno amato più i mariti che non hanno amato i figliuoli i padri propri. Imperoché, essendo il re Admeto da essere liberato dalla morte s’alcuno de li suoi voleva morir per lui, li parenti di quello, quantunque decrepiti, nondimeno ciò ricusarono; ma Alceste moglie di quello, molto bella e giovane, fu pronta al morire per dare la vita al marito, sì come narra Valerio Massimo e gli altri istorici di fede degni.  Ma finalmente [3v] essendo la casa imperfetta, come dice Antipatro appresso il sudetto Giovanni Stobeo nel Sermone predetto, ove non è la donna, sarà ella da esser maladetta facendo ella con la sua presenza quella perfetta?

Per il che se queste cose, e molte altre che lungo sarebbe raccontare, saranno bene da gli uomini giudiciosi e da bene giudicate e considerate, non credo che alcuno, se non qualche o ingrato o affatto balordo, abbia ardire di volere dir male delle donne.

 

 




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