Cap.
6
Che le donne non
sono loquace né mordaci
Plauto, nella comedia detta Aulularia,
introduce una donna che di se stessa e dell’altre donne dice [10v] che
esse sono molto loquaci. Riferisce poi il Babellio, appresso Andrea Tiraquello
nelle Leggi congiogali, che è proverbio cantatissimo appresso Germani
che tre donne fanno una fiera, nato dalla garrulità e cianciume loro; la qual
cosa è paragonata alla fiera e mercato dove è grandissimo strepito per le molte
parole de’ compratori e venditori. Ma Giovinale, poeta satirico e mordace,
nella Satira 6 più d’ogni altro tassa la garrulità delle donne, dicendo
che esse di ciance e di chiacchiere vincono i procuratori, i grammatici, gli
oratori, i trombetti e ogni altra turba di persone, e che le trombe, li
baccilli e le campane non fanno tanto strepito quanto esse con le loro molte
parole. Io nondimeno crederò che la natura, madre di tutte le cose, benissimo
anco difenderà quelle da questa falsa e brutta infamia: la qual dimostrando che
la loquacità è propria de gli uomini e non [11r] delle donne, lo
manifesta anco massimamente nelle cicalle, le quali, essendo strepitose e
molestissime, nel suo cicallare, di tutti gli animali, hanno fatto luoco al
proverbio, che si dice a uno che abondi di cianciume e sia strepitoso col suo
chiacchierare, che egli è una cicalla; ma che solo le cicalle maschie e non le
femine cicallino e gridino, Aristotele, lib. 5 Della natura de gli animali
cap. 30, lo scrive. Parimente li rosignuoli femine non cantano, né li
gardelini, né molti altri uccelli quali lungo sarebbe raccontare; ma che le
ciance e il mordace parlare sia proprio de gli uomini e non delle donne credo
che i molti essempi de gli uomini loquaci e mordaci chiaramente lo dimostrano.
Tantalo, per cominciar da
questo, per causa della sua loquacità e ciance avendo rivelato li segreti de li
Dei a gli uomini, fu condennato allo [11v] inferno: Ovidio, Metamorfosi.
Dafita grammatico fu posto in
croce sul monte Torace perché con sue mordaci parole e versi avea offeso il re
Attalo: Valerio Massimo lib. 1 cap. 6.
Anacreonte re di Cipro fece
pestare con i martelli Anassarco per le ingiuriose parole che egli diceva
contro il re: Valerio Massimo lib. 3 cap. 3.
Clistene, avendo sparlato con
Alessandro Magno, fu condennato per commissione di quello alla morte: Valerio
Massimo lib. 7 cap. 1.
I Lacedemoni per la sola
dicacità e parlar mordace rimossero dalla sua città i libri d’Archiloco, acciò
che i lettori non imparassero qualche cosa di cattivo nel leggere quelli:
Valerio Massimo lib. 6 cap. 3.
Nevio poeta ebbe ardire con suoi
mordaci versi offendere i Metelli e i Scipioni, laonde Metello console li
respose: «I Metelli faranno un qualche danno a Nevio»; il quale finalmente fu
cacciato in pregione per tal cosa: Pietro Crinito lib. 1 De’ poeti latini.
[12r]
Antigono re uccise Teocrito Chio
per causa della sua troppo libera dicacità e parole mordaci verso esso
Antigono: imperoché, essendo egli condotto dinanti a quello per esser punito,
egli con parole morsicava quello e lo moccava: Macrobio e Battista Campofulgosi
lib. 8 cap. 1.
Labieno dapertutto lacerava
ognuno, donde che egli era chiamato il Rabbia; né la sua loquacità e suo
chiacchiarare di questo e di quello restò impunito, imperoché tutti i suoi
libri furono abbrucciati: Pietro Crinito lib. 19 Dell’onesta disciplina.
Cam figliuolo di Noé, avendo
visto le parti vergognose del padre, con sue parole lo annonciò ali fratelli e
perciò incorse nella maledizione: Genesi cap. 9.
Il beato Giobbe più tosto par
riprendere se stesso dell’atto del parlare che d’altra cosa, donde che egli
dice: «Io che vanamente ho sparlato, non posso res[12v]pondere; ho
detto una cosa la qual Dio volesse ch’io non avesse detto»: Giobbe cap.
39; e nel cap. 42 dice perciò: «Ho parlato senza considerazione e quelle cose
che fuori di modo eccedono il saper mio».
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